Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 577 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in margine al ricorso;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; – controricorrente – e sul ricorso rubricato RG 13747/2016 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
–
ricorrente
–
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura in margine al controricorso;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, n. 1452, depositata il 15 dicembre 2015.
Data certa
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Si dà atto che il Sostituto Procuratore generale, in persona del dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
RILEVATO CHE
L’Agenzia rilevava una plusvalenza, derivante dalla rivendita nel 2004 di un immobile acquistato dalla contribuente nel 2003, ben superiore a quella di € 21.663,00 dalla stessa denunciata come differenza tra il prezzo d’acquisto (€ 310.000) e quello di rivendita (€ 366.000,00 da cui venivano dedotte le varie spese sostenute per la vendita medesima). In particolare, veniva accertato che uno degli acquirenti tra giugno e novembre 2004 (il rogito venne stipulato il 26 novembre di quell’anno) aveva tratto a favore della contribuente e della di lei figlia assegni per complessivi € 1.100.000,00, per cui la plusvalenza veniva elevata ad € 765.663,00.
Il proposto ricorso veniva respinto dalla CTP, mentre la CTR, adìta dalla contribuente in sede d’appello, accoglieva parzialmente il gravame riducendo la plusvalenza, avendo riconosciuto l’esistenza di un preliminare che avrebbe dimostrato la corresponsione di un prezzo d’acquisto pagato dalla contribuente ben più elevato. La contribuente proponeva appello che la CTR rigettava.
La contribuente propone ricorso in cassazione affidato a otto motivi, mentre l’Agenzia, che resiste con controricorso, ha spiegato a sua volta ricorso fondato su due motivi; avverso quest’ultimo la contribuente ha depositato a sua volta controricorso. La stessa ha poi depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente occorre disporre la riunione al presente del ricorso rubricato sub RG 13747/2016.
Invero dispone l’art. 335 cod. proc. civ. che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza, come avviene nella specie, debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo.
In particolare, il procedimento instaurato successivamente deve confluire in quello rispetto al quale l’impugnazione risulta proposta per prima, in base al criterio della prevenzione, espresso dall’art. 39 cod. proc. civ., ma di generale applicazione.
‘Nel sistema processuale vigente l’impugnazione proposta per prima determina la costituzione del processo, nel quale devono confluire le eventuali impugnazioni di altri soccombenti, perché sia mantenuta l’unità del procedimento e sia resa possibile la decisione simultanea. Ne consegue che, in caso d’appello, le impugnazioni successive alla prima assumono necessariamente carattere incidentale – siano esse impugnazioni incidentali tipiche (proposte, cioè, contro l’appellante principale), siano esse impugnazioni incidentali autonome (dirette, cioè, a tutelare un interesse del proponente che non nasce dall’impugnazione principale, ma per un capo autonomo e diverso della domanda)’ (Cass. 24/01/1995, n. 792; Cass. 19/12/2019, n. 33809; Cass. 22/07/2020, n. 15582).
Nella specie emerge come entrambi i ricorsi siano stati notificati il giorno 6 giugno 2016, per cui dovrà essere data la priorità al ricorso preventivamente iscritto (cfr. Cass. 15582/2020, e così già Cass. 04/02/1959, n. 333), quello cioè proposto dalla contribuente (dovendosi far riferimento alla data di consegna all’ufficiale giudiziario solo nell’ipotesi in cui non sia dirimente neppure la data d’iscrizione a ruolo, diversamente dal caso di specie, in cui il presente venne iscritto a ruolo il 10 giugno e quello sub. 13747/16 il 13 giugno), rispetto al quale quello proposto dall’Agenzia dovrà dunque essere considerato come incidentale.
Venendo dunque all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo motivo di ricorso si deduce ‘Violazione dell’art. 43,
comma 3, d.p.r. n. 600/1973, in combinato disposto con l’art. 1, comma 132, L. 28 dicembre 2015, n. 208 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Sull’applicazione dello ‘ius superveniens’ e, per l’effetto, sulla nullità dell’accertamento a suo tempo impugnato’. Il comma 132 dell’art. 1 della L. n. 208/2015 (‘ius superveniens’) ha previsto che per gli accertamenti relativi a periodi di imposta anteriori al 2016 (come il 2004 di che trattasi), l’Agenzia delle Entrate può avvalersi del ‘raddoppio dei termini’ solo se la denuncia penale sia stata trasmessa entro il termine di decadenza previsto per emettere l’accertamento. Nel caso di specie, sarebbe pacifico che la denuncia penale è intervenuta solo il 9.12.2011 allorquando i termini di decadenza per accertare il 2004 erano spirati il 31.12.2009. Pertanto, la C.T.R. di Genova, che ha ritenuto irrilevante al fine dell’operatività del raddoppio dei termini, la circostanza che la denuncia sia stata presentata oltre lo spirare del termine di decadenza, non sarebbe conforme alla L. n. 208/2015 e dovrebbe esser cassata con conseguente annullamento dell’accertamento impugnato’.
