Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12714 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12714 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13765/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5275/11/2015, depositata il 4 dicembre 2015;
AVVISO ACCERTAMENTO IRES -IRAP 2005.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME viste le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
A seguito di processo verbale di constatazione redatto in data 11 maggio 2010, l’Agenzia delle Entrate Direzione regionale della Lombardia emetteva, nei confronti della CNP Unicredit Vita s.p.a. (società autorizzata all’esercizio dell’attività assicurativa) due avvisi di accertamento per l’anno 2005.
In particolare, con l’avviso di accertamento n. TMB032G00535/2010 l’Ufficio riprendeva a tassazione , per l’anno d’imposta 2005 : a ) l’importo di € 43.893.924,76, per la mancata valorizzazione della rinuncia al diritto di esclusiva nei confronti di società controllata (rilievo n. 1); b ) l’importo di € 5.837.933,09 per interessi passivi ritenuti non deducibili ai fini IRAP in forza di contratti di riassicurazione (rilievo n. 2).
Con l’avviso di accertamento n. TMB072G00533/2010, invece, l’Agenzia delle Entrate recupera va a tassazione la somma di € 586.495,00 per omessa effettuazione di ritenute alla fonte, sempre per l’anno d’imposta 2005 .
Avverso tali avvisi di accertamento la società proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano la quale, previa riunione degli stessi, con sentenza n. 354/24/2011, depositata il 21 dicembre 2011, li rigettava.
Interposto gravame dalla società dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la CNP Unicredit Vita, nelle more del giudizio, rinunciava all’appello sul rilievo riguardante la
ripresa a tassazione della somma di € 43.893.924,76, a seguito di annullamento in autotutela da parte dell’Ufficio; la C.T.R., pertanto, dichiarava estinto il giudizio, con riferimento a tale rilievo, e rigettava invece l’appello sugli altri rilievi (indeducibili tà degli interessi ai fini IRAP e omessa effettuazione di ritenute alla fonte), condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la CNP Unicredit Vita s.p.a.RAGIONE_SOCIALE sulla base di sedici motivi (ricorso notificato il 1° giugno 2016).
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso .
Con decreto dell’11 dicembre 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per la pubblica udienza del 4 marzo 2025.
La società ricorrente ha depositato memoria.
All’udienza suddetta sono comparsi i procuratori delle parti, che hanno concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame è affidato, come si è detto, a sedici motivi.
1.1. Con il primo motivo la CNP Unicredit Vita RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE deduce violazione degli artt. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la sentenza impugnata era da considerare nulla, in quanto priva di motivazione circa la natura delle somme costituenti la remunerazione corrisposta per l’istituzione dei depositi di riassicurazione, avendo la C.T.R. qualificato tali somme come interessi, sulla base della ritenuta natura finanziaria delle polizze RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1882 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) c.p.c.
Rileva, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva escluso la natura di assicurazione delle polizze Are ed Artemide, in quanto sussisteva comunque l’obbligo della compagnia di corrispondere agli aventi diritto, al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (caso morte o caso vita), il valore assicurato, così come peraltro già stabilito dal Tribunale di Roma (sent. 15 giugno 2011, n. 12996) in relazione alla polizza RAGIONE_SOCIALE, e sussistendo, quindi, il c.d. rischio demografico connesso a tali polizze.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1882 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. aveva erroneamente valutato la natura dei trattati di riassicurazione in questione in base alle caratteristiche delle polizze unit linked RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, omettendo la valutazione degli elementi derivanti dai trattati di riassicurazione, ed in particolare non considerando gli ulteriori rischi assunti dai riassicuratori.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso la CNP Unicredit Vita s.p.a. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto indeducibili gli interessi corrisposti dalla società in relazione ai depositi di riassicurazione, nonostante le norme
riguardanti l’IRAP in precedenza richiamate dispongano espressamente la deducibilità degli interessi passivi.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso la CNP Unicredit RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE eccepisce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Rileva, in particolare, che la C.T.R. aveva omesso di pronunciarsi, con specifico riferimento alla doglianza riguardante l’omessa considerazione, da parte dell’Ufficio, delle osservazioni al P.V.C. sollevate dalla società contribuente ai sensi dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
1.6. Con il sesto motivo si eccepisce, invece, si eccepisce violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice di rito.
