Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17198 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17198 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
Irpef -Redditi diversi -Plusvalenze
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29167/2017 R.G. proposto da: COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. CALABRIA, SEZIONE DISTACCATA REGGIO CALABRIA n. 1336/2017, depositata in data 22 maggio 2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 8 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. TD7010201082, ai sensi dell’art. 41-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con il quale, per l’anno di imposta 2009, recuperava a tassazione la plusvalenza, non esposta in dichiarazione, realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso dei terreni in Locri oggetto dell’atto di compravendita , redatto in data 16 marzo 2009 e registrato il 13 aprile 2009
La contribuente proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Reggio Calabria, la quale lo accoglieva parzialmente, rideterminando il valore della plusvalenza tassabile, sulla base della differenza tra il corrispettivo di vendita dichiarato ed il valore iniziale del terreno all’atto dell’acquisizione jure hereditario , in considerazione del fatto che il maggior valore stimato dall’Ufficio era stato mutuato da un avviso di rettifica in materia di imposta di registro, annullato da altra sentenza della CTP.
Contro tale sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi alla CTR della Calabria, la quale con la sentenza di cui all’epigrafe, riteneva infondato l’appello.
Avverso detta ultima la contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi , nei confronti dell’ Agenzia delle Entrate che resiste a mezzo controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La contribuente popone sei motivi.
1.1. Con il primo, denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla resistente sul presupposto che fosse stato violato l’art. 53 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 a seguito della riproposizione dei motivi attinenti alla attribuzione al suolo di un prezzo maggiore di quello dichiarato, atteso che la sentenza aveva già disposto in tal senso.
2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, cit..
Censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto fondata l’eccezione proposta dalla resistente per violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 547 del 1992, stante l’inammissibilità del motivo nuovo, non presente nel ricorso di primo grado, ancorato alla sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale. Osserva che il motivo era stato proposto con le memorie depositate in primo grado e che, in ogni caso, fondandosi su una pronuncia di incostituzionalità, non era soggetto a preclusioni.
3. Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3-5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, terzo comma, d.P. R 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 7 per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.
Censura la sentenza impugnata in quanto la CTR, nel ritenere inutile la riproposizione di questo motivo in sede di appello, non ha esaminato né si è pronunciata in merito alla doglianza, ritenendo sufficiente l’allineamento del valore al prezzo operato illegittimamente con la sentenza di primo grado, nonostante il vizio contestato costituisse causa di nullità dell’atto di accertamento impugnato.
4. Con il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3-5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 68, primo comma, d.P.r. 22 dicembre 1986, n. 917.
Assume che la CTR, nel ritenere inutile la riproposizione del motivo in sede di appello, non ha esaminato né si è pronunciata in merito alla doglianza, ritenendo sufficiente l’allineamento del valore al prezzo operato illegittimamente con la sentenza di primo grado.
1.5. Con il quinto motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 -5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, terzo comma, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto legittimo l’atto impositivo, nonostante in nessuna fase del giudizio l’Ufficio avesse dato prova sufficiente del corretto esercizio del potere di delega, non soddisfacendo l’onere probatorio posto a suo carico.
6. Con il sesto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 67, primo comma, lett. b, t.u.i.r.
Assume che la sentenza impugnata non ha tenuto in considerazione le reali caratteristiche del suolo alienato, ampiamente evidenziate in atti.
Il primo, il terzo ed il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati, se pure va in parte corretta la motivazione della sentenza impugnata.
2.1. La contribuente aveva impugnato l’atto impositivo , il quale aveva sottoposto a tassazione la plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile di proprietà, dolendosi, tra l’altro, del difetto di motivazione dello stesso -atteso che non erano spiegate le ragioni per le quali il valore del bene ceduto fosse stato ragguagliato al valore rettificato in sede di applicazione dell’imposta di registro anziché al
prezzo di vendita -e della violazione dell’art. 68 t.u.i.r. per aver attribuito un valore maggiore rispetto a detto prezzo
La sentenza di primo grado, accogliendo parzialmente il ricorso, quantificava la plusvalenza in ragione del prezzo al quale era stato venduto. La CTR, pertanto, rilevava l’inammissibilità dei detti motivi in quanto non si rapportavano con la sentenza impugnata -la quale, in parte qua , aveva accolto le ragioni della contribuente -difettando, pertanto, l’interesse ad agire.