2.1. Il motivo è infondato. In effetti il raddoppio dei termini dipende esclusivamente dall’astratta presenza dei presupposti in presenza dei quali sussiste in capo al pubblico ufficiale l’obbligo della denuncia penale, a mente dell’art. 331, cod. proc. pen.
Sulla disciplina del raddoppio dei termini è peraltro intervenuta la legge 28 dicembre 2015 n.208 che, all’art.1 comma 132, ha stabilito che la nuova disciplina, che ha abolito il raddoppio dei termini, non è retroattiva ma si applica a decorrere dai periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016. Per i periodi antecedenti il raddoppio dei termini si applica nei soli casi in cui la denuncia penale sia stata inviata entro e non oltre la scadenza del termine ordinario non raddoppiato. La norma transitoria nulla ha innovato rispetto alla applicabilità di quella, del pari transitoria, di cui al precedente art.2 comma 3 del d.lgs.128 del 2014, la quale fa
salvi, a prescindere dalla data di presentazione della denuncia, gli effetti degli avvisi già notificati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo (2 settembre 2015) (Cass. n.16728/2016; Cass. n.33793/2019).
Nel caso in esame è pacifico che l’avviso di accertamento è stato notificato in data 21 giugno 2012, per cui risulta applicabile la disciplina sul raddoppio dei termini di cui al d.lgs. n. 128/2014, ed è quindi irrilevante che la notizia di reato sia stata trasmessa alla autorità giudiziaria in data 9.12.2011, ossia oltre la scadenza del termine ordinario per l’accertamento relativo all’anno di imposta 2004.
3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce ‘Violazione dell’art. 43, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Sulla illegittimità, nella specie, della fruizione del raddoppio dei termini di accertamento: l’archiviazione da parte del Giudice penale (già avvenuta sei mesi prima della notifica dell’accertamento), aveva fatto venire meno, al momento della notifica dell’accertamento, l’obbligo di denuncia penale generando, quindi, l’inesistenza del presupposto previsto dall’art. 43 cit. per il raddoppio dei termini’. La C.T.R. ha violato l’art. 43, c. 3, d.p.r. n. 600/1973, dal momento che ha ritenuto legittimo il raddoppio dei termini di cui si è avvalso l’Ufficio seppure, quando l’Agenzia delle Entrate ha emesso l’accertamento (il 21.06.2012), non ricorrevano i presupposti per usufruire del raddoppio dei termini, in quanto non sussisteva più alcun obbligo di denuncia penale avendo il Giudice penale (il 24.12.2011) già disposto l’archiviazione del reato ascritto alla deducente.’
3.1. Il motivo è infondato.
in effetti il raddoppio dei termini, come si ricava dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, dipende esclusivamente dall’astratta presenza dei presupposti in presenza dei quali sussiste
in capo al pubblico ufficiale l’obbligo della denuncia penale, a mente dell’art. 331, cod. proc. pen.
In proposito la stessa pronuncia del Giudice delle Leggi richiama gli accertamenti che deve compiere il pubblico ufficiale prima di presentare siffatta denuncia, e lo stesso giudice tributario, nel momento in cui valuta la fattispecie, deve compiere un’autonoma valutazione che si basi sulla presenza di elementi oggettivi, la cui valutazione in termini di effettiva responsabilità penale spetta poi all’autorità giudiziaria penale, e risulta del tutto indifferente ai fini dell’individuazione dell’obbligo.
Indubbiamente, in un simile sistema, l’effettiva presentazione di una denuncia, e meno che mai la sua produzione in giudizio, risultano del tutto indifferenti ai fini dell’individuazione dei presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento del tributo in questione.
Infatti, non è certo la presenza di simile atto che esime il giudice tributario dalla sua valutazione, in caso di relativa contestazione, né -all’opposto -le risultanze di tale eventuale denuncia costituiscono unica fonte per la autonoma valutazione del giudice circa la sussistenza dei relativi presupposti.