Deduce, in particolare, che, in ogni caso, ove si volesse ritenere che la mancata pronuncia sulla questione sollevata al precedente motivo integrasse un rigetto implicito, tale decisione era comunque nulla per mancanza di motivazione.
1.7. Con il settimo motivo la società ricorrente eccepisce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta di annullamento dell’avviso di accertamento IRAP, in quanto derivante da una verifica protrattasi oltre i termini previsti dall’art. 12, comma 5, della l.n. 212/2000.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso la contribuente eccepisce, invece, violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 132
c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello ste sso codice.
Deduce, in particolare, che, in ogni caso, ove si volesse ritenere che la mancata pronuncia sulla questione sollevata al precedente motivo integrasse un rigetto implicito, tale decisione era comunque nulla per mancanza di motivazione.
1.9. Con il nono motivo di ricorso la CNP Unicredit Vita s.p.a. eccepisce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, che, con riferimento all’avviso di accertamento riguardante le ritenute alla fonte, la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione attinente alla natura assicurativa dei rapporti in discussione.
1.10. Con il decimo motivo la ricorrente ripropone, con riferimento all’avviso di accertamento riguardante il recupero delle ritenute alla fonte, le questioni sollevate con i motivi di cui ai nn. 1), 2) e 3), riguardanti l’avviso di accertamento relativo al recupero degli interessi passivi.
11. Con l’undicesimo motivo si eccepisce, invece qualora fosse ritenuto insussistente il vizio di omessa pronuncia di cui al motivo n. 9) -violazione e falsa applicazione dell’art. 26 -bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Deduce, in particolare, che le somme corrisposte dalla contribuente in relazione ai depositi di riassicurazione in oggetto non potevano avere natura finanziaria, in quanto derivanti da un rapporti di deposito contraddistinto da una propria funzione di ga ranzia nell’ambi to dei trattati.
1.12. Con il dodicesimo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, l’omessa pronuncia, da parte della C.T.R., sulla richiesta di annullamento dell’avviso di accertamento riguardante le ritenute alla fonte, per omessa valutazione e motivazione rispetto alle osservazioni formulate dalla società ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000.
1.13. Con il tredicesimo motivo la società contribuente eccepisce, invece, violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice di rito.
Rileva, in particolare, che, ove si volesse ritenere che la C.T.R. aveva implicitamente rigettato il motivo di ricorso afferente alla nullità dell’avviso di accertamento riguardante le ritenute alla fonte per omessa valutazione e motivazione rispetto alle osservazioni proposte ai sensi dell’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000, tale decisione era comunque nulla per assenza di motivazione.
1.14. Con il quattordicesimo motivo si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva rigettato le doglianze in relazione alla durata della verifica fiscale, affermando che i giorni di durata della stessa erano stati di 57 giorni, e che, in ogni caso, il mancato rispetto dei termini non determinava la nullità dell’avviso ‘ritenute’.
1.15. Con il quindicesimo motivo la ricorrente eccepisce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta di annullamento delle sanzioni irrogate con entrambi gli avvisi di accertamento per assenza di cola, sussistenza di obiettive condizioni di incertezza e conformità dell’op erato della società alle indicazioni della prassi dell’Agenzia delle Entrate.
1.16. Con il sedicesimo motivo di ricorso si eccepisce, invece, violazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso c.p.c.
