Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3448 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3448 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
RAGIONE_SOCIALE
PLUSVALENZA CESSSIONE TERRENO EDIFICATORIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6040/2016 R.G. proposto da COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata presso la sede della medesima in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché
-intimata-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n. 7737/2015 depositata in data 6/08/2015, non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 16 gennaio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, rigettò l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento n. TF9011405152/2012, emesso per Irpef anno di imposta 2007, con cui era recuperata a imposizione la plusvalenza realizzata dalla vendita di un terreno sito nel Comune di Baronissi.
In particolare i giudici dell’appello evidenziarono che dagli atti non risultava pacifica la destinazione agricola del terreno alienato in quanto il certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Baronissi attestava esclusivamente in ordine alle prescrizioni urbanistiche mentre la perizia di stima risalente a molto tempo prima del rogito evidenziava una serie di elementi che inducevano a ritenere che il contribuente fosse ben conscio, al momento della vendita, dell’effettivo valore del terreno, tanto che poi l’acquirente società RAGIONE_SOCIALE aveva aderito al valore definito dall’ufficio provinciale in relazione all ‘ imposta di registro; la CTR evidenziò che, pur essendo pacifico che l’accertamento ai fini dell’imposta di registro rifletta il valore venale che è cosa diversa dal prezzo di vendita, tuttavia non era escluso che l’amministrazione finanziaria potesse procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro; tale elemento in particolare pone a carico del contribuente l’onere probatorio di superare la presunzione di
corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro dovendo egli dimostrare in concreto di aver venduto al prezzo effettivo indicato nel rogito; nel caso di specie tale presunzione trovava positivo riscontro nella oggettiva descrizione fatta dal tecnico di parte relativa alla appetibilità della zona e quindi all’effettivo valore del terreno venduto nonchè nella circostanza che nello stesso contratto di vendita emergeva che la maggior parte dell’area poteva essere utilizzata a scopo edilizio.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente sulla base di due motivi.
L’ Agenzia delle entrate resiste con controricorso mentre Equitalia RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
Il giudizio è stato fissato per l’adunanza camerale del 16/01/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art . 67, comma 1, lett. b) e dell’art. 68 t.u.i.r., in quanto la CTR avrebbe errato nella parte in cui ha considerato l’immobile oggetto di compravendita quale terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria; infatti lo strumento urbanistico adottato dal Comune di Baronissi al momento della cessione, avvenuta il 15/02/2007, identificava questo terreno nella categoria TAE3 qualificandolo come terreno in area agricola di fondovalle, con conseguente inapplicabilità della disposizione; solo successivamente era intervenuta la variazione di destinazione urbanistica tanto che la stessa sentenza aveva accertato che la richiesta era stata effettuata dalla società RAGIONE_SOCIALE avente causa dal ricorrente; ai fini dell’applicazione di tale disposizione l’ edificabilità dell’area trasferita va infatti desunta dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano
regolatore generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dalla adozione di strumenti urbanistici attuativi, sulla base dell’interpretazione fornita dall’art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2006 mentre prima dell’adozione dello strumento urbanistico non vi è materia fiscalmente rilevante; il ricorrente deduce ancora che è parimenti irrilevante l’esistenza o meno di un intento speculativo evidenziata dalla CTR e desunta da una serie di elementi fattuali evidenziati nella perizia di parte; evidenzia infine che a nulla rileva la circostanza che la vendita sia avvenuta solo sei mesi prima dell’effettiva trasformazione urbanistica del terreno così come a nulla rileva il fatto che il prezzo di cessione sia più elevato di quello generalmente riconosciuto ai terreni agricoli.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., si deduce violazione di legge con particolare riferimento all’art. 67, comma 1, lettera b) d.P.R. n. 917 del 1986, all’art. 38, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, all’art. 2729 cod. civ. ed infine all’art. 5 decreto legislativo n. 147 del 2015, evidenziando che tale ultima disposizione, entrata in vigore il 7 ottobre 2015, fornisce l’interpretazione autentica delle norme del t.u.i.r. in tema di plusvalenze, stabilendo che per le cessioni di immobili l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito dell’imposta di registro; la disposizione è applicabile retroattivamente e quindi anche al caso di specie; deduce che gli elementi posti a fondamento dell’avviso erano unicamente dati dal valore assunto ai fini dell’imposta di registro cui aveva prestato adesione l’acquirente mentre la CTR aveva utilizzato elementi privi di gravità, precisione e concordanza.
Il secondo motivo va esaminato preliminarmente in quanto il suo accoglimento consente la decisione della causa nel merito e rende superfluo l’esame del primo motivo.
L’assunto del giudice regionale si fonda infatti sull’orientamento interpretativo della disciplina anteriore alla introduzione dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, sopravvenuto alla deliberazione della sentenza.
Quest’ultima norma ha espressamente disposto che «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
Sulla scia della novella legislativa, la cui norma appena richiamata vale come interpretazione autentica della previgente disciplina, con efficacia retroattiva, dunque, questa Corte ha mutato orientamento e ha statuito che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass. n. 12131/2019; Cass. n. 9513/2018; Cass. n. 19227/2017; Cass. n. 12265/2017; Cass. n. 6135/2016; Cass. n. 11543/2016).
Pertanto, come precisato da Cass. n. 2610/2019, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in
sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione IRPEF, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo invece provvedere l’Ufficio a individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente. Allegate le prove, anche presuntive, spetterà poi a quest’ultimo, con prova contraria, contraddire alle risultanze probatorie offerte dall’Agenzia.
Nel caso di specie, la valutazione degli elementi in fatto dedotti dalle parti, evidenziata dall’Agenzia controricorrente, è viziata in radice dalla errata affermazione in diritto sul riparto degli oneri probatori in materia, secondo cui l’amministrazione finanziaria può procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di imposta di registro e che ciò fa gravare sul contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato a fini della imposta di registro; tale affermazione infatti non è conforme ai predetti principi.
Concludendo, va accolto il secondo motivo di ricorso e cassata in relazione ad esso la sentenza impugnata.
Non sussistendo ulteriori accertamenti da compiere, poiché dall’avviso di accertamento riprodotto nel ricorso emerge che l’amministrazione non indica alcun altro elemento, neanche presuntivo, ai fini della determinazione della plusvalenza, la causa va decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
Le spese del giudizio di merito, anche in relazione alla circostanza della indicata sopravvenienza normativa, vanno compensate mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia soccombente, dovendosi altresì precisare che parte ricorrente aveva
già chiesto l’estromissione di Equitalia nel giudizio di merito e che la notifica del ricorso alla stessa va considerata ai soli fini del litisconsorzio processuale.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, accoglie il ricorso del contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in euro 5.600,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento ed accessori.
Così deciso in Roma in data 16 gennaio 2025.