Il giudice tributario, al contrario, sulla base di una prognosi postuma basata sugli elementi a disposizione del pubblico ufficiale, deve svolgere una sua valutazione del tutto indipendente dalla concreta presentazione della denuncia, e financo dalla valutazione concretamente svolta dal pubblico ufficiale.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce ‘Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti’ (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.). Sul mancato esame, da parte della CTR di Genova, del dispiegarsi cronologico degli accadimenti e della rilevanza degli stessi che avrebbe evidenziato l’utilizzo ‘pretestuoso’ e ‘strumentale’ del raddoppio dei termini per l’accertamento da parte dell’Agenzia delle
Entrate’. La C.T.R. ha omesso di esaminare il dispiegarsi cronologico e di esprimersi sulla rilevanza degli eventi (narrati nel ricorso), i quali avrebbero evidenziato che l’Agenzia delle Entrate ha ‘strumentalmente’ e ‘pretestuosamente’ fruito del raddoppio dei termini, non solo avvalendosi di una denuncia penale presentata dopo la scadenza del termine di decadenza per l’accertamento, ma altresì provvedendo alla notifica dell’accertamento in presenza di un reato che era stato già accertato come estinto da un provvedimento di archiviazione intervenuto sei mesi prima della sua notifica da parte del Giudice penale’.
4.1. Il motivo è inammissibile. L’art. 348 -ter, cod. proc. civ., dispone infatti l’inammissibilità del ricorso spiegato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., in caso di c.d. ‘doppia conforme’, pienamente evincibile dalla sentenza d’appello che riporta la conforme decisione sul capo del raddoppio dei termini resa dal giudice di primo grado. In proposito va osservato che sussiste non solo analoga ricostruzione del fatto ma anche identità delle ragioni.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce ‘Nullità della sentenza per ‘perplessità’ della sua motivazione e per la sua ‘obiettiva incomprensibilità’ e ‘contraddizione’, in quanto la C.T.R., da un lato, ha riconosciuto ‘valore probatorio’ ad un preliminare di vendita ed alla ivi contenuta pattuizione del relativo prezzo, dall’altro, ha riconosciuto come rilevante il pagamento solo di parte di tale prezzo, pur se l’intero atto era dotato di valenza probatoria, riconoscendo di esso soltanto i pagamenti avvenuti tramite assegni bancari e non anche quelli avvenuti in contante; (violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132, c. 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.)’.
5.1. Il motivo è inammissibile. Esso invero, sotto forma di denuncia di vizio di motivazione parvente, tende a sottoporre al
giudice di legittimità una revisione degli accertamenti di fatto svolti dal giudice di merito nella valutazione del materiale probatorio.
Con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza per l”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, rappresentato dai movimenti bancari della ricorrente le cui comprovate risultanze dimostravano i pagamenti del prezzo di acquisto in contanti effettuati dall’esponente (in relazione all’art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c.)’. La C.T.R. ha omesso di esaminare il ‘fatto’ rappresentato dalle documentate movimentazioni bancarie sui conti correnti dell’esponente le quali avrebbero consentito al Giudice di II° grado di ritenere raggiunta la prova, quanto meno ‘logica’, che i prelevamenti effettuati dall’esponente Sig.ra COGNOME corrispondevano, sia quanto agli importi, sia quanto alle tempistiche di pagamento, agli ammontari che, in base alla scrittura privata del 14.03.2003, l’esponente avrebbe dovuto corrispondere ai venditori Sig.ri COGNOME. Tale esame, quindi, avrebbe consentito alla C.T.R. di ritenere definitivamente provati anche i pagamenti ‘in contanti’ eseguiti dall’esponente, e, quindi, di ritenere dimostrato che il complessivo prezzo di acquisto dell’immobile pagato dalla ricorrente (€ 1.110.000) era pari al prezzo che l’Ufficio ha riscontrato per la sua cessione (€ 1.110.000) al Sig. COGNOME con conseguente azzeramento della plusvalenza accertata.
6.1. Anche tale motivo risulta inammissibile poiché ancora una volta la ricorrente tende a devolvere al giudice della legittimità la revisione di un accertamento in fatto, questa volta consistente nel riscontro di pagamenti in contanti, giudicati dalla CTR come assolutamente privi di riscontri temporali opponibili, peraltro anche sconfessandone la verosimiglianza sul piano logico.
Con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza per assoluto difetto di motivazione (‘omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’) in relazione alle pur rilevanti istanze istruttorie che l’esponente aveva formulato ai sensi dell’art. 210 c.p.c. ed art. 7 d.lgs. n. 546/92 (in relazione all’art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c.)’. La C.T.R. avrebbe omesso l’accertamento del ‘fatto’ rappresentato dall’avvenuto incasso delle somme da parte dei Sig.ri COGNOME documentabile attraverso i suoi movimenti bancari ‘in entrata’: accertamento di cui l’esponente aveva chiesto la verifica, formulando apposita istanza istruttoria ex art. 210 c.p.c. ed art. 7, d.l.gs. n. 546/92. Al riguardo, l’accertamento di tale ‘fatto’ sarebbe stato decisivo per il giudizio in quanto avrebbe consentito alla C.T.R. di ritenere definitivamente provato (anche con riferimento ai versamenti ‘in contanti’ invece disconosciuti dalla C.T.R.), con conseguente diversa decisione sul punto, che una parte del complessivo prezzo di acquisto dell’immobile di che trattasi era stata effettivamente pagata dall’esponente COGNOMEin contanti’ (attraverso il prelevamento delle relative provviste dai propri conti correnti ed il successivo versamento, da parte dei venditori Sig.ri COGNOME, di tali somme sui propri conti correnti), e che quindi il complessivo prezzo di acquisto dell’immobile (€ 1.110.000) era pari al prezzo che l’Ufficio ha riscontrato per la sua cessione (€ 1.110.000) al Sig. COGNOME con conseguente azzeramento della plusvalenza accertata.