La contribuente osserva in memoria che l’interesse a reiterare il motivo in appello derivava dal fatto che il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento avrebbe dovuto portare all’annullamento integrale dell’atto.
2.2. Sebbene la ricorrente avesse interesse ad un pronuncia di invalidità dell’atto impositivo, il motivo non poteva trovare comunque accoglimento. Questa Corte, infatti, ha chiarito che, l’avviso di accertamento ha carattere di provocatio ad opponendum , sicché l’obbligo di sua motivazione è soddisfatto, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur . (tra le più recenti Cass. 11/01/2025, n. 730) L’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato risulta pienamente soddisfatto dall’Ufficio accertatore che aveva indicato i presupposti del recupero a tassazione in ragione della plusvalenza riscontrata tra il prezzo di acquisto e quello realizzato in sede di vendita come rettificato a i fini dell’applicazione dell’imp osta di registro.
Nello stesso senso, si è precisato che rimane fermo che compete al giudice del gravame verificare se risulta accertata la percezione di una
plusvalenza imponibile da parte della contribuente, sul fondamento di criteri di stima anche diversi (Cass. 06/12/2024, n. 31372). Pertanto, restava riservato alla eventuale successiva sede contenziosa l’onere dell’Ufficio di provare nel contraddittorio con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa nel quadro del parametro prescelto e la facoltà del contribuente di dimostrare l’infondatezza della stessa. Tanto è accaduto nella fattispecie in esame in cui la CTP, pur confermando la leg ittimità dell’atto impositivo, ha ridotto la pretesa adeguandola al prezzo che risultava dalla vendita.
2.3. Con riferimento, invece, al quarto motivo, non può che rilevarsi che correttamente la CTR ha rilevato il difetto di interesse del contribuente in quanto le doglianze relative al medesimo -ovvero che la plusvalenza era stata determinata avendo ad oggetto la rettifica del valore disposta in sede di applicazione dell’imposta di registro, anzic hé il prezzo di vendita -aveva già trovato accoglimento in primo grado. Resta, pertanto, irrilevante il giudicato favorevole formatosi nel giudizio avente ad ogget to l’imposta di registro.
Il secondo ed il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto la questione relativa alla sottoscrizione dell’atto impositivo , sono inammissibili.
3.1. La CTR ha rigettato il motivo relativo al vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo con una doppia motivazione. In primo luogo ha ritenuto che la sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015 non potesse giustificare l’ingresso nel giudizio di motivi di impugnazione non tempestivamente proposti con «il ricorso introduttivo». In secondo luogo, si è pronunciata nel merito del motivo ritenendolo infondato.
3.2. Per orientamento consolidato di questa Corte qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità con la quale si è spogliato della potestas iudicand i in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza
argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundan tiam nella sentenza gravata(Cass. Sez. U. 20/02/2007, n. 3840 ribadita, tra le altre, di recente da Cass. 29/01/2024, n. 2722).
Il quinto motivo, pertanto, è inammissibile per tale ragione.
3.3. Quanto al secondo motivo, la contribuente nel rilevare che la questione era stata posta già nelle memorie depositate in primo grado, non si confronta con la sentenza impugnata che ha ritenuto, per altro correttamente, di individuare lo sb arramento all’ ingresso di motivi di impugnazione con riferimento al ricorso introduttivo, né può ritenersi che la pronuncia di incostituzionalità giustifichi l’introduzione di motivi connessi ad una violazione di legge mai prima prospettata.
Nelle ipotesi di invalidità degli atti impositivi opera il generale principio di conversione dei vizi in motivi di gravame, in ragione della struttura impugnatoria del processo tributario, nel quale la contestazione della pretesa fiscale è suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto, sicché le nullità, ove non dedotte con il ricorso originario, non possono essere rilevate d’ufficio né fatte valere per la prima volta nel giudizio di legittimità. (Cass. 18/05/2018, n. 12313).
