Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34644 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34644 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 12384-2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE snc DI RAGIONE_SOCIALE , c.f. 03642890713, in persona del legale rappresentante p.t., CODA NOME, c.f. CODICE_FISCALE, CODA NOME , c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati in Roma, al INDIRIZZO.INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
Controricorrenti
Avverso la sentenza n. 3111/27/2017 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, depositata il 27.10.2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 12.09.2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Accertamento -Indagini bancarie -Prova -Consumazione del potere accertativo dell’AdE
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate notificò alla società RAGIONE_SOCIALE in nome collettivo, nonché ai soci COGNOME NOME e NOME, tre avvisi d’accertamento, relativi a ll’anno d’imposta 20 10, con cui rideterminò l’imponibile del la società, ai fini Iva ed Irap, e dei soci, ai fini Irpef per il reddito di partecipazione, per il principio di trasparenza a loro attribuito ex art. 5 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917, con conseguente pretesa di maggiori imposte e irrogazione di sanzioni.
Gli atti impositivi, emessi dalla direzione provinciale di Foggia nei confronti della società e del COGNOME Claudio, da quella di Pescara nei riguardi di COGNOME NOME, erano fondati in parte sull’addebito di operazioni oggettivamente inesistenti, formalmente concluse con la RAGIONE_SOCIALE, in parte sulla verifica dei conti correnti sociali, quanto alle operazioni di prelievo e versamento ritenute non giustificate.
Impugnati dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Foggia gli avvisi d’accertamento, le controversie esita rono nella sentenza n. 1538/06/2014, che, quanto alla società ed a COGNOME NOME, e su espressa richiesta dell’ufficio, dichiar ò cessata la materia del contendere (per annullamento in autotutela degli atti medesimi), quanto al ricorso presentato da COGNOME Silvia ne accolse invece le ragioni, con conseguente annullamento dell’avviso d’accertamento notificato alla contribuente.
Successivamente, p er la medesima annualità l’ufficio dauno e quello pescarese, ciascuno per competenza territoriale sui rispettivi contribuenti, notificarono nuovi avvisi d’accertamento -per importi sovrapponibili ai precedenti e per le medesime ragioni-, avverso i quali i destinatari degli atti impositivi proposero ricorso.
Con sentenza n. 1569/02/2015 la Commissione provinciale di Foggia accolse i ricorsi dei contribuenti, quanto alla società e al COGNOME Claudio perché infondate le pretese erariali, risultando giustificate tutte le operazioni nonché le movimentazioni bancarie; quanto alla COGNOME Silvia perché la precedente sentenza, favorevole alla contribuente nel merito, era passata in giudicato con conseguente consumazione del potere accertativo dell ‘amministrazione finanziaria.
L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la pronuncia del giudice di primo grado fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, con sentenza n. 3111/27/2017.
Il giudice d’appello ha sostanzialmente ribadito le statuizioni del giudice di primo grado, reputando che, a fronte di una sentenza per la quale l’ufficio era risultato soccombente nei confronti della Coda Silvia, sentenza non impugnata e conseguentemente passata in giudicato, l’amministrazione finanziaria non avrebbe potuto rinnovare i suoi poteri accertativi e impositivi.
Quanto alla società e al RAGIONE_SOCIALE, vagliando partitamente le singole poste contestate, ha ritenuto che i contribuenti avessero giustificato tutte le operazioni, così escludendo ogni addebito.
L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, di cui ne ha chiesto la cassazione, sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso i contribuenti.
Nell’adunanza camerale del 12 settembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La commissione regionale avrebbe erroneamente ritenuto che sul pre cedente avviso d’accertamento , emesso nei confronti della COGNOME, si fosse formato un giudicato di merito, che precludeva l’emissione di un nuovo atto impositivo per consumazione de l potere accertativo dell’ufficio.
Il motivo è infondato quando non inammissibile. L ‘Amministrazione finanziaria sostiene che la prima sentenza emessa dalla Commissione provinciale di Foggia, quanto alla posizione della ricorrente, avesse deciso solo su questioni preliminari, sollevate dalla direzione di Pescara dell’Agenzia delle entrate, ossia sull’inammissibilità del ricorso d ella contribuente e sul difetto di competenza territoriale del giudice di primo grado di Foggia. Ciò non è corretto, come si evince dalla mera lettura del passaggio motivazionale della sentenza n. 1538/06/2014, riportato nel ricorso. Da esso in particolare si ricava che quella pronuncia aveva rigettato le eccezioni preliminari sollevate dalla direzione provinciale di Pescara, dichiarato cessata la materia del contendere quanto alle posizioni della società e del RAGIONE_SOCIALE per
annullamento da parte dell’ufficio in autotutela degli atti impositivi, infine accolto il ricorso della contribuente, ritenendo «fondate le eccezioni sollevate dalla ricorrente COGNOME NOME». Nei confronti di quest’ultima il giudice aveva pertanto annullato l’avviso d’accertamento a lei indirizzato. Poiché, per quanto riportato, non è dato comprendere in cosa consistessero tali eccezioni, sotto tale profilo il primo motivo è del tutto privo di specificità, non chiarendo in cosa il successivo avviso d’accerta mento notificato il 29 settembre 2014 si distinguesse dal primo.
