Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24748 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24748 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 2320-2017, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE c.f. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t.
Intimata della sentenza n. 3709/14/2016 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 13 giugno 2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 luglio 2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza e dal ricorso si evince che l’Agenzia delle entrate notificò alla RAGIONE_SOCIALE l’ avviso d’accertamento con cui recuperò imponibile ai fini Ires, Iva e Irap, relativamente a ll’ anno d’imposta 20 06, nella specie costi
Op. ogg. inesistenti e cessioni intracomunitarie – Allegazione del pvc – limiti
dedotti ed iva detratta indebitamente perché riconducibili ad operazioni oggettivamente inesistenti, nonché iva per fittizie cessioni intracomunitarie.
I rilievi evidenziati a seguito di verifica, e poi tradotti nelle pretese fiscali dell’atto impositivo , avevano una duplice fonte. Per un verso l’Agenzia aveva rilevato che la società, esercente attività di call-center in subappalto, risultava a sua volta aver subappaltato parte dell ‘attività a società terze, tra esse la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, entrambe amministrate da COGNOME Roberto, della prima anche socio unico, ossia dalla persona che sino al 13 novembre 2006 aveva ricoperto la carica di legale rappresentante della stessa RAGIONE_SOCIALE. Dalle verifiche erano emerse operazioni sospette tra le predette società, consistenti in fornitura di personale all ‘ odierna ricorrente ma per un numero di ore maggiore rispetto a quello effettivo, e pertanto sovrafatturate. Per altro verso la RAGIONE_SOCIALE risultava aver acquistato macchinari dalle predette società, formalmente esportate in Paesi intracomunitari senza applicazione dell’iva, ex art. 41 , d.l. 30 agosto 1993, n. 331, operazioni di cessione in realtà inesistenti.
L’Ufficio pertanto ha determinato un maggior reddito ai fini Ires, pari ad € 2.141. 367, un maggior valore alla produzione, ai fini Irap, del medesimo importo, un maggior debito d’imposta, ai fini Iva, pari ad € 428.273,00.
Avverso l’atto impositivo la società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 306/45/2015, a nnullò l’a tto impositivo. L ‘Ufficio appellò la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che, nella contumacia della società, con sentenza n. 3709/14/2017 respinse l’impugnazione.
Il giudice regionale, dopo aver riassunto l’iter processuale , le ragioni oggetto di controversia, l’esito del giudizio in primo grado, ha chiarito l’irrilevanza di alcune questioni preliminari, ai fini del presente ricorso prive di rilievo, e, nel merito, ha confermato le statuizioni impugnate sull’assunto che « non risulta acquisita agli atti del giudizio la copia del processo verbale di constatazione -richiamato per relationem sia nell’avviso d’accertamento, sia nel ricorso in appello -, da cui emergerebbero le circostanze fattuali espressive sia della fittizietà delle prestazioni rese dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in forza dei contratti di subappalto stipulati con la società RAGIONE_SOCIALE, sia delle cessioni intracomunitarie.
Sic ché è oggettivamente impossibile verificare l’effettività delle circostanze
meramente allegate dall’Ufficio nell’avviso d’accertamento e, conseguentemente, di formulare un giudizio circa la loro idoneità ad integrare gli estremi di una presunzione grave, precisa e concordante, ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d) , del D.P.R. nr. 600/73 e 54 del D.P.R. n. 633/72».
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi. La società, cui la notifica è stata eseguita al difensore nominato in primo grado, con mandato rilasciato anche per i successivi gradi, è rimasta intimata.
All’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l ‘ufficio ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 1 e 2, d.lgv. 546 del 1992 (ratione temporis vigente) , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Il giudice regionale erroneamente avrebbe ritenuto che il mancato deposito in giudizio del p.v.c., peraltro regolarmente notificato alla società all’esito della verifica e ampiamente ripreso nei contenuti nell’avviso d’accertamento, avrebbe impedito ogni valutazione sui fatti contestati, senza considerare che, ove ritenuto non sufficiente l’avviso medesimo, il collegio avrebbe potuto esercitare le facoltà di acquisizione di informazioni e chiarimenti, come previsto dall’art. 7, comma 1, del d.lg v. n. 546 cit., anche richiedendo l’acquisizione del pvc.
Con il secondo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Il giudice regionale avrebbe violato le regole sull’onere probatorio, non avvedendosi che, a fronte della prospettazione di una frode comunitaria, avrebbe dovuto tener conto dell’inversione dell’onere probatorio.
Con il terzo motivo si è doluto della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La commissione regionale ha omesso di applicare il principio di non contestazione, atteso che sui fatti la società non aveva elevato alcun rilievo.
Il primo motivo è fondato, nei termini appresso chiariti.
