Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6754 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6754 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
Oggetto: Notifica appello – Art. 20 d.lgs. n. 546/1992 – Contraddittorio endoprocedimentale – Necessità Plusvalenza – Cessione di terreno edificabile – Art. 67 co. 1 lett. b) t.u.i.r.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7274/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale erede di COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente –
e
COGNOME NOME COGNOME
-intimato – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 1319/04/2018, depositata in data 30 agosto 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate notificava a NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. T7S01PF03876/2015, attinente all’IRPEF per l’anno 2010, contestando la mancata dichiarazione della plusvalenza realizzata mediante la cessione ( pro quota ) di due terreni edificabili nel 2010, richiedendo il versamento della maggiore imposta.
L’Ufficio , inoltre, notificava a NOME COGNOME e a NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. T7S01PF03880/2015, attinente all’IRPEF per l’anno 2010, contestando la mancata dichiarazione della plusvalenza realizzata mediante la cessione ( pro quota ) di due terreni nel 2010, richiedendo il versamento della maggiore imposta.
I contribuenti impugnavano gli avvisi con tre distinti atti innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cuneo, che, riuniti i ricorsi: a) annullava l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE sul presupposto della mancanza di imponibile, essendo stato il corrispettivo della vendita della propria quota utilizzato per il soddisfacimento dei creditori di NOME COGNOME; b) rigettava i ricorsi separatamente proposti dai contribuenti quali eredi di NOME COGNOME.
L’Ufficio spiegava appello avverso la sentenza di prime cure, limitatamente al decisum sfavorevole, innanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte , deducendo l’erronea interpretazione della legge circa l’asserita ‘assenza di materia imponibile’ per non essere residuato nulla al contribuente dopo il soddisfacimento dei propri creditori con la somma ricevuta a titolo di corrispettivo della vendita.
Anche NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME, impugnava la sentenza della CTP, limitatamente al decisum sfavorevole, riproponendo le doglianze avanzate in prime cure.
La CTR, riuniti i gravami, accoglieva l’appello dell’Ufficio e rigettava quello del contribuente: riguardo al primo, rilevava che la vendita non potesse ‘essere equiparata ad una espropriazione immobiliare’ costituendo ‘una ‘normale’ cessione ancorché effettuata nell’ambito di un procedimento esecutivo’ (pag. 7 della sentenza); riguardo al secondo, confermava il rigetto delle eccezioni preliminari (relative a vizi di notifica del gravame, difetto di sottoscrizione dell’accertamento e mancanza d i contraddittorio endoprocedimentale) e, nel merito, l’inesistenza di una lottizzazione non soggetta a tassazione.
Per la cassazione della citata sentenza il contribuente ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso. NOME COGNOME è rimasto intimato.
Il ricorso è stato, quindi, fissato per l ‘adunanza camerale del 20/12/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 20, commi 1 e 2, 22, comma 2, e 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, commi 1, n. 3) e 4) c.p.c. per non avere la CTR del Piemonte dichiarato l’inammissibilità / nullità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate di Cuneo per notifica dello stesso in busta chiusa anziché in plico raccomandato senza busta munito di avviso di ricevimento». Ripropone l’eccezione di inammissibilità e/o nullità dell’appello per vizi di notifica dello stesso, ovvero perché eseguita ‘in busta chiusa anziché in plico raccomandato senza busta munito di avviso di ricevimento’ (pag. 8 del ric orso), eccezione rigettata dalla CTR in quanto ritenuta mera irregolarità del procedimento notificatorio, sanata dalla costituzione dell’appellato.
Il motivo è infondato.
La decisione della CTR è sul punto conforme all’orientamento pacifico di questa Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi
secondo cui «nel processo tributario, la spedizione del ricorso o dell’atto di appello a mezzo posta in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all’atto in esso racchiuso, anziché in plico senza busta come previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, costituisce una mera irregolarità se (come nella specie) il contenuto della busta e la riferibilità al mittente non siano contestati» ( ex multis , Cass. 11/10/2013, n. 23117).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della Legge n. 212/2000 in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c. per lesione del principio del contraddittorio preventivo». Deduce, in particolare, che erroneamente la CTR, da un lato, avrebbe escluso, nella specie, l’obbligo, in capo all’Amministrazione finanziaria, di instaurare il contraddittorio preventivo, dall’altro, non avrebbe ritenuto illegittim i gli avvisi di accertamento emessi senza il rispetto del termine di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, l. 212/2000, decorrenti dall’avvio del contraddittorio, ovvero dalla comparizione del contribuente, su invito dell’Ufficio, al fine di rendere chiarimenti e depositare documentazione relativa alla compravendita stipulata nel 2010.
