Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6760 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
Oggetto: Plusvalenza -Cessione di terreno edificabile Art. 67 co. 1 lett. b) t.u.i.r. – Atti di acquisto antecedenti al 1.1.1992 -Calcolo della plusvalenza -* Principio di diritto.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24940/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma , INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale sono rappresentate e difese ope legis ;
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 174/02/2018, depositata in data 24 gennaio 2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate notificava a NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. T7E012203476/2015, attinente all’IRPEF per l’anno 2010, contestando la mancata dichiarazione della plusvalenza realizzata mediante la cessione di due terreni edificabili nel 2010, e richiedendo il versamento del maggior tributo per Euro 134.219,00.
Il contribuente impugnava l’atto innanzi alla C ommissione tributaria provinciale di Torino deducendone la nullità, per quanto qui ancora rilevi, per l’illegittimo calcolo della plusvalenza e per l’errata applicazione delle sanzioni.
La CTP rigettava il ricorso.
Il contribuente spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado di giudizio, innanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte.
La CTR confermava la decisione dei primi giudici, evidenziando, tra l’altro, che correttamente l’Ufficio aveva calcolato la plusvalenza a partire dalla data di acquisto dei beni da parte del contribuente, anche se antecedente al 1.1.1992 (data di entrata in vigore della previsione di cui all’art. 67, comma 1, lett. b, t.u.i.r.), ed aveva irrogato le sanzioni, stante l’inesistenza di difficoltà interpretative oggettive.
Per la cassazione della citata sentenza il contribuente ha proposto ricorso affidato a tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato, quindi, fissato per l ‘adunanza camerale del 20/12/2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta la « violazione dell’art. 67, co. 1, lett . b) del D.lgs. n. 917 del 1986, per come modificato dall’art. 11, co. 1, lett. f) della L. 30/12/1991, n. 413, violazione del principio di capacità contributiva e di parità di trattamento ex artt. 53 e 3 Cost., del principio di irretroattività delle
norme impositive ex artt. 53 e 23 Cost. ed ex art. 3 della L. 212 del 2000, del principio del legittimo affidamento ex art. 2 Cost. ed ex art. 10 della L. 212 del 2000 e del principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., violazioni dedotte in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.».
Sotto un primo profilo, lamenta la violazione della ratio dell’art. 67, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 917/1986, entrato in vigore il primo gennaio 1992, avendo la CTR calcolato la plusvalenza derivante dalla cessione, intervenuta nel 2010, di terreni di proprietà del ricorrente, dalle date di acquisto dei medesimi, sebbene anteriori alla data di entrata in vigore della norma; all’esito di una attenta analisi dell’efficacia nel tempo delle norme impositive e del concetto ‘dinamico’ di plusvalenza, sostiene che l’unica interpretazione del dato normativo conforme alla Costituzione è quella per cui è imponibile solo la plusvalenza maturata dopo il 1° gennaio 1992, ovvero l’incremento di valore del terreno verificatosi dal 1° gennaio 1992 alla data della cessione. La diversa interpretazione fatta propria dalla CTR contrasterebbe con i principi costituzionali di capacità contributiva, parità di trattamento ed irretroattività di norme impositive; per tale motivo solleva, in subordine (in realtà come secondo motivo di ricorso), questione di legittimità costituzionale della norma in commento.
Sotto altro profilo lamenta la violazione del principio dell’onere della prova, avendo il contribuente provato l’invarianza del valore del bene dal 1992 al 2010 ed avendo la CTR ritenuto gravante sul ricorrente l’onere di provare il valore del bene nel 1992.
Il motivo, pur suggestivo, è infondato.
1.1. È necessaria una breve ricostruzione normativa e giurisprudenziale in materia.
1.2. L’art. 67, comma 1, lett. b), t.u.i.r. (in cui fu trasfuso, a partire dal 1° gennaio 2004, per effetto del d.lgs. n. 344/2003, l’art. 81) applicabile ratione temporis alla fattispecie, per effetto della modifica operata dalla legge n. 413/1991, prevedeva, per quanto qui
rilevi, che costituiscono redditi diversi «in ogni caso le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione».
La cessione di terreno non edificabile poteva, invece, integrare una plusvalenza ai sensi della lettera a) della citata norma, attraverso cioè la lottizzazione del terreno e la sua successiva vendita.
Il legislatore aveva sostanzialmente previsto un regime diverso di tassazione delle plusvalenze, introducendo limiti temporali solo per quelle derivanti da cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni (norma avente chiaramente la finalità di colpire il fenomeno della speculazione immobiliare).
