Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6015 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 365, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, il 13.2.2015 e pubblicata il 20.2.2015;
ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Oggetto: Irpeg, Iva ed Irap 2001 -Ricavi non dichiarati -Contabilità ritenuta inattendibile -Accertamento analiticoinduttivo.
la Corte osserva:
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate a seguito di attività di verifica conclusa con Processo Verbale di Costatazione regolarmente consegnato alla contribuente, ritenuta inattendibile la contabilità aziendale ed il reddito come dichiarato, notificava alla RAGIONE_SOCIALE, poi dichiarata fallita, attiva nel commercio di ‘confezioni per adulti’ all’epoca dei fatti oggetto di verifica fiscale, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, mediante il quale contestava maggiori ricavi non dichiarati e conseguenti maggiori tributi ai fini Ires, Iva ed Irap (sent. CTR, p. 2), con riferimento all’anno 2001.
La contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Taranto, proponendo plurime censure e contestando in primo luogo il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento e comunque la radicale inattendibilità della percentuale di ricarico come calcolata ed applicata dall’Ufficio. La CTP riteneva fondate le difese proposte dalla società, ed annullava l’atto impositivo.
L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso la decisione sfavorevole assunta dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto. La CTR rigettava il ricorso e confermava la decisione della CTP.
Avverso la decisione assunta dal giudice dell’appello ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad uno strumento di impugnazione. La contribuente resiste mediante controricorso.
Motivi della decisione
Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 o 4, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., per avere la CTR riconosciuto l’inattendibilità della contabilità
della società accertata ed avere poi integralmente annullato l’avviso di accertamento, senza invece procedere a calcolare la corretta percentuale di ricarico, se quella proposta dall’Agenzia delle Entrate non doveva ritenersi congrua.
La controricorrente ha replicato affermando, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso proposto dall’Ente impositore. La società ha sostenuto che in realtà, sia pure nella veste della contestazione della violazione di legge e della nullità della sentenza, l’Amministrazione finanziaria domanda rinnovarsi l’accertamento del giudizio sul fatto al Giudice di legittimità, il che non è consentito. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate non ha indicato come e dove abbia proposto le proprie critiche in materia di obbligo del giudice di provvedere egli alla riquantificazione della percentuale di ricarico.
Invero le censure di inammissibilità risultano non condivisibili. L’Amministrazione finanziaria indica infatti mediante quali atti avesse proposto le proprie lagnanze in sede di impugnazione, e riassume le critiche introdotte.
Non solo. L’Agenzia delle Entrate propone in definitiva una sola contestazione, sostenendo che se il giudice tributario accerta l’inattendibilità della contabilità come dichiarata dalla società, e ritiene non convincente la ricostruzione della contabilità come operata dall’Amministrazione finanziaria, deve procedere ad effettuare lui il corretto ricalcolo, e non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo. La questione posta dalla ricorrente, pertanto, è problematica di diritto, ed il ricorso risulta ammissibile.
Occorre quindi sinteticamente ricordare che le ragioni della parziale inattendibilità della contabilità, e pertanto del ricorso al metodo di ricostruzione del reddito analitico-induttivo dovevano in primo luogo ricercarsi, nella tesi dell’Ente impositore, nella incongruenza dei capi in giacenza al momento dell’accesso (4.8.2004), e nella mancata indicazione dettagliata (divisa per
categorie) delle rimanenze di merce. Il valore del ricarico è stato calcolato dai verificatori in base ai prezzi di acquisto delle merci (fatture di acquisto 2000), e dei prezzi di rivendita emergenti dal ‘giornale di fondo’ redatto dall’impresa. Emergeva, in conseguenza, l’accertamento di una percentuale di ricarico pari al 109,40% per l’anno 2001.
4.1. La contribuente proponeva una pluralità di critiche per affermare l’inattendibilità del calcolo dei ricavi effettuato dall’Amministrazione finanziaria. Contestava infatti, tra l’altro, che negli scontrini di vendita non erano riportate le percentuali di sconto applicate, ed i capi venduti erano stati indicati cumulativamente nel loro valore complessivo, anche se con un solo atto erano stati venduti più capi. Inoltre la società aveva conseguito una modesta redditività, tanto che pochi anni dopo era fallita.
4.2. La CTR ha richiamato le ragioni giustificatrici dell’accertamento proposte dall’Amministrazione finanziaria, ed ha quindi affermato di condividere le valutazioni espresse dai giudici di primo grado. Ha perciò osservato che il calcolo dei maggiori ricavi effettuato sulla base della semplice media, non ponderata, dei prezzi complessivi di acquisto e di vendita delle merci, ‘non risponde a canoni di coerenza logica e congruità e la percentuale di ricarica così determinata non può essere considerata ‘fatto noto’ sul quale fondare la ulteriore presunzione di ricavi non dichiarati’ (sent. CTR, p. 9), ed il giudice dell’appello ha quindi riportato le già ricordate ragioni di opposizione della società, concludendo per la conferma dell’annullamento dell’atto impositivo.
La CTR, pertanto, non ha affermato che la contabilità della società in relazione all’anno 2001 fosse attendibile, come invece ritiene la controricorrente, ed i rilievi dell’Amministrazione finanziaria fossero infondati. Ha ritenuto però che le modalità di
calcolo della percentuale di ricarico adottate dall’Agenzia delle Entrate non rispondano a canoni di coerenza logica e congruità.
In una simile circostanza il giudice del merito non deve disporre l’annullamento dell’accertamento tributario, di cui ha riconosciuto il legittimo fondamento, ma deve provvedere al corretto ricalcolo della percentuale di ricarico applicata dall’Amministrazione finanziaria, che ritiene non adeguata.
5.1. Questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di chiarire, in proposito, che ‘il processo tributario non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che, ove il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale (e non anche l’assoluta nullità dell’atto), non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo che la rappresenta, ma è tenuto a quantificare la corretta pretesa dell’Amministrazione, sia pure entro i limiti tracciati dai petita delle parti’, Cass. sez. V, 28.11.2014, n. 25317, e non si è mancato, condivisibilmente e più di recente, di specificare che ‘il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare in toto l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal petitum delle parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c. in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando
invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria’, Cass. sez. V, 9.2.2021, n. 3080.
6. In definitiva, in considerazione della normativa applicabile come interpretata da questa Corte di legittimità, il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria risulta fondato e deve essere accolto, cassandosi la decisione impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sezione staccata di Taranto, perché proceda a nuovo giudizio.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , cassa la decisione impugnata e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sezione staccata di Taranto perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 20 febbraio 2025.