Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14704 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14704 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
Avv. Acc. IRPEF 2005
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20698/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di erede di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , -resistente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 833/01/2016, depositata in data 17 febbraio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. In data 30 novembre 2010 veniva emesso dall ‘ RAGIONE_SOCIALE, direzione provinciale di Roma III, un avviso di accertamento ai fini IRPEF, n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno
d’imposta 2005, con il quale si procedeva ad accertare, ex artt. 17, 67, comma primo, lett. b, e 68 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, una plusvalenza assoggettata a tassazione separata di € 280.559,00 per l’anno 2005, con riferimento alla vendita di un terreno di natura edificatoria sito nel Comune di Palombara Sabina, località Piedimonte, avvenuta con atto registrato il 9 novembre 2005.
Avverso l’ avviso di accertamento i contribuenti proponevano sia istanza di autotutela che istanza di accertamento con adesione; in data 12 aprile 2011 l’Ufficio procedeva ad emettere un provvedimento di autotutela parziale con il quale rideterminava in € 271.731,00 la plusvalenza tassabile realizzata ed una conseguenziale imposta di € 62.498,00.
I contribuenti proponevano ricorso dinanzi alla C.t.p. di Roma avverso l’avviso di accertamento originario e il provvedimento di autotutela parziale; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio , contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 3741/58/2015, accoglieva il ricorso dei contribuenti, compensando tra le parti le spese di lite.
Contro tale decisione proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva anche il contribuente NOME COGNOME, in proprio e in qualità di erede di NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 833/01/2016, depositata in data 17 febbraio 2016, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio , condannando il contribuente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’ RAGIONE_SOCIALE non ha notificato né depositato controricorso, producendo mera nota di costituzione al dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 19 marzo 2024 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 2 -quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito in Legge 30 novembre 1994, n. 656, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha ritenuto tempestivamente notificato l’atto di autotutela parziale considerandolo meramente rideterminativo nel quantum della pretesa tributaria, al contrario esso dovendo soggiacere al termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento in quanto atto di autotutela ‘in riforma’ del precedente avviso emesso dall’ufficio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 68, commi primo e secondo, del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r., in relazione a una plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, ha assunto come prezzo di acquisto nell’ipotesi di successione (ciò riguardava il caso di specie) il valore catastale del terreno rivalutato alla data di cessione e non quello dichiarato nella denuncia di successione, rivalutato secondo indici ISTAT, in questo modo utilizzando un criterio del tutto estraneo al dettato normativo.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 6, comma quarto,
Legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha ritenuto che la denuncia di successione, in possesso dell’ufficio, dovesse essere allegata dal contribuente per supportare il proprio assunto sul prezzo di acquisto, quale fatto costitutivo della pretesa, così contravvenendo sia al generale principio di riparto dell’onere probatorio che a quello per cui non possono richiedersi al contribuente documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria.
Il primo motivo di ricorso, con cui il contribuente censura l’operato della RAGIONE_SOCIALEtRAGIONE_SOCIALE per non aver ritenuto tardiva la notifica del provvedimento in autotutela emesso dall’RAGIONE_SOCIALE, è infondato.
6. Come affermato da questa Corte (Cass. 20/03/2019, n. 7751; Cass. 17/10/2014, n. 22019), «nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della “riforma” (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso). Entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico, ma fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti le rettifiche e gli accertamenti possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
Perciò i principi secondo cui, fino alla scadenza del termine per l’accertamento, questo può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla
sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi e nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio RAGIONE_SOCIALE imposte, disciplinano soltanto l’integrazione o la modificazione in aumento, rispetto all’accertamento originario, e non anche quelle in diminuzione. Soltanto le prime integrano una pretesa tributaria “nuova” rispetto a quella originaria, mentre le seconde si risolvono in una mera riduzione della pretesa originaria e, quindi, in una revoca parziale del relativo avviso. Ne deriva che – mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento – specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario, il quale si aggiunge ovvero si sostituisce a quello originario – l’integrazione solo documentale o la modificazione in diminuzione, non integrando una pretesa tributaria “nuova” , ma soltanto una pretesa “uguale o minore”, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari». Conseguentemente, l ‘avviso che si limita a riformulare l’importo in senso migliorativo per il contribuente si sostanzia in una mera riduzione della pretesa originaria e, quindi, in una revoca parziale del relativo avviso e non opera il disposto dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 se non nei limiti del termine decadenziale di cui al comma terzo («Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti…»), atteso che non si tratta di integrazione o modificazione in aumento, per la quale è previsto che debbano sussistere i ‘nuovi elementi sopravvenuti’ , bensì di modifica (postautotutela) in diminuzione.