Osserva, in particolare, che, qualora si fosse ritenuto che la C.T.R. aveva implicitamente rigettato il motivo di appello afferente alla richiesta di annullamento delle sanzioni irrogate con gli avvisi di accertamento impugnati, tale decisione era comunque nulla per assenza di motivazione.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
La ripresa a tassazione effettuata dall’Ufficio, e confermata dalla Corte territoriale, si fonda, da un lato, sulla negazione della natura assicurativa dei contratti di riassicurazione conclusi dalla società contribuente, attesa la ritenuta natura di contratti di investimento delle polizze linked che ne formavano oggetto, e, dall’altro, sulla dichiarata finalità finanziaria, connessa al finanziamento del costo rappresentato dalle provvigioni ‘precontate’, che i contratti denominati di riassicurazione nella specie perseguivano.
Sul punto, la C.T.R. ha ampiamente motivato (v. pagg. 7-89-10 della sentenza impugnata) circa la natura finanziaria dei contratti di riassicurazione in questione, risultando la componente assicurativa e di rischio collegata all’evento ‘morte’ del tutto minoritaria, e prevalendo invece la componente finanziaria degli stessi contratti, il che portava ad escludere la natura di remunerazione delle somme corrisposte per l’istituzione dei depositi di riassicurazione, e la loro qualificazione come interessi.
Non sussiste, quindi, il lamentato vizio di motivazione.
2.2. Il secondo, il terzo, il decimo ed undicesimo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti attinenti al profilo della qualificazione giuridica dei contratti di riassicurazione, e sono anch’essi infondati.
La C.T.R., con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha accertato che la causa reale dei contratti di assicurazione e riassicurazione in oggetto era di natura finanziaria e non assicurativa, in quanto il capitale da corrispondere alla scadenza contrattualmente pattuita era determinato sulla base dell’investimento effettuato dal contraente, versando alla società i premi che questa avrebbe dovuto investire nel proprio fondo. Le somme depositate presso le società riassicuratrici, inoltre, dopo la formale ‘cessione del rischio’ tramite i trattati di riassicurazione, erano calcolate in misura pari al NAV, e cioè il valore dell’investimento effettuato dall’assicurato, e non in misura correlata al ‘rischio demografico’, che sussisteva soltanto nella minimale misura del 2,5%, cioè nella maggiorazione del NAV prevista dal contratto in caso di premorienza del contraente.
La società contribuente, peraltro, non aveva ceduto alle riassicuratrici soltanto il 2,5% del NAV, bensì l’intero importo di questo, e quindi anche la componente, assolutamente preponderante, che corrispondeva al contratto di investimento e non comportava né per la compagnia né per le società riassicuratrici alcun rischio, restando il rischio di perdita totale o parziale dell’investimento linked totalmente a carico dell’assicurato.
Non ricorre, quindi, la lamentata violazione dell’art. 1882 c.c., avendo la C.T.R. correttamente escluso la causa assicurativa nei contatti di in questione (sia di assicurazione che di riassicurazione a questi collegati), ed avendo la C.T.R. correttamente applicato le regole ermeneutiche in materia contrattuale; anzi, proprio le clausole riportate a pagg. 19-20 del ricorso confermano la sostanziale estraneità del rischio ‘vita’ ai contratti sottostanti, allorché attestano che veniva trasferito alle società riassicuratrici (e trattenuto un deposito fruttifero dalla società cedente) l’intero montante del NAV, cioè dei versamenti dei premi e del rendimento del fondo collegato, con in più il 2,5% a titolo di copertura del caso morte.
Neppure può configurarsi il trasferimento di un rischio con riferimento alle provvigioni precontate, che le società riassicuratrici -come si ammette a pagg. 20-21 del ricorso -anticipavano alla società, così finanziandola. Il rischio ivi paventato, e cioè che le provvigioni precontate non venissero rimborsate per morte del contraente prima della scadenza del contratto o per riscatto anticipato dello stesso, costituisce una forma di alea normale del contratto di finanziamento, cioè il rischio di inadempimento totale o parziale da parte del
finanziato della propria obbligazione restitutoria; trattasi, pertanto, di un rischio meramente eventuale, e non certo qualificante dei contratti di riassicurazione, che, al contrario, vennero stipulati sul presupposto che le provvigioni precontate potessero essere recuperate dalle riassicuratrici che le avevano anticipate attraverso gli interessi sui depositi del NAV.
