Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9127 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9127 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20845/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 1954/2016 depositata il 01/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di ‘ sviluppo di progetti immobiliari senza costruzione ‘, stipulava il 6 settembre 2000 un contratto preliminare di compravendita, col quale s’impegnava a vendere alla SocRAGIONE_SOCIALE Coop Consumatori Nordest, entro il 31 ottobre 2002, termine più volte prorogato, un’area di circa 43.618 mq, sita nel Comune di Villesse, per un corrispettivo di Lire 10.100.000.000.
All’atto della stipula del preliminare la promissaria acquirente somma di 10.000.000.000 (dieci versava alla RAGIONE_SOCIALE a titolo di caparra confirmatoria.
In data 30 aprile 2008, la RAGIONE_SOCIALE e la predetta promissaria acquirente stipulavano un atto di risoluzione del preliminare di vendita. RAGIONE_SOCIALE versava a Coop Consumatori Nordest, per la rinuncia al diritto di acquisto dell’immobile, la somma di Euro 10.000.000,00, oltre Iva ex art. 3 d.P.R. n. 633 del 1972, per un totale di Euro 12.000.000,00.
In data 2 ottobre 2013, l’Ufficio notificava l’avviso di accertamento n. TF3060103722/2013, con il quale provvedeva al recupero impositivo di IVA per euro 2.000.000,00, oltre sanzioni ed interessi, sostenendo l’assoggettabilità dell’operazione al versamento dell’imposta sul valore aggiunto, risolvendosi essa nel semplice versamento del doppio della caparra confirmatoria, benché elusivamente si fosse fatto impiego di un accordo di risoluzione dell’originario preliminare.
La CTP di Napoli accoglieva il ricorso della contribuente, ritenendo fondata la doglianza in punto di assenza di contraddittorio e affermando nel merito la mancata prova, a cura dell’Amministrazione finanziaria, dell’adombrato disegno elusivo.
La CTR della Campania ha rigettato il successivo appello erariale, stigmatizzando, da un lato, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, dall’altro lato, – parallelamente – la mancanza di prova della condotta abusiva ascritta alla contribuente.
L’Agenzia delle Entrate affida ora il proprio ricorso a tre motivi e deposita memoria. Resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si adombra la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., in quanto dalla motivazione della sentenza ‘ non si evincono le ragioni che il contribuente avrebbe fatto valere ove il contraddittorio fosse stato instaurato e, soprattutto, non si evince sotto quale profilo la CTR ha ritenuto che l’istaurazione del contraddittorio avrebbe condotto l’A.F. a non adottare l’atto impositivo ‘.
Col secondo motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 L. n. 241 del 1990 e 6 L. 212 del 2009, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR trascurato, da un lato, di considerare che ‘ costituisce principio ormai consolidato in giurisprudenza quello secondo cui non sussiste, in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, invalidità dell’atto’ ; dall’altro lato, ha tralasciato di rilevare che, in relazione ai tributi ‘armonizzati’, la violazione dell’obbligo del contraddittorio implica l’invalidità dell’atto ‘ a patto che, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere allorché il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato’.
Col terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la CTR ritenuto che l’Amministrazione finanziaria non avesse assolto all’onere probatorio sulla stessa incombente, al fine di dimostrare l’asserita pratica abusiva.
Il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Esso adombra un insussistente vizio di motivazione. La trama argomentativa a sostegno della statuizione resa dal giudice regionale è articolata e incentrata sull’apprezzamento del compendio istruttorio esaminato, che ad avviso della CTR osta alla ricostruzione anelata dall’Amministrazione finanziaria.