Si tratta peraltro di sentenza pacificamente passata in giudicato nei riguardi della COGNOME NOME, atteso che risulta incontestabile, come evidenziato dalla contribuente e non contraddetto dall’ufficio, che la primitiva decisione fu oggetto di esplicita acquiescenza da parte della direzione provinciale di Pescara.
Ma anche volendo superare la questione del giudicato, l’ Amministrazione finanziaria non chiarisce se tale secondo atto fosse stato emesso nel legittimo esercizio dei poteri accertativi, essendo prioritariamente necessario escludere la loro consumazione.
Va rammentato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il requisito della novità che giustifica l’accertamento integrativo ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non ricorre quando si tratti di diversa, o più approfondita, valutazione del materiale probatorio già acquisito dall’ufficio, in quanto con l’emissione dell’atto di rettifica l’ufficio consuma il suo potere di accertamento in relazione al materiale probatorio a sua disposizione (Cass., 3 aprile 2013, n. 8029). Nel caso di specie mancano elementi per comprendere se il nuovo atto impositivo fosse stato emesso sulla base di una mera rivalutazione o di un maggior apprendimento di dati già originariamente in possesso dell’ufficio procedente, circostanza impeditiva di un rinnovato esercizio del potere d’accertamento (cfr. Cass., 15 gennaio 2006, n. 576; 18 ottobre 2018, n. 26191; 16 marzo 2020, n. 7293).
Peraltro, l’ufficio non si è neppure peritato di far comprendere in cosa e per quali ragioni, giuridiche e/o fattuali, il nuovo avviso d’accertamento si distinguesse dal precedente annullato in sede giurisdizionale. Ciò rende insuperabile l’ulteriore limite al rinnovo dell’atto impositivo, atteso che l’art.
RGN 12384/2018 Consigliere rel. COGNOME cit., nella parte in cui pur consente modificazioni dell’avviso di
accertamento in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera tuttavia con riguardo ad un avviso annullato in sede di autotutela, quando la sua rinnovazione cui l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere di correzione degli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge- costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo (Cass., 5 maggio 2023, n. 11849).
In conclusione, il motivo va respinto.
Con il secondo motivo l’ufficio ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché dell’art. 39, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; inoltre la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ., e 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Il giudice d’appello avrebbe errato nel riconoscere l’idoneità delle giustificazioni addotte dai contribuenti relativamente alle operazioni bancarie di prelevamento rilevate e contestate dall’ufficio. A par ere d ell’amministrazione finanziaria si tratterebbe di giustificazioni inidonee, perché insufficiente la mera indicazione del beneficiario dei prelevamenti. La motivazione sarebbe inoltre viziata radicalmente dalla sua omissione , sotto il profilo dell’ apparenza.
Con il terzo motivo la ricorrente si è doluta della violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, dell’art. 39, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 , dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ. Le valutazioni della Commissione regionale sarebbero errate anche con riferimento alle operazioni di versamento, per aver trascurato che le giustificazioni rese dai contribuenti e apprezzate dal collegio erano generiche e non analitiche, omettendo di accertare il rapporto tra ogni operazione e i singoli incassi e le rispettive causali.
I motivi, che trovano trattazione unitaria per essere tra loro connessi, sono infondati.
Intanto è infondata la denuncia, formulata con il secondo motivo, del vizio di nullità della sentenza per motivazione apparente.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). In sede di gravame, si è affermato che non è viziata la decisione quando motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che sia comprensibile se a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
RGN 12384/2018 Consigliere rel. NOME Nel caso di specie, con riguardo ai versamenti -ed invero anche con riferimento ai prelevamenti, il giudice d’appello ha condiviso le ragioni del
giudice di primo grado, ed ha peraltro esaminato partitamente numerose operazioni, vagliando dunque anche in via autonoma quanto emerso nella verifica del conto corrente bancario della società, richiamando le giustificazioni addotte dalla difesa dei contribuenti, esprimendo le proprie valutazioni in modo chiaro, esaustivo e specifico, diffondendosi per oltre due pagine con svariate osservazioni in risposta ai dubbi e alle prospettazioni di segno opposto della difesa erariale.