Il tenore letterale della lettera b) della norma è dunque nel senso che, senza che sia consentita alcuna distinzione e/o specificazione, è assoggettata a tassazione la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di terreno sul quale lo strumento urbanistico vigente (nei termini indicati sopra) consenta, a qualunque titolo e per qualunque scopo, di edificare. Non rileva pertanto cosa e a qual fine si costruisca, né in particolare che la prevista “utilizzazione edificatoria” sia meramente strumentale alla sua destinazione agricola, con conseguente possibilità di costruire, ma con le relative restrizioni (in tal senso v. Cass. 15/10/2013, n. 23316). Siffatta interpretazione non appare in contrasto con i precetti costituzionali (e, in particolare, con l’art. 3), rientrando nella piena discrezionalità del legislatore non tassare la plusvalenza solo quando la stessa ha ad oggetto terreni non suscettibili in alcun modo di utilizzazione edificatoria, e prevederne invece la tassabilità nella differente ipotesi di terreno sì agricolo, ma (sia pur con limiti) suscettibile di edificazione. La sostenuta interpretazione è, inoltre, in linea con la successiva evoluzione legislativa, e, in particolare, con la l. n. 448 del 2001, art. 7, che prevede espressamente la tassabilità della plusvalenza “per i terreni edificabili e con destinazione agricola …”
(v., in senso implicitamente conforme, Cass. 30/12/2011, n. 30729 e Cass. 15/04/2011, n. 8697).
1.3. L’articolo 68 , comma 1, t.u.i.r., prevede, infine, che «le plusvalenze di cui all e lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 67 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo».
Circa le modalità di calcolo della plusvalenza il comma 2 dell’articolo 68 prevede , per quanto qui rilevi, che «
».
Il legislatore individua, quindi, chiaramente, nel costo di acquisto il primo parametro del calcolo della plusvalenza.
1.4. Questa Corte ha, ormai da tempo, tracciato i confini tra le due ipotesi di cessione dei terreni previste dalle lett. a) e b) dell’art. 67. Si è precisato che «la fattispecie relativa alle plusvalenze derivanti dalla vendita di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, prevista dall’art. 81 (ora art. 67), lett. b), del TUIR, si pone come regola ad eccezione rispetto a quella contemplata dalla lett. a), della medesima norma, che riguarda esclusivamente le ipotesi in cui il terreno non sia suscettibile di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, ma sia interessato da interventi obiettivamente considerati di lottizzazione o di esecuzione di opere per l’edificabilità del terreno, ancorchè realizzati fuori o in contrasto con i vincoli urbanistici» (Cass. 27/06/2019, n. 17264; conf. n. 12320 /2017, che all’esito di una compiuta evoluzione normativa delle disposizioni in questione giunge alla conclusione per cui l’ipotesi di cui alla lett. b -cessione di terreni edificabili -costituisce la regola generale e ricomprende
tutti i casi di terreni immediatamente edificabili, restando come residuali i casi della lett. a ).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte «le plusvalenze ‘immobiliari’ di cui all’art. 67, comm a 1, lett. a) e b), del D.P.R. n. 917 del 1986, sono di regola imponibili secondo il principio di cassa, ai sensi dell’art. 68, comma 1, dello stesso decreto, in quanto il principio di competenza opera, a norma dell’art. 76 del D.P.R. n. 597 del 1973, per le sole plusvalenze aventi finalità speculative: ne deriva che il momento rilevante ai fini dell’imposizione è, nel primo caso, quello in cui il corrispettivo è percepito, e, nel secondo caso, quello in cui lo stesso corrispettivo è dichiarato nell’atto di cessione» (Cass. 25 settembre 2019, n. 23893). L’ art. 68, comma 1, t.u.i.r. prevede, infatti, che le plusvalenze immobiliari sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi “percepiti” nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto. Quindi è la norma di legge che assume espressamente come momento rilevante ai fini dell’imputazione al periodo d’imposta delle plusvalenze immobiliari quello in cui i corrispettivi sono “percepiti”, così affermandosi il principio di cassa.
1.5. Ora, il ricorrente pone la questione di come debba essere calcolata la plusvalenza nell’ipotesi (molto ricorrente nella prassi, soprattutto, per ovvi motivi, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della riforma del 1991) in cui il bene fu acquistato dal contribuente in data antecedente al 1° gennaio 1992, se cioè la norma, oltre ad applicarsi alle cessioni intervenute dopo la sua entrata in vigore, disciplini (tassandola) solo la plusvalenza maturata successivamente alla sua entrata in vigore.