RGN 2320/2017 Consigliere rel. NOME Il 1° comma dell’art. 7 d.leg. n. 546 del 1992 , ratione temporis vigente, prevedeva che «le commissioni tributarie ai fini istruttori e nei limiti dei fatti
dedotti dalle parti esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta». Il 3° comma della medesima norma prevedeva, inoltre, che «è sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia». Tale comma è stato poi abrogato dall’art. 3 bis, 5° comma, d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni dalla l. n. 248 del 2005. L’abrogazione di tali poteri è stata diffusamente interpretata come espressione di una inequivocabile volontà del legislatore di abbandonare radicalmente ogni dimensione inquisitoria del processo. Anche tenendo conto di questa importante modifica legislativa, i poteri istruttori riconosciuti al giudice tributario dal 1° comma devono comunque collocarsi nell’alveo del principio dispositivo che governa il processo e dunque dei fatti dedotti dalle parti. La commissione tributaria, dunque, non può sostituirsi alla parte nella ricerca delle prove a supporto delle proprie ragioni, ma può colmare le carenze probatorie riconducibili a situazioni oggettive, non dipendenti dalla sua colpevole inerzia. Resta, dunque, un potere discrezionalmente esercitabile entro un perimetro segnato e funzionale al bilanciamento della posizione processuale delle parti.
Tenendo conto del perimetro entro cui il giudice tributario esercita i suoi poteri istruttori, la giurisprudenza di legittimità ha avvertito che l’acquisibilità d’ufficio di mezzi di prova, ai sensi del citato 1° comma dell’art. 7, dev’essere interpretata alla luce del principio di terzietà del giudice, a cui dunque è inibito sopperire alle carenze istruttorie delle parti, nel rispetto del principio dell’onere probatorio, potendo di contro intervenire nelle ipotesi in cui sussista una obiettiva situazione di incertezza, a mera integrazione degli elementi di prova già forniti dalle parti, oppure laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi (Cass. 11 maggio 2021, n. 12383; 24 febbraio 2020, n. 4762; 21 febbraio 2014, n. 4161; 20 gennaio 2016, n. 955; 19 giugno 2018, n. 16171 ). E quei limiti si riflettono anche nel giudizio d’appello, atteso che, com’è stato rilevato, con l’abrogazione dell’art. 7, 3° comma, d.lg v. n. 546 del 1992, ed in applicazio ne dell’art. 58, 1° comma, della medesima disciplina, alla commissione tributaria regionale è inibito ordinare il deposito di documenti, essendole invece consentito di ordinarne l’esibizione, ai sensi
dell’art. 210 c.p.c., entro gli stessi limiti di potere riconosciuti al giudice di primo grado, e cioè quando sia altrimenti impossibile l’acquisizione della prova, come per l’ipotesi che i documenti siano in possesso dell’altra parte o di terzi, oppure nel caso di situazioni di oggettiva incertezza, a fini meramente integrativi degli elementi istruttori già allegati al processo. Si tratta dunque di un potere istruttorio implementativo, teso a completare il quadro probatorio già allegato dalla parte, o persino più pervasivo quando la carenza delle allegazioni non discenda da inerzia ingiustificata della parte, ma da situazioni contingenti, sul piano fattuale o giuridico, a questa non addebitabili (Cass. n. 26392 del 2010; n. 14244 del 2015; n. 27827 del 2018).
Funzioni, limiti e ragioni di questo potere sono stati efficacemente riassunti dalla giurisprudenza di legittimità, laddove, dalla consapevolezza della asimmetria tra la posizione della parte pubblica e quella della parte privata, sfornita di poteri autoritativi ed incapace di produrre atti dotati di esecutorietà, si è persuasa dell’esigenza di assicurare, a mezzo dell’esercizio di quei poteri istruttori, un riequilibrio delle parti, a garanzia di un sostanziale contraddittorio, affidato fisiologicamente al giudice nella fase istruttoria, purché compiutamente motivato e senza sopperire ad ingiustificate carenze o inattività delle parti (Cass., 23 dicembre 2019, n. 34393; cfr. anche 5 dicembre 2014, n. 25769).
D’altronde, nell’inquadrare i poteri istruttori delle commissioni tributarie anche la dottrina, parte della quale manifestando perplessità sulla abrogazione del 3° comma dell’art. 7 d.lg v. n. 546 del 1992, ha pacificamente riconosciuto la funzione meramente integrativa delle emergenze probatorie già allegate al processo dalle parti. Ciò come rimedio ad uno stallo probatorio non riconducibile a negligenza, e a tal fine eventualmente ricorre ndo anche all’acquisibilità di documenti ai sensi dell’art. 210 c.p.c ., su istanza di parte.