2.1. Non sussiste, quindi, alcun nuovo atto impositivo “sostitutivo” del precedente, su cui esercitare la giurisdizione tributaria: l’avviso di accertamento impugnato, oggetto del ricorso e quindi del giudizio, doveva e deve intendersi l’atto n. NUMERO_DOCUMENTO,
così come rideterminato nel quantum della pretesa dall’atto di autotutela parziale.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione afferendo entrambi alla dichiarazione di successione, sono fondati.
Con riferimento alla doglianza con cui il contribuente censura l’operato della C.t.r. per aver ritenuto fondato l’accertamento fiscale, malgrado l’ufficio avesse assunto come prezzo di acquisto il valore catastale del terreno rivalutato alla data di cessione e non quello dichiarato nella denuncia di successione, va rilevato che, ai sensi dell’art. 68, comma 1, TUIR «Le plusvalenze di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 67 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo». Il comma 2 del medesimo articolo dispone che «per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente (…)».
3.1. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha disatteso il dato normativo allorquando ha ritenuto di opinare nel modo seguente: ‘ laddove controparte eccepisce che l’ufficio non ha considerato quale costo iniziale quello indicato nella dichiarazione di successione (…) non esplicita se detto valore ivi contenuto sia o più o meno alto rispetto a quello indicato dall’ufficio (valore catastale rivalutata alla data dell’atto) nè allega la medesima successione a supporto del proprio assunto. Tanto più che la successione da cui deriverebbe l’acquisto del terreno de quo (in comunione con gli altri eredi) risale al 1957, pertanto deve convenirsi che il valore ivi indicato difficilmente potrebbe superare quello che ha preso in
considerazione l’ufficio (rendita catastale) rivalutando per di più alla data della stipula ‘.
Tale affermazione, oltre a porsi in contrasto con il dato normativo, si palesa ultronea, a nulla rilevando che il valore indicato dall’Ufficio, con un metodo inappropriato, possa essere, ‘difficilmente’ (quindi neppure con certezza), inferiore o superiore a quello ottenuto tramite il criterio legale.
3.2. Di poi, l ‘art. 6, comma 4, della L. n. 212 del 2000, stabilisce che al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’A mministrazione finanziaria o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente medesimo. Costituisce dato incontestato che la dichiarazione di successione era stata presentata presso l’Ufficio di Palombara Sabina e registrata al n. 12, vol. 95, trascritta presso la Conservatoria dei RRII di Roma il 21/07/1958 al n. 29750 di formalità. Trattavasi, quindi, di un atto che era stata già trasmesso agli uffici competenti con la conseguenziale prova che la dichiarazione medesima già era in possesso dell’Amministrazione finanziaria anche perché dichiarata nell’atto di compravendita (registrato il 9 novembre 2005) nel quale avveniva la cessione che ha generato la plusvalenza.
3.3. Nella fattispecie in esame, ha errato la C.t.r. allorquando, disattendendo il dato normativo, ha ritenuto che la denuncia di successione, in possesso dell’ufficio, dovesse essere allegata dal contribuente per supportare il proprio assunto sul prezzo di acquisto, quale fatto costitutivo della pretesa; in tale maniera, invero, ha violato il precetto normativo secondo cui non possono richiedersi al contribuente documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria.
In conclusione, rigettato il primo motivo, vanno accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di
secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso e, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 19 marzo 2024.