Ritiene la Corte che, come affermato dalla CTR, ai fini della tassazione della plusvalenza la data dell’acquisto del bene da parte del contribuente sia assolutamente indifferente ai fini de quibus , ovvero che la plusvalenza debba essere calcolata prendendo come primo momento temporale di riferimento la data di acquisto del bene, anche se antecedente al 1° gennaio 1992.
Milita in tal senso la lettera della norma, che, a differenza di altre ipotesi (ad es. art. 1 legge 102/1991), non specifica che si applichi solo alle plusvalenze ‘realizzate’ o, recte (atteso che il momento di realizzazione della plusvalenza coincide con la cessione del bene da parte del contribuente), ‘maturate’ a partire dalla data della sua entrata in vigore.
Questa Corte ha affrontato la questione della tassazione della plusvalenza conseguente alla percezione dell’indennità di esproprio di terreni edificabili secondo gli strumenti urbanistici (introdotta dalla legge n. 413/1991 e sostanzialmente parificata a quella di cui si discetta nell’odierno giudizio), affermando che la norma, disponendo pe r l’avvenire, rende imponibili redditi realizzati e percepiti in data successiva all’entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data degli atti ablativi che determinano detta percezione (Cass. 19/07/2002, n. 10585). Parallelamente deve ritenersi, pertanto, che rilevi, nel caso previsto dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 67 del t.u.i.r., esclusivamente la data della percezione del corrispettivo per la vendita del terreno edificabile, restando ininfluente la data dell’acquisto dello stesso.
L’indifferenza, ai fini de quibus , dalla data di acquisto del terreno poi rivenduto è stata ribadita nella sentenza n. 23605 del 15/09/2008, la quale ha affermato che «sono sempre tassabili, ai sensi dell’art. 81, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 917 del 1986, anche in assenza di qualsivoglia intento speculativo, le plusvalenze patrimoniali realizzate a seguito di cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, a prescindere sia dalle modalità di acquisizione degli stessi (e, pertanto, anche per successione), sia dal tempo intercorso tra acquisto e rivendita, sia dallo svolgimento o meno sui terreni di alcun tipo di attività da parte del cedente».
Nella specie, quindi, correttamente è stata ritenuta tassabile la plusvalenza realizzata per la vendita effettuata nel 2010 di cespiti acquisiti dal contribuente in data antecedente al 1° gennaio 1992.
1.5.1. Può, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto: «la tassazione della plusvalenza prevista dall’art. 67 (già 81), comma 1, lett. b) , del d.lgs. n. 917 del 1986, come modificato dall’art. 11, comma 1, lett. f) , della legge 30/12/1991, n. 413, non è esclusa nell’ipotesi in cui l’acquisto del bene da parte del contribuente sia intervenuto in data antecedente al 1° gennaio 1992, rilevando esclusivamente, ai fini de quibus , la data della cessione, da parte del contribuente, del terreno sul quale lo strumento urbanistico vigente consenta di edificare».
1.5.2. Infine, l’assunto del ricorrente circa la decorrenza della rivalutazione a partire solo dal 1° gennaio 1992 è lacunoso per difetto di specificità, non indicando il valore che discenderebbe né le modalità del relativo calcolo.
Il motivo va, pertanto, rigettato.
Va, poi, dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma in commento, proposta dal ricorrente sotto diversi profili, come secondo motivo di ricorso. Invero, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte «è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma non potendo essere configurato a riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte. È infatti riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale ben potendo la stessa essere sempre proposta, o riproposta, dall’interessato, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo» (Cass. 09/07/2020, n. 14666; conf. Cass. 20/03/2023, n. 8033).
Nel merito la questione è, comunque, infondata.
2.1. Sotto un primo aspetto, il contribuente afferma che l’interpretazione della norma fatta propria dalla CTR violerebbe il
principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e quello di parità di trattamento (art. 3 Cost.). Infatti, se il presupposto di imposizione della plusvalenza fosse il mero decorso del tempo, vi sarebbe una tassazione ingiustificatamente ed irragionevolmente diversa della medesima capacità contributiva, ovvero del medesimo incremento di valore del bene realizzatosi prima del 1992: infatti, se detta plusvalenza si manifesta dopo il 1° gennaio 1992 è soggetta a tassazione, se si manifesta prima di detta data non lo è. La ratio della nuova norma consiste nel tassare l’attività speculativa che dà luogo a plusvalenza prodottasi dopo il 1° gennaio 1992.