Stante l’accertata natura finanziaria dei contratti in questione, pertanto, correttamente le somme versate dalla società sono state depositate interessi passivi, sui quali calcolare anche la ritenuta alla fonte ex art. 26 d.P.R. n. 600/1973.
2.3. Il quarto motivo deve ritenersi inammissibile.
Deduce la ricorrente che, nell’anno d’imposta 2005, gli interessi passivi erano deducibili ai fini dell’IRAP. Tale doglianza, tuttavia, come emerge dalla sentenza impugnata e dallo stesso odierno ricorso, non risulta dedotta in precedenza dalla società, avendo la ricorrente soltanto contestato la natura di interessi passivi delle somme corrisposte alle compagnie di riassicurazione, e la natura finanziaria dei relativi contratti; né la ricorrente ha specificato -ai fini dell’autosufficienza del ricorso -in quale punto dei ricorsi di merito abbia formulato uno specifico motivo di impugnazione, relativo alla dedotta indeducibilità degli interessi passivi ai fini IRAP.
2.4. Il quinto, il sesto, il dodicesimo ed il tredicesimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti riguardanti la questione dell’omessa valutazione, da parte dell’Ufficio, delle osservazioni formulate dalla contribuente ex art. 12, comma 7, l. n. 212/2000, e sono infondati.
Ed invero, al di là della questione dell’omessa pronuncia sulla relativa eccezione sollevata dalla contribuente circa la mancata
considerazioni, da parte dell’Ufficio, delle osservazioni formulate all’esito del P.V.C. ex art. 12, comma 7, l. n. 212/2000, deve rilevarsi che è comunque valido l’avviso di accertamento che non menziona tali osservazioni, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali è espressamente prevista dalla legge oppure da cui deriva una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e che, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. 7 maggio 2024, n. 12343; Cass. 31 marzo 2017, n. 8378).
2.5. Anche il settimo, l’ ottavo ed il quattordicesimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, e sono infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12, comma 5, della legge n. 212/2000, non determina la decadenza del fisco dal potere-dovere di accertare il debito del contribuente e, quindi, non inficia la validità dell’accertamento, poiché non si tratta di un termine perentorio, in mancanza di una specifica disposizione in tal senso e attesa l’incongruità di una siffatta qualificazione rispetto alla sua ratio ed alla possibilità di deroga con il mero consenso motivato del dirigente interno (Cass. 15 aprile 2015, n. 7584; Cass. 17 luglio 2014, n. 16323).
Inoltre, il quinto comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel fissare agli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria il termine di trenta giorni lavorativi (successivamente prorogabile) di permanenza presso
la sede del contribuente, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta presso tale sede, escludendo, quindi, dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi (Cass. 12 maggio 2017, n. 11878; Cass. 11 novembre 2011, n. 23595).
2.6. Il nono motivo è infondato.
La C.T.R. ha ampiamente motivato sulla natura finanziaria, e non assicurativa, dei contratti di riassicurazione in esame, con riferimento alla questione riguardante la deducibilità degli interessi passivi ai fini IRAP, che non può che valere anche con riferimento alla questione della mancata applicazione delle ritenute alla fonte.
2.7. Il quindicesimo ed il sedicesimo motivo, infine, possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi afferenti al profilo delle sanzioni irrogate, e sono inammissibili.
Parte ricorrente, invero, con riferimento alle censure di omessa pronuncia o di omessa motivazione, non ha evidenziato quale sarebbe la situazione rilevante idonea a determinare l’applicazione dell’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con riferime nto all’esclusione della punibilità delle condotte accertate.
Il ricorso, pertanto, deve essere integralmente rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti per dichiarare la società ricorrente tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2025.