Va aggiunto che la nullità dell’avviso di accertamento – nella quale rientra il caso di sua sottoscrizione da persona diversa da quelle indicate nel primo comma dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e per la quale, peraltro, vale anche l’espressa previsione di cui al all’art. 61, secondo comma, d.P.R. cit. – non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è
ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio” (Cass. 14/09/2021, n. 24669).
L’ambito della cognizione del giudice tributario, ai sensi dell’art. 24 d.lgs. n. 546 del 1992, può essere modificato esclusivamente nei casi legittimanti la presentazione di motivi aggiunti (deposito di documenti non conosciuti ad opera di una delle parti o per ordine della commissione);
Inoltre, questa Corte, proprio con riferimento alla citata sentenza n 37 del 2015 della Corte Costituzionale, ha già precisato che la sopravvenienza della stessa non legittima alcuna rimessione in termini ai fini della proposizione di uno specifico motivo sul punto non proposto, neppure consente di attribuire ex post rilievo alla sentenza stessa. Va rammentato, infatti, che gli effetti retroattivi, nei giudizi tributari pendenti, di una pronuncia d’incostituzionalità sopravvenuta in corso di giudizio, si esplicano entro il limite dei rapporti esauriti ex artt. 136 Cost. e 30 legge n. 87 del 1953, talché, avuto riguardo alla natura impugnatoria del processo tributario, il giudice può e deve, anche d’ufficio, dare applicazione alla pronuncia d’incostituzionalità, a condizione tuttavia che la parte abbia introdotto mediante tempestiva proposizione dell’impugnazione, (o con motivi aggiunti ma nei modi e termini consentiti) la questione ed i connessi fatti principali e secondari su cui il giudice stesso deve pronunciare, facendo emergere la rilevanza delle disposizioni di legge sottoposte allo scrutinio di costituzionalità (Cass. 15/04/2024, n. 10097).
La contribuente ha precisato nel ricorso che la questione non costituiva motivo aggiunto in quanto riconducibile all’originaria causa petendi stante l’eccepita nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione.
All’evidenza, tuttavia, il vizio di motivazione dell’atto è del tutto difforme rispetto al vi zio di sottoscrizione dell’atto in quanto fondato su diversi fatti costitutivi.
La contribuente non allega e non dimostra (nemmeno dinanzi a specifica eccezione dell’Agenzia nel controricorso) di aver in alcun modo introdotto -entro le barriere preclusive in primo grado -la questione della sottoscrizione dell’avviso, né di aver fatto emergere la rilevanza (indipendentemente dalla proposizione dell’incidente di costituzionalità) delle disposizioni di legge dichiarate costituzionalmente illegittime.
Il sesto motivo è infondato.
4.1. L’art.67 t.u.i.r. (già 81) stabilisce, per quanto di rilievo nel giudizio, che sono redditi diversi «in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione suscettibili di utilizzazione edificatoria».
L’art. 36, comma 2, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, rubricato «Recupero di base imponibile», ha chiarito che «Ai fini dell’applicazione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo».
4.2. In seguito a quest’ultimo intervento legislativo, le Sezioni Unite della Corte hanno osservato che l’art. 36, comma 2, cit. -a fronte di una norma originaria che non specificava se, ai fini fiscali, lo strumento urbanistico dovesse essere soltanto adottato o anche approvato -ha fornito una chiave interpretativa che, per espressa volontà del
legislatore, deve essere utilizzata nell’applicazione delle disposizioni ivi richiamate; che la ratio va ravvisata nelle diverse finalità perseguite dalla legislazione urbanistica (volta al corretto uso del territorio urbano e a regolare lo ius edificandi, esercitabile soltanto quando si siano perfezionati gli strumenti urbanistici) rispetto a quelle della legislazione fiscale (volta ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello jus edificandi , fino al perfezionamento dello stesso) e nella diversità di presupposti tra lo ius edficandi , richiedente il perfezionamento delle relative procedure, e lo ius valutandi , per il quale è sufficiente l’avvio di tali procedure. Un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile allo scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione degli strumenti attuativi del medesimo perché già l’avvio della procedura per la formazione del P.R.G. determina un’impennata di valore, pur con tutti i necessari distinguo riferiti alle zone ed alla necessità di ulteriori passaggi procedurali (Cass., Sez. U., 30/11/2006, n. 25505-6).