Il motivo è infondato.
2.1. Almeno sino al d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023 che ha introdotto nello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) l’art. 6bis, rubricato ‘principio del contraddittorio’, è mancato, al di fuori delle fattispecie normative in cui fosse espressamente previsto, un obbligo generale, in capo all’amministrazione finanziaria, di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale non poteva ricavarsi dalla previsione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, la cui applicazione è limitata, secondo il suo tenore testuale, ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente con esclusione delle verifiche
‘a tavolino’ ( ex multis , Cass. n. 36502/2022 e Cass. n. 23729/2022).
Vi sono, poi, disposizioni specifiche che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti diversamente declinati: ad es., l’art. 38, comma 7, d.P.R. n. 600/1973, in relazione alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche (a partire, però, dall’anno di imposta 2009, per effetto della modifica operata con il d.l. n. 78/2010), e l’art. 10, comma 3bis, l. 146/1998 in tema di studi di settore.
Nell’ambito del diritto eurounionale, invece, l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio in capo all’Amministrazione rappresenta un principio pienamente acquisito; l’orientamento espresso al riguardo dalla Corte di Giustizia Europea in plurime pronunce ( ex multis 24/02/2022 in causa C-582/20, RAGIONE_SOCIALE ma già 03/07/2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, è stato recepito dal giudice nazionale, il quale riconosce che i principi fondamentali del diritto europeo impongono, nell’ambito dei cosiddetti ‘tributi armonizzati’, ove ha ‘luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione’, un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preve ntiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, ma solo quando quest’ultimo assolve alla ‘prova di resistenza’ (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823 e, nella giurisprudenza successiva, ex multis , Cass. n. 9076/2021 e Cass. n. 7690/2020).
In definitiva, al di fuori delle ipotesi specifiche e dei tributi cd. armonizzati, non sussiste l’obbligo, in capo all’amministrazione finanziaria, del contraddittorio preventivo con il contribuente (da ultimo, Cass. 22/03/2024, n. 7829).
2.3. Nella specie, trattandosi di cd. controllo a tavolino nessun obbligo di contraddittorio sussisteva, né tantomeno trovava applicazione la previsione dell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 (e le
garanzie ivi previste, ovvero la redazione di un verbale, il rilascio di copia di esso al contribuente, il potere in capo a quest’ultimo di comunicare osservazioni entro sessanta giorni e l’impossibilità di emanare l’avviso di accertamento prima del decors o di detto termine). La norma, proprio con riferimento alla sua mancata applicazione ai controlli cd. a tavolino, ha superato il vaglio di costituzionalità sotto il profilo della violazione dell’art. 3 Cost. (sentenza Corte cost. n. 47/2023): il giudice delle leggi, dopo aver evidenziato l’assenza di un obbligo generalizzato in capo all’A.F. di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente (lacuna, poi, colmata dal legislatore qualche mese dopo con il d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023), ha richiamato la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia (e supra citata), a partire dall’arresto delle Sezioni Unite del 2015, e ha ricordato le numerose ipotesi specifiche (redditometro, a partire dal 2009, studi di settore) in cui tale obbligo è previsto. Ha, poi, molto opportunamente sottolineato che ‘nel procedimento di verifica fiscale in cui l’amministrazione attua il diritto dell’Unione europea, questa è tenuta ad osservare gli obblighi derivanti dal diritto a una buona amministrazione sancito dall’art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed inteso come «il diritto a che le questioni siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unio ne», tra cui le articolazioni, elencate in via esemplificativa, il paragrafo 2 prevede espressamente «il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio» (da u ltimo, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione quinta, 24 febbraio 2022, in causa C-582/20, RAGIONE_SOCIALE‘. Infine, dalla riforma del 2019 dell’accertamento con adesione (con l’introduzione dell’invito obbligatorio a comparire) ha inferito ‘un’evoluzione del sistema tale per cui l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non costituisce più un’ipotesi residuale, ma aspira ad assurgere a principio generale’. Pur
risultando la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo ‘distonica’ rispetto all’evoluzione del sistema tributario (sia a livello normativo che giurisprudenziale), la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata per l’impossibilità di estendere il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, l. 212/2000 tramite una sua sentenza, spettando piuttosto al legislatore il compito di adeguare il diritto vigente con un intervento che garantisca l’estensione del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria.