La questione è manifestamente infondata, atteso che la diversità di trattamento è giustificata dalla diversità delle situazioni che il ricorrente pretende di comparare ed accomunare. Infatti, premesso che per la giurisprudenza di questa Corte già supra richiamata il presupposto della tassazione della plusvalenza è il mero decorso del tempo, solo nel primo dei suddetti casi (ovvero quando si realizza la plusvalenza, ovvero si cede il bene precedentemente acquistato) è giustificata la tassazione della stessa per il semplice motivo che solo questa è soggetta all’applicazione della norma in commento. Né risulta violato il principio di capacità contributiva, atteso che la relativa censura parte da un presupposto di diritto errato, ovvero quello secondo cui la ratio della norma in commento sarebbe l’esigenza di tassare l’attività speculativa; di contro, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, la tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione di terreni edificabili prescinde completamente dall’intento sp eculativo delle parti; non a caso, il legislatore non ha ancorato l’imposizione a criteri temporali.
2.2. Sotto un secondo aspetto, il ricorrente paventa un contrasto della norma con i principi di irretroattività delle norme impositive (artt. 53 e 23 Cost.) e del legittimo affidamento (art. 2 Cost.). L ‘interpretazione della norma fatta propria dalla CTR condurrebbe ad una sua applicazione retroattiva, dall’altro lederebbe il legittimo affidamento del cittadino-contribuente.
Anche sotto tali profili la questione è manifestamente infondata. Al riguardo basti considerare che l’applicazione retroattiva della norma si avrebbe se fossero tassate (anche) le cessioni stipulate prima del 1° gennaio 1992, ovvero prima dell’entrata in vigore della norma; di contro, tassare le cessioni avvenute dopo la detta data, prendendo in considerazione, ai fini del calcolo della plusvalenza, anche il periodo precedente, non significa applicare retroattivamente la norma.
Né, infine, è ipotizzabile una lesione della buona fede e dell’affidamento del contribuente, atteso che diversamente opinando tutte le norme che introducono tasse o tributi dovrebbero essere considerate ‘a sorpresa’ e, perciò solo, costituzionalmente illeg ittime.
Con il terzo motivo il contribuente lamenta, ‘in estremo subordine’, la «violazione dell’art. 10, co. 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) dell’art. 6, comma 2 del D.Lgs. n. 472 del 1997», deducendo che le sanzioni non dovevano essere applicate in virtù dell’incertezza obiettiva della norma. Censura la decisione della CTR nella parte in cui ha ritenuto non indicata nell’appello la norma tacciata di difficile interpretazione, evidenziando che la stessa era facilmente individuabile alla luce del contenuto complessivo dell’atto di appello.
Il motivo è infondato.
3.1. Premesso, in tesi, che effettivamente la CTR ha errato nel ritenere genericamente formulata l’eccezione avente ad oggetto l’esimente prevista dall’art. 10, comma 3, l. 212/2000, il motivo non è fondato stante l’insussistenza, nella specie, dei presupp osti dell’esimente.
3.2. Occorre rammentare al riguardo che, secondo costante indirizzo, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva che, ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 e della legge 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità
amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; Cass. 16/02/2012, n. 2192; Cass. 26/10/2012, n. 18434; Cass. 11/02/2013, n. 3245; Cass. 22/02/2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, «l’incertezza normativa oggettiva tributaria», che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertala dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in «senso oggettivo» (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti»): «l’incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cass. 11/09/2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza
di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.).
3.3. Nel caso di specie occorre dunque valutare se sussistessero, all’epoca della cessione in questione, nel 2010, obiettive condizioni di incertezza sulla portata applicativa della norma in commento in punto di calcolo della plusvalenza ad essa assoggettabile.
La risposta non può che essere negativa, atteso che l’incertezza non emerge dall’esame della norma e, inoltre, non risultano pronunce di legittimità favorevoli alla tesi del contribuente, anzi risultando solo pronunce in senso contrario ( supra richiamate), ciò che esclude in radice la possibilità di ritenere integrata l’incertezza interpretativa ‘obiettiva’ prevista dal legislatore quale esimente in tema di sanzioni.
La questione dell’incertezza obiettiva dell’art. 67, comma 1, lett. b), t.u.i.r., quale esimente delle sanzioni, è stata già affrontata e risolta da questa Corte ma sotto altro profilo: si è ritenuto che, proprio sul presupposto dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, sussistente l’esimente in particolare, con riferimento al concetto di ‘terreno edificabile’, sino all’entrata in vigore della norma interpretativa, art. 36 comma 2 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 4 agosto 2006, n. 248, applicabile retroattivamente, che ha definito cosa debba intendersi per ‘area fabbricabile’.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024.