Le Sezioni Unite hanno precisato che la norma citata ha accolto la tesi sostanzialistica, propugnata dall’ente impositore, secondo la quale non occorre che lo strumento urbanistico, adottato dal Comune, abbia perfezionato il proprio iter di formazione mediante l’approvazione da parte della regione, atteso che l’adozione dello strumento urbanistico, con inserimento di un terreno con destinazione edificatoria, imprime al bene una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di difficile reversibilità. In altri termini, hanno ritenuto che con l’avvio del procedimento amministrativo di trasformazione urbanistica di un suolo si avvia anche un parallelo processo di trasformazione economica dello stesso, che non consente
più la valutazione, ai fini fiscali, secondo il criterio del reddito dominicale, criterio del resto superato da più concreti criteri di valutazione economica.
La successiva giurisprudenza ha ribadito in primo luogo che tale disposizione ha portata di interpretazione autentica (Cass. 10/08/2016, n. 16936, Cass. 20/02/2014, n. 4116); di conseguenza, ha efficacia retroattiva e generale, applicabile in tutti i casi in cui venga in rilievo l’utilizzazione edificatoria di terreni (in tal senso, Cass. 19/12/2014, n. 27077). Inoltre, si è consolidato il principio secondo cui, in tema di imposte sui redditi, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, che concorrono a formare il reddito imponibile secondo l’art. 67 t.u.i.r. vanno individuate sulla base dell’interpretazione fornita dal d.l.. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248,
Pertanto, sul tema in discussione, la giurisprudenza di questa Corte è ormai costantemente orientata nel senso che, ai fini dell’assoggettamento a imposizione delle plusvalenze derivanti da espropriazioni o cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, è necessario verificar e se l’area sia inserita in una delle zone omogenee previste dall’art. 11, comma 5, della L. n. 413 del 1991 per effetto dello strumento urbanistico generale o del piano attuativo, non rilevando, invece, la sua vocazione edificatoria o agricola fondata sulle previsioni dello strumento urbanistico locale (cfr tra le più recenti Cass. 29/10/2024, n. 27929) .
Nello stesso senso si è pure precisato, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, che ai fini della sussistenza del presupposto impositivo di cui all’art. 81 t.u.i.r. (oggi 67) occorre unicamente fare riferimento alla qualificazione dell’area attribuita dal PRG adottato dal
Comune, indipendentemente dal perfezionamento del relativo iter procedimentale e dal successivo rilascio della concessione edilizia (Cass. 26/01/2015, n. 1286)
4.3. Orbene – incontroversa la collocazione del bene in zona B (precisamente B2) come confermato in ricorso, la CTR ha correttamente ritenuto sufficiente, ai fini della tassazione, la mera potenzialità edificatoria, ricollegabile alle previsione del PRG, a prescind ere dalla concreta edificabilità, subordinata all’emanazione degli strumenti urbanistici attuativi.
4 .4. La contribuente in sede di memoria afferma che l’area era stata esclusa dall’edilizia ad uso privato, a qualsiasi titolo e scopo, poiché destinata al completamento di una struttura di pubblico servizio, ad iniziativa esclusivamente pubblica.
Va rilevato che in sede di ricorso la ricorrente (cfr. pag. 18) ha affermato, riportandosi alla propria relazione di parte, che, in astratto, il terreno poteva essere considerato edificatorio, ma che, in concreto, tale edificazione era resa impossibile fino a quando per iniziativa pubblica non fosse stato redatto un piano particolareggiato volto a governare il comparto edilizio B2. Solo in via astratta, invece, ha affermato che la qualificazione del terreno come edificabile restava esclusa per il terreno che si trovi in una zona a vincolo speciale (cfr. pag. 19).
Sotto tale profilo, tuttavia, il motivo è inammissibile in quanto la CTR non ha proprio affrontato la specifica questione adombrata con dette deduzioni in merito alla suscettività edificatoria esclusivamente pe mano pubblica. Invero, nel ricorso si fa riferimento all’iniziativa pubblica solo con riferimento all’adozio ne del piano particolareggiato.
Il giudizio d’appello, per come ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto la specifica questione dedotta con la memoria. E’ noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione
devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito. (Cass. 24/01/2019, n. 2038).
5. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, l’ 8 maggio 2025.