3. Con il terzo motivo il contribuente lamenta la «violazione degli articoli 1 del DPR 917/1986, nonché 3 e 53 della Costituzione in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c. per carenza del presupposto impositivo dato il contesto di esecuzione immobiliare in cui ha avuto luogo la compravendita e la carenza di possesso di reddito». Sostiene che nella specie nessuna plusvalenza sarebbe configurabile atteso che, come ammesso anche dall’Ufficio, la vendita dei terreni (di proprietà pro quota del ricorrente) era avv enuta nell’ambito dell’esecuzione immobiliare iniziata dai suoi creditori, al punto che la quota di corrispettivo a lui spettante veniva corrisposta direttamente a questi ultimi. Ad ogni modo, pur volendo considerare la detta vendita come ‘volontaria’ e non ‘coattiva’, comunque non vi sarebbero i presupposti della tassazione della plusvalenza non avendo in alcun momento il ricorrente avuto la disponibilità materiale del corrispettivo, in quanto consegnato direttamente ai suoi creditori.
Anche questo motivo è infondato.
Osserva la Corte che l’esecuzione immobiliare non è stata la ‘causa’ della vendita de qua , bensì la mera ‘occasione’, tanto è vero che l’esecuzione intrapresa dai creditori dell’odierno ricorrente in danno delle sue quote di proprietà dei terreni fu rinunciata dai creditori (cfr. pagina 4 dell’avviso di accertamento), con la conseguente liberazione degli stessi dal vincolo pignoratizio (anche
perché diversamente i proprietari non avrebbero potuto procedere alla vendita dei cespiti).
Pertanto, anche in parte qua la decisione della CTR va immune da censure di sorta, essendo, tra l’altro, completamente irrilevante ai fini della sussistenza della plusvalenza (e della conseguente tassabilità della stessa) la circostanza che l’alienante non riceva materialmente alcuna somma del corrispettivo pattuito, in quanto lo destini all’immediato soddisfacimento dei propri creditori. La legge colpisce, infatti, la manifestazione di ricchezza ed il possesso di redditi e l’una e l’altro si verificano al momento della cessione dei beni, a prescindere dalla destinazione concreta del ricavato di questa.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l ‘«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5) c.p.c. con riferimento alla asserita mancata specifica contestazione circa la ricorrenza nel caso di specie di terreni oggetto di lottizzazione ai fini dell’applicazion e del relativo regime impositivo». In particolare, afferma che la CTR, nel confermare la decisione della CTP circa la natura ‘edificabile’ dei terreni oggetto della vendita, avrebbe omesso di considerare ‘circostanze decisive per il giudizio’, ovvero l’avvenuta contestazione – sia in sede di appello incidentale (presentato in proprio) sia in sede di appello principale (presentato in qualità di erede della signora COGNOME) – degli ‘ aspetti che secondo la CTR sarebbero invece rimasti privi di critica’ (pag. 16 del ricorso). Sostiene, precisamente, di aver dimostrato di aver posto in essere una serie di attività amministrative, di opere e di investimenti, tali da ricondurre la fattispecie nell’ambito della lottizzazione.
Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
4.1. L’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis , prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti .
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazione che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 7/4/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso , che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo ; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto
di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. n. 9637/2017).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. n. 9637/2021), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. n. 10525/2022).
4.2. Pacifica, poi, l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esa me di un fatto decisivo ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/6/2016 n. 13366, in materia di idoneità delle dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
4.3. Inoltre, il vizio in esame non è denunciabile qualora le sentenze di merito siano fondate sulle medesime ragioni di fatto (cd. doppia conforme), incombendo al ricorrente in cassazione l’onere di allegare che, di contro, le due decisioni si fondino su ragioni diverse.
4.4. Ora, nella specie, a fronte di due decisioni di merito dello stesso tenore (rigetto dell’eccezione circa la natura dei terreni) e fondate sul medesimo accertamento in fatto, il contribuente non ha minimamente precisato, al fine di rendere ammissibile il motivo in parte qua , una eventuale diversità delle ragioni di fatto poste a base delle medesime; di qui l’inammissibilità del motivo.
