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Plusvalenza terreno: la vendita a prezzo basso è ok

La Corte di Cassazione ha stabilito che un contribuente che rivaluta un terreno edificabile tramite perizia giurata e paga l’imposta sostitutiva (affrancamento), non perde il beneficio fiscale se successivamente vende il bene a un prezzo inferiore a quello di perizia. L’Agenzia delle Entrate non può disconoscere la rivalutazione e calcolare la plusvalenza terreno sul costo storico, poiché nessuna norma prevede la decadenza del beneficio in caso di vendita a un prezzo più basso.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Plusvalenza Terreno: Vendere a Prezzo Inferiore alla Perizia è Legittimo

L’operazione di rivalutazione di un immobile è uno strumento fondamentale per ottimizzare il carico fiscale in caso di futura vendita. Tuttavia, cosa succede se il bene viene poi ceduto a un prezzo inferiore rispetto a quello stabilito nella perizia di stima? L’Agenzia delle Entrate può contestare l’operazione e calcolare la plusvalenza terreno sul valore originario? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza su questo punto, confermando un principio a tutela del contribuente.

I Fatti del Caso: Una Rivalutazione Contestata

Un contribuente, proprietario di un terreno edificabile, aveva usufruito della facoltà di rideterminare il valore fiscale del bene, come previsto dalla legge. Attraverso una perizia giurata, il valore del terreno era stato fissato a oltre 2,8 milioni di euro. Su tale importo, il contribuente aveva correttamente versato l’imposta sostitutiva del 4%, perfezionando così l’operazione di “affrancamento”.

Successivamente, il terreno veniva venduto a un prezzo significativamente inferiore, pari a circa 2,4 milioni di euro. L’Agenzia delle Entrate, venuta a conoscenza della discrepanza, emetteva un avviso di accertamento. Secondo l’Ufficio, la vendita a un prezzo più basso rendeva inefficace la precedente rivalutazione, con la conseguenza che la plusvalenza doveva essere calcolata sulla base del costo storico del terreno, generando un maggior reddito imponibile ai fini IRPEF.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale gli davano ragione, annullando la pretesa del Fisco. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ricorreva in Cassazione.

La Decisione della Cassazione e la plusvalenza terreno

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, confermando la legittimità dell’operato del contribuente. I giudici hanno ribadito un principio di diritto già consolidato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 2321/2020.

Il cuore della decisione è che la legge non prevede alcuna forma di decadenza dal beneficio dell’affrancamento qualora il bene rivalutato venga poi venduto a un prezzo inferiore a quello di perizia. La perizia di stima serve a fissare il nuovo valore fiscale, che diventa il costo di riferimento per il calcolo della futura plusvalenza, ma non vincola il proprietario a vendere a quel determinato prezzo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha spiegato che la normativa sulla rivalutazione dei terreni (art. 7 della L. n. 448/2001) è una norma speciale che offre al contribuente un’opzione. Una volta che il contribuente esercita questa opzione, versando l’imposta sostitutiva, il nuovo valore rideterminato sostituisce a tutti gli effetti il costo storico.

Il fatto che il prezzo di vendita finale sia inferiore non costituisce un’anomalia o un abuso. Le dinamiche di mercato, le esigenze del venditore o altre circostanze possono legittimamente portare a una vendita a un prezzo più basso di quello stimato. L’Amministrazione finanziaria non ha il potere di “disconoscere” gli effetti della rivalutazione solo perché il corrispettivo di vendita è più basso. In sostanza, la vendita a un prezzo inferiore non determina la reviviscenza del valore storico del bene.

Il principio stabilito dalle Sezioni Unite è chiaro: la cessione dell’immobile a un corrispettivo inferiore al valore periziato non causa né la decadenza dal beneficio fiscale né la possibilità per il Fisco di accertare la plusvalenza secondo il valore storico. Il contribuente ha agito nel pieno rispetto della legge.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento favorevole ai contribuenti, offrendo certezza giuridica a chi intende avvalersi della rivalutazione dei terreni. La scelta di vendere un immobile a un prezzo inferiore rispetto alla stima non può essere utilizzata dal Fisco come pretesto per annullare gli effetti di un’operazione di affrancamento regolarmente perfezionata. Il valore che conta per il calcolo della plusvalenza terreno rimane quello rideterminato con la perizia, sul quale è già stata pagata l’imposta sostitutiva, garantendo così coerenza e stabilità al sistema fiscale.

Se rivaluto un terreno pagando l’imposta sostitutiva e poi lo vendo a un prezzo più basso, perdo il beneficio fiscale?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che vendere a un prezzo inferiore a quello di perizia non fa decadere dal beneficio dell’affrancamento fiscale. Il nuovo valore resta valido ai fini del calcolo della plusvalenza.

L’Agenzia delle Entrate può calcolare la plusvalenza terreno sul costo di acquisto originario se ho venduto a un prezzo inferiore a quello rivalutato?
No, l’Amministrazione finanziaria non può disconoscere il valore rideterminato e non può calcolare la plusvalenza partendo dal costo storico del bene. La base di calcolo rimane il valore risultante dalla perizia giurata.

La perizia di stima mi obbliga a vendere il terreno al prezzo indicato?
No, la perizia di stima non crea alcun vincolo per il venditore di alienare l’immobile al prezzo stimato. Il proprietario è libero di negoziare e accettare un corrispettivo inferiore in base alle condizioni di mercato o alle proprie esigenze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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