Il perimetro di manovra è tuttavia delimitato da alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità. Così, ad esempio, con riguardo al processo verbale di constatazione, si è di recente negato che alla Guardia di finanza possa indirizzarsi da parte del giudice la richiesta di documenti, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., atteso che, trattandosi di soggetto che agisce su delega dell’amministrazione finanziaria, non può essere destinatario della richiesta
di atti, atteso che essa può essere rivolta nei confronti di un soggetto terzo e non anche della parte pubblica in causa (Così Cass., n. 11432 del 2019; v. anche Cass. n. 10401 del 2018). Si tratta di un orientamento ormai coerente con l’approccio interpretativo della disciplina normativa, assunto dalla giurisprudenza all’indomani della abrogazione dell’art. 7, 3° comma, d.leg. n. 546 del 1992, pur nella riconsiderata rilettura del 1° comma del medesimo articolo. È stato altresì condivisibilmente sostenuto che i poteri di accesso, nonché quelli di richiesta di dati, informazioni e chiarimenti, esercitabili dalle commissioni al pari dei poteri riconosciuti agli uffici fiscali, incontrano il limite del divieto di finalità esplorative, poiché l’unico obiettivo perseguibile dall’organo giudicante è quello del riscontro della legittimità dell’atto impugnato (Cass. n. 3130 del 2011; n. 30218 del 2017), ed anche questo obiettivo, deve aggiungersi, sempre e solo nei limiti dell’oggetto del giudizio.
E tuttavia, proprio in coerenza con i principi enunciati, e dunque con una perimetrazione di quei poteri nel senso propriamente integrativo e certo non sostitutivo, la Corte di legittimità ha affermato che nel processo tributario, il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere probatorio a proprio carico, ma solo, in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, di talché nel caso in cui il PVC è allegato all’atto impositivo ma non è prodotto in giudizio, il giudice può disporne l’acquisizione (anche ex art. 22, commi 4 e 5, d.lgs. n. 546 del 1992, senza che ciò implichi esercizio dei poteri di integrazione probatoria ex art 7, comma 1, del medesimo decreto), trattandosi di attività preordinata alla completezza del provvedimento impositivo già in atti, funzionale all’integrazione del contraddittorio su di esso; nel caso, invece, in cui l’atto impositivo trascrive parti del PVC o si limita a richiamarlo, il giudice di merito, con onere di motivazione sul punto, dovrà verificare se tali circostanze integrano, eventualmente anche con gli altri elementi acquisiti al giudizio, indizi che non consentono di condurre ad una decisione ragionata e, dunque, impongano l’esercizio del potere di integrazione probatoria ex art 7 cit. (cfr. Cass., 12383/2021 cit.).
Si tratta di principi, che in realtà possono trovare applicazione anche nell’attuale assetto normativo della materia, pur con l’introduzione del comma 5 bis nell ‘art. 7 del d.lgv. n. 546 del 1992.
Ebbene, nel caso di specie, il giudice regionale ha ritenuto di definire la controversia, in senso negativo per l’amministrazione finanziaria , sull’assunto della mancata allegazione al giudizio del processo verbale di constatazione.
Sennonché, a parte la considerazione che si tratta del processo verbale elevato nei confronti della contribuente a conclusione della verifica, e ad essa regolarmente notificato, in ogni caso, dalla lettura delle parti della motivazione dell’avviso d’accertamento , riportati in ricorso, emerge che il contenuto di quel pvc era stato riportato nei suoi passaggi essenziali, e peraltro anche significativi. Ebbene, se ciò poteva essere ritenuto dal collegio d’appello ancora insufficiente per un complessivo quadro della vicenda, tale non pienezza dei fatti doveva essere superata dalla attività integrativa prescritta dall’art. 7 comma 1, cit., e non con un rigetto del tutto tranciante e ingiustificato della pretesa erariale, rispetto agli elementi già acquisti al processo.
La scelta della Commissione regionale rivela pertanto la sua erroneità, sia per non aver considerato i poteri esercitabili ai sensi dell’art. 7 cit., sia per non aver tenuto conto, prima ancora che delle regole sulla valutazione della prova – dallo stesso in verità neppure vagliata, ma semplicemente esclusa senza una argomentazione almeno sufficiente -, delle regole sull’onere della prova .
Questa motivazione, infatti si rivela del tutto priva di un sostegno logico o giuridico, anche solo sufficiente a comprendere, in riferimento agli obiettivi frodatori rappresentati, su quali basi e su quali riscontri la Commissione regionale sia pervenuta alle sue conclusioni. La motivazione della sentenza in realtà si rivela semplicemente assertiva, del tutto carente anche nell’esplicitare il concreto quadro probatorio da cui evincere i riferimenti fattuali di quelle conclusioni, così che si riduce ad un giudizio generale e astratto.
L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo ed il terzo.
La sentenza va pertanto cassata e il giudizio va rinviato alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, che, in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del processo di legittimità, provvederà al riesame dell’appello erariale, tenendo conto dei principi enunciati da questa Corte.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, sez. staccata di Latina, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del processo di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 9 luglio 2025