4.5. Inoltre, alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata deve osservarsi che nella specie le circostanze delle quali sarebbe stato omesso l’esame da parte della CTR integrano non
già meri fatti ma valutazioni circa la natura edificabile o meno dei terreni oggetto della vendita ; di qui l’ulteriore profilo di inammissibilità del motivo.
Con il quinto (ed ultimo) motivo di ricorso il contribuente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 67, comma 1, lett. b, 68 e 17, c. 1, lett. g-bis del DPR 917/1986 nonché 3 e 53 della Costituzione in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c. con riferimento alla ritenuta intervenuta compravendita di terreni edificabili e non invece oggetto di lottizzazione ai fini della determinazione della relativa plusvalenza da cessione». Deduce, sotto diverso angolo prospettico (ovvero la violazione di legge), la medesima doglianza sollevata con il quarto motivo, ovvero l’errore della CTR in punto di qualificazione del terreno, oggetto della vendita del 2010, come ‘edificabile’. Sostiene che la conclusione della CTR si fonderebbe esclusivamente sul Certificato di destinazione urbanistica dei terreni, rilasciato dal Comune di Limone Piemonte il 22 giugno 2010; si tratta, però -opina il ricorrente -di un approccio ‘meramente form alistico’ che trascura circostanze concrete ostative alla qualificazione dei terreni come ‘edificabili’, ovvero: a) il mancato (immediato) rilascio del permesso di costruire, avendo ritenuto il Comune necessario ‘l’espletamento di uno specifico iter amministrativo’ (pag. 19 del ricorso); b) la necessità della preventiva approvazione di uno strumento attuativo. Il giudice del gravame avrebbe, in definitiva, equiparato ‘l’aspettativa di edificabilità’ alla ‘diretta edificabilità’ (pag. 20 del ricorso). Infine, l’interpretazione della norma fatta propria dalla CTR si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, in punto di calcolo della plusvalenza, nella parte in cui ha considerato, a questi fini, anche il periodo di tempo precedente all’entrata in vigore della norma de qua
.
Il motivo è infondato.
5.1. È necessaria una breve ricostruzione normativa e giurisprudenziale in materia.
5.2. L’art. 67, comma 1, lett. b), t.u.i.r. (in cui fu trasfuso, a partire dal 1° gennaio 2004, per effetto del d.lgs. n. 344/2003, l’art. 81) applicabile ratione temporis alla fattispecie, per effetto della modifica operata dalla legge n. 413/1991, prevedeva, per quanto qui rilevi, che costituiscono redditi diversi «in ogni caso le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione».
La cessione di terreno non edificabile poteva, invece, integrare una plusvalenza ai sensi della lettera a) della citata norma, attraverso cioè la lottizzazione del terreno e la sua successiva vendita.
Il legislatore aveva sostanzialmente previsto un regime diverso di tassazione delle plusvalenze, introducendo limiti temporali solo per quelle derivanti da cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni (norma avente chiaramente la finalità di colpire il fenomeno della speculazione immobiliare).
Il tenore letterale della lettera b) della norma è dunque nel senso che, senza che sia consentita alcuna distinzione e/o specificazione, è assoggettata a tassazione la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di terreno sul quale lo strumento urbanistico vigente (nei termini indicati sopra) consenta, a qualunque titolo e per qualunque scopo, di edificare. Non rileva pertanto cosa e a qual fine si costruisca, né in particolare che la prevista “utilizzazione edificatoria” sia meramente strumentale alla sua destinazione agricola, con conseguente possibilità di costruire, ma con le relative restrizioni (in tal senso v. Cass. 15/10/2013, n. 23316). Siffatta interpretazione non appare in contrasto con i precetti costituzionali (e, in particolare, con l’art. 3), rientrando nella piena discrezionalità del legislatore non tassare la plusvalenza solo quando la stessa ha ad oggetto terreni non suscettibili in alcun modo di utilizzazione edificatoria, e prevederne invece la tassabilità nella differente ipotesi di terreno sì agricolo, ma (sia pur con limiti) suscettibile di
edificazione. La sostenuta interpretazione è, inoltre, in linea con la successiva evoluzione legislativa, e, in particolare, con la l. n. 448 del 2001, art. 7, che prevede espressamente la tassabilità della plusvalenza “per i terreni edificabili e con destinazione agricola …” (v., in senso implicitamente conforme, Cass. nn. 30729/2011 e 8697/2011).