Il giudice d’appello, in effetti, richiama a sostegno del proprio tragitto argomentativo il principio nomofilattico a suo tempo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con provvedimento n. 24823 del 2015; indulge in una ricostruzione della disciplina del contraddittorio endoprocedimentale, soffermandosi sull’onere in capo al contribuente di enunciare in concreto ‘ le ragioni che avrebbe potuto far valere ‘; sottolinea l’insussistenza di una ‘ pratica abusiva ‘ finalizzata al conseguimento di un ‘indebito vantaggio fiscale’ , per il tramite di un’operazione economica sprovvista di ‘ valide ragioni economiche ; rimarca, infine, – ed è profilo di fondamentale pregnanza -che l’elemento giustificativo della condotta del contribuente è rappresentato dal successivo ” atto di trasferimento a terzi ad un prezzo maggiore ‘ del medesimo immobile in precedenza fatto oggetto del contratto preliminare stipulato fra le parti
Si tratta di un percorso argomentativo, che fa fulcro su un coacervo di ragioni, tra le quali spicca la valorizzazione dell’atto di rivendita del bene al terzo, in funzione dell’incameramento di un prezzo assai maggiore rispetto a quello concordato nel negozio primigenio. Ciò vale ad indicare le ragioni economiche che hanno giustificato l’operazione contestata, sottraendo ogni ragionevole fondamento all’asserita elusività dell’operazione.
Questa trama argomentativa è in linea con il ‘minimo costituzionale’ della motivazione (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), sicché la decisione impugnata resta esente da censure, sul punto.
Il secondo motivo è infondato.
È, infatti, insegnamento di questa Corte, che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata, con riferimento ai tributi armonizzati, di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto ove il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass. Sez. Un. n. 24823 del 2015; Cass. n. 11283 del 2016).
Nel caso di specie, se da un lato, la vicenda riguardava accertamenti formali, mediante consultazione di informazioni in possesso dell’ufficio, ossia tramite la disamina di documentazione nella disponibilità dell’Amministrazione; dall’altro lato, la CTR ha ritenuto assolto l’onere di enunciazione, da parte della contribuente, delle ragioni suscettibili di condurre ad un epilogo favorevole, rinvenendole nell’opportunità di alienazione a prezzo maggiorato del medesimo bene oggetto dell’originario preliminare; detto onere è apparso alla CTR, nell’esercizio del proprio libero apprezzamento di merito, ben corroborato dal deposito di un ‘ atto di trasferimento a terzi ad un prezzo maggiore’.
Il terzo motivo non coglie nel segno e va anch’esso disatteso.
Il giudice d’appello ha rilevato -esercitando uno specifico sindacato di merito sul punto, del quale non può pretendersi una riedizione in questa sede -che l’atto di risoluzione del preliminare di vendita del 6 settembre 2000 in forza di un atto di quasi otto anni dopo, datato 30 aprile 2008, non rispondesse al perseguimento di un indebito risparmio fiscale, attraverso un accordo di carattere simulatorio, ma equivalesse a un esercizio di autonomia negoziale, corroborato da una giustificazione economica indicata come tangibile, in quanto rappresentata dalla successiva vendita a terzi dell’immobile già oggetto del preliminare ad un
prezzo di gran lunga superiore a quello inizialmente pattuito per il definitivo.
Si tratta di un percorso argomentativo, che fa fulcro su un coacervo di ragioni, tra le quali viene in apice -come già sottolineato -la valorizzazione dell’atto di rivendita del bene al terzo, ad un prezzo assai maggiore rispetto al negozio d’origine. Questo aspetto è valso a sostenere la scelta della contribuente di risolvere negozialmente l’originario contratto preliminare.
Questa trama argomentativa è in linea con il ‘minimo costituzionale’ della motivazione (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014), sicché la decisione impugnata resta esente da censure, sul punto.
Il motivo di ricorso, dunque, aspira ad una rivisitazione del merito della controversia, con una rivalutazione del quadro istruttorio; in tal senso, esso coltiva l’ambizione di ottenere un diverso apprezzamento dei fatti, di per sé precluso in questa sede. La censura trascende il recinto del vizio della violazione di legge e lungi dall’adombrare una difformità rispetto ad un paradigma normativo, tende ad ottenere una rivisitazione del merito della controversia, sostituendo al libero apprezzamento espresso dal giudice di merito una nuova valutazione dei presupposti alla base delle esimenti invocate; la censura mira, quindi, nella sostanza, a suscitare un nuovo e più appagante giudizio di fatto, trascurando che si tratta di attività preclusa in questa sede.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla controricorrente le spese del giudizio, che liquida in euro 23.000,00 per compensi, oltre al 15% per spese forfettarie e agli accessori di legge .
Così deciso in Roma, il 29/01/2025.