Emerge che non solo la motivazione della pronuncia esula dal vizio dell’apparenza, ma, più in generale, essa rispetta i principi di diritto in tema di valutazione delle operazioni bancarie e di riscontro, a fronte della prova presuntiva acquisita in sede d i verifica dall’ufficio, delle controprove addotte dalla contribuente.
Quanto alle regole di interpretazione e di applicazione delle norme vigenti in materia di accertamento dei redditi a mezzo di verifica sui conti correnti bancari del contribuente, occorre ricordare che questa Corte ha affermato che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’ Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria; la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è neppure condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio (Cass., 15 maggio 2013, n. 11624; 27 febbraio 2019, n. 5777).
Peraltro, i l concreto atteggiarsi dell’onere probatorio incombente sull’Amministrazione finanziaria è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 27 giugno 2011, n. 14041; 26 aprile 2017, n. 10249; 29 luglio 2016, n. 15857; 20 marzo 2019, n. 7758). Non è dunque sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass., 18
settembre 2013, n. 21303; 11 marzo 2015, n. 4829). Quello che dunque viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è la analiticità della prova allegata. La sua specificità ed analiticità consente infatti di superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore , perché alla specificità della prova contraria deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente ( ex multis , Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700).
Pertanto, dalla stessa lettura delle norme, secondo la consolidata interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità sull ‘art. 32 cit., così come su ll’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i dati emergenti dall’esame delle movimentazioni bancarie sui conti correnti , a cui l’Amministrazione finanziaria abbia avuto accesso, sono presuntivamente riconducibili ad operazioni economiche del contribuente, e come tali confluiscono direttamente nel suo imponibile. Si tratta tuttavia di presunzione legale relativa, che può essere contrastata dalla prova contraria allegata dal contribuente.
Al contribuente la norma medesima riconosce infatti il diritto di allegazione delle prove contrarie, così attuandosi una mera inversione dell’onere probatorio, anche logica e corretta , perché è indiscutibile che la dimostrazione della estraneità di una movimentazione bancaria ad operazioni economiche afferenti l’attività del contribuente richiede che chi ne è onerato si trovi in una posizione di ‘vicinanza’ alla prova, possa cioè più agevolmente dimostrare il contrario di quanto presunto. Una volta allegata la prova contraria, al giudice si imporrà una valutazione altrettanto analitica degli elementi probatori ricondotti nel processo dal contribuente.
Ebbene, nel caso di specie, e per quanto già chiarito, la motivazione del giudice regionale è certamente coerente rispetto ai principi di diritto illustrati, avendo egli evidenziato le movimentazioni bancarie e tuttavia anche le prove con le quali il contribuente ha dimostrato l’estraneità di una o più delle movimentazioni al reddito d’impresa e all’imponibile Iva. All’esito di tale ampia valutazione ne ha riconosciuto l’efficacia e la sufficienza .
A fronte di tale attenta ponderazione, le critiche mosse dall’ufficio in realtà rivelano più che altro l’intento di pretendere una rivalutazione dei dati probatori, ossia il merito della controversia. Ma ciò è inibito in sede di legittimità.
I motivi sono pertanto infondati anche quanto alla pretesa violazione delle regole d’interpretazione delle norme invocate.
C on il quarto motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione avrebbe errato nella ponderazione degli elementi addotti dai contribuenti al fine di dimostrare l’inerenza e competenza dei costi sopportati nell’esercizio della propria attività d’impresa.
Anche questo motivo risulta infondato, poiché il giudice d’appello, al contrario di quanto assume la difesa erariale, ha valutato tale ulteriore aspetto, relazionato alla denuncia del compimento di operazioni oggettivamente inesistenti. Sul punto, rispetto a quanto affermato dall’ufficio, secondo cui nella fattura n. 750 del 2010, emessa dalla ditta RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto di beni strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa della RAGIONE_SOCIALE, non emergerebbe con chiarezza cosa sia stato effettivamente venduto, la Commissione regionale ha rilevato che dalla fattura «si evince con chiarezza l’elenco dei beni acquistat i dalla RAGIONE_SOCIALE, inoltre, si rileva, che tanti assegni emessi a favore della RAGIONE_SOCIALE sono stati ritenuti giustificati dalla stessa Agenzia» (in sede di contraddittorio e di accertamento con adesione).
Si tratta di un accertamento in fatto che la ricorrente pretende di mettere in discussione sotto la falsa prospettazione dell’errore di diritto, ma in realtà impingendo inammissibilmente nel merito dell’accertamento operato dal giudice di merito.
In conclusione, il ricorso è infondato e va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano
nella misura di € 7.600,00 per competenze, di € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% delle competenze e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il giorno 12 settembre 2024