5.3. L’articolo 68, comma 1, t.u.i.r., prevede, infine, che «le plusvalenze di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 67 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di cost ruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo».
Circa le modalità di calcolo della plusvalenza il comma 2 dell’articolo 68 prevede, per quanto qui rilevi, che «
».
Il legislatore individua, quindi, chiaramente, nel costo di acquisto il primo parametro del calcolo della plusvalenza.
5.4. Questa Corte ha, ormai da tempo, tracciato i confini tra le due ipotesi di cessione dei terreni previste dalle lett. a) e b) dell’art. 67. Si è precisato che «la fattispecie relativa alle plusvalenze derivanti dalla vendita di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, prevista dall’art. 81 (ora art. 67), lett. b), del TUIR, si pone come regola ad eccezione rispetto a quella contemplata dalla lett. a), della medesima norma, che riguarda esclusivamente le ipotesi in cui il terreno non sia suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, ma sia interessato da interventi obiettivamente considerati di lottizzazione o di esecuzione di opere per l’edificabilità del terreno, ancorchè realizzati fuori o in contrasto con i vincoli urbanistici» (Cass. 27/06/2019, n. 17264; conf. n. 12320 /2017, che all’esito di
una compiuta evoluzione normativa delle disposizioni in questione giunge alla conclusione per cui l’ipotesi di cui alla lett. b cessione di terreni edificabili -costituisce la regola generale e ricomprende tutti i casi di terreni immediatamente edificabili, restando come residuali i casi della lett. a).
Più in particolare, questa Corte ha affermato che:
-in tema d’imposte sui redditi, non può escludersi l’imponibilità da redditi diversi delle plusvalenze immobiliari, prevista dall’art. 81 (ora 67), comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, per la sola circostanza che il terreno ceduto si trovi all’interno di zona vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, dovendosi avere riguardo alla destinazione effettiva dell’area, in quanto la potenzialità edificatoria, desumibile oltre che da strumenti urbanistici adottati o in via di adozione, anche da altri elementi, certi ed obiettivi, che attestino una concreta attitudine dell’area all’edificazione, è un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore dei terreni e rappresenta, pertanto, un indice di capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Cost. (Cass. 30/10/2018, n. 27604);
-in tema di IRPEF, ai fini della tassazione separata, quali redditi diversi, delle plusvalenze realizzate a seguito di cessioni, a titolo oneroso, di terreni dichiarati edificabili in sede di pianificazione urbanistica, l’alternativa fra edificato e non edificato non ammette un tertium genus , con la conseguenza che la cessione di un edificio, anche ove le parti abbiano pattuito la demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, non può essere riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria residua del lotto su cui insiste, essendo inibito all’Ufficio, in sede di riqualificazione, superare il diverso regime fiscale previsto tassativamente dal legislatore per la cessione di edifici e per quella dei terreni (Cass. 20/09/2024, n. 25341);
-in materia di imposte sui redditi, il presupposto applicativo dell’art. 67, lett. b), del TUIR, è costituito dalla cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti, per cui non vi può rientrare la cessione un terreno su cui sorge già un edificio, anche quando risulta presentata una domanda di concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell’immobile, risultando irrilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta (Cass. 05/11/2024, n. 28355).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infine, «le plusvalenze ‘immobiliari’ di cui all’art. 67, comma 1, lett. a) e b), del D.P.R. n. 917 del 1986, sono di regola imponibili secondo il principio di cassa, ai sensi dell’art. 68, comma 1, dello stesso decreto, in quanto il principio di competenza opera , a norma dell’art. 76 del D.P.R. n. 597 del 1973, per le sole plusvalenze aventi finalità speculative: ne deriva che il momento rilevante ai fini dell’imposizione è, nel primo caso, quello in cui il corris pettivo è percepito, e, nel secondo caso, quello in cui lo stesso corrispettivo è dichiarato nell’atto di cessione» (Cass. 25 settembre 2019, n. 23893). L’art. 68, comma 1, t.u.i.r. prevede, infatti, che le plusvalenze immobiliari sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi “percepiti” nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto. Quindi è la norma di legge che assume espressamente come momento rilevante ai fini dell’imputazione al periodo d’imposta delle plusvalenze immobiliari quello in cui i corrispettivi sono “percepiti”, così affermandosi il principio di cassa.
5.5. Ora, il ricorrente, da un lato, contesta l’affermazione della CTR circa la natura ‘edificabile’ dei terreni, dall’altro, pone la questione di come debba essere calcolata la plusvalenza nell’ipotesi (molto ricorrente nella prassi, soprattutto, per ovvi motivi, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della riforma del 1991) in cui il bene fu acquistato dal contribuente in data antecedente al 1° gennaio 1992, se cioè la norma, oltre ad applicarsi alle cessioni
intervenute dopo la sua entrata in vigore, disciplini (tassandola) solo la plusvalenza maturata successivamente alla sua entrata in vigore.
5.6. Sotto il primo profilo, la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte e sopra riportati, avendo ritenuto edificabile il terreno sulla base della certificazione comunale, che espressamente qualificava i terreni come edificabili in quanto ‘oggetto di una previsione di dettaglio del PRGC’; invero, la loro potenzialità edificatoria era, quindi, desumibile dagli strumenti urbanistici adottati (PRGC) e in via di adozione (piano di dettaglio del PRGC), a nulla rilevando le difficoltà o, comunque, gli iter amministrativi da seguire per il rilascio del permesso di costruire.
5.7. Sotto il secondo profilo, ritiene la Corte che la doglianza sia inammissibile in quanto proposta per la prima volta solo con il ricorso per cassazione.
Ad ogni modo, la stessa è anche infondata.
Deve, infatti, ritenersi che ai fini della tassazione della plusvalenza la data dell’acquisto del bene da parte del contribuente sia assolutamente indifferente ai fini de quibus , ovvero che la plusvalenza debba essere calcolata prendendo come primo momento temporale di riferimento la data di acquisto del bene, anche se antecedente al 1° gennaio 1992.
Milita in tal senso la lettera della norma, che, a differenza di altre ipotesi (ad es. art. 1 legge 102/1991), non specifica che si applichi solo alle plusvalenze ‘realizzate’ o, recte (atteso che il momento di realizzazione della plusvalenza coincide con la cessione del bene da parte del contribuente), ‘maturate’ a partire dalla data della sua entrata in vigore.
Questa Corte ha affrontato la questione della tassazione della plusvalenza conseguente alla percezione dell’indennità di esproprio di terreni edificabili secondo gli strumenti urbanistici (introdotta dalla legge n. 413/1991 e sostanzialmente parificata a quella di cui si discetta nell’odierno giudizio), affermando che la norma, disponendo per l’avvenire, rende imponibili redditi realizzati e percepiti in data
successiva all’entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data degli atti ablativi che determinano detta percezione (Cass. 19/07/2002, n. 10585). Parallelamente deve ritenersi, pertanto, che rilevi, nel caso previsto dalla lett. b) del comma 1 del t.u.i.r., esclusivamente la data della percezione del corrispettivo per la vendita del terreno edificabile, restando ininfluente la data dell’acquisto dello stesso.
L’indifferenza, ai fini de quibus , dalla data di acquisto del terreno poi rivenduto è stata ribadita nella sentenza n. 23605 del 15/09/2008, la quale ha affermato che «sono sempre tassabili, ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 917 del 1986, anche in assenza di qualsivoglia intento speculativo, le plusvalenze patrimoniali realizzate a seguito di cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, a prescindere sia dalle modalità di acquisizione degli stessi (e, pertanto, anche per successione), sia dal tempo intercorso tra acquisto e rivendita, sia dallo svolgimento o meno sui terreni di alcun tipo di attività da parte del cedente».
Nella specie, quindi, correttamente è stata ritenuta tassabile la plusvalenza realizzata per la vendita effettuata nel 2010 di cespiti acquisiti dal contribuente in data antecedente al 1° gennaio 1992, calcolando la stessa a partire dalla data dell’acquisto dei cespiti .
5.8. Va, infine, dichiarata inammissibile l’eccezione di incostituzionalità della norma per violazione degli articoli 3 e 53 Cost., in quanto formulata in termini molto generici (e confinata negli ultimi due periodi del ricorso; pagg. 22 e 23) senza minimamente indicare per quali motivi i principi di capacità contributiva e di uguaglianza risulterebbero violati.
Il ricorso va, in definitiva, integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME in proprio e nella qualità in epigrafe indicata, al pagamento, in favore della Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in euro 6.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024.