7.1. Il motivo è inammissibile, essendo il frutto di sovrapposizione di censure, in totale violazione del disposto di cui all’art. 366, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., il cui rispetto è invece previsto dalla norma richiamata a pena di inammissibilità. In particolare, la censura allude ad un difetto assoluto di motivazione, sovrapponendo però a ciò l’asserito omesso esame di un fatto decisivo, per poi addebitare al giudice d’appello di non aver ammesso mezzi istruttori d’ufficio, in particolare un’istanza ex artt. 210, cod. proc. civ., e 7, d.lgs. n. 546/1992, corrispondenti
peraltro a un potere discrezionale del giudice di merito, come tale non sindacabile in questa sede di legittimità.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce ‘Nullità della sentenza per ‘perplessità della motivazione’ e per la sua ‘obiettiva incomprensibilità’, in relazione alla ivi affermata ‘irrilevanza’, nei confronti dell’esponente, dei pagamenti che dallo stesso accertamento risultano pacificamente effettuati dall’acquirente COGNOME alla figlia dell’esponente (Sig.ra COGNOME: pagamenti che, in quanto percepiti dalla figlia, erano tali da rendere inconfigurabile, o, quanto meno, da ridurre, l’accertata plusvalenza in capo alla madre, e cioè alla deducente Sig.ra COGNOME che tali somme non ha percepito (violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132, c. 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.)’. La sentenza della C.T.R. ha ritenuto ‘irrilevante’ al fine della quantificazione della plusvalenza accertata in capo all’esponente Sig.ra COGNOME il pacifico fatto che una parte del prezzo pagato dal Sig. COGNOME non fosse stata corrisposta alla ricorrente ma alla di lei figlia Sig.ra COGNOME, senza tuttavia evidenziare il percorso logico-giuridico che ha portato la C.T.R. ad esprimere tale ‘irrilevanza’.
8.1. Il motivo è inammissibile in quanto ancora una volta la ricorrente tende a devolvere al giudice della legittimità la valutazione di elementi probatori posti dal giudice del merito alla base di accertamenti di merito.
Peraltro, neppure può dirsi che la motivazione sul punto sia affetta da parvenza o invincibile contraddittorietà, poiché come anche si evince dalla pag. 7 del ricorso, il contratto tra la ricorrente e i suoi acquirenti COGNOME era per € 1.100.000,00, e appunto in quel contratto non figura la figlia COGNOME che, nella prospettazione della ricorrente stessa, sarebbe stata proprietaria di arredi oggetto di vendita allo stesso COGNOME per l’importo degli assegni intestati alla seconda. Ciò esprime la stringata motivazione della CTR.
Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce ‘Violazione dell’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 471/1997, in combinato disposto con l’art. 15, comma 1, lett. a), D.lgs. 5.08.2015, n. 158, e con l’art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). Sull’applicazione dello ‘ius superveniens’ e del ‘favor rei’ con riguardo alle sanzioni irrogate dall’accertamento impugnato’. La C.T.R., rideterminando l’imposta accertata dall’Ufficio, convalida la misura delle sanzioni irrogate dall’accertamento (con i minimi edittali previsti dall’art. 1, c. 2, d.lgs. n. 471/97, nella formulazione vigente ratione temporis), le quali, per effetto del D.lgs. n. 158/2015, devono essere rideterminate in attuazione del principio del ‘favor rei’.
9.1. Il motivo non può essere accolto. Infatti va affermato che ‘In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno “ius superveniens” più favorevole, senza specifiche allegazioni rispetto al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata’ (Cass. 30/11/2018, n. 31062; Cass. 16/09/20, n. 19286).
Venendo ora al ricorso dell’Agenzia delle entrate, da intendersi come ricorso incidentale per quanto chiarito in premessa, esso, come detto, si articola in due motivi-
Col primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2704 e 2697, cod. civ., assumendo l’Agenzia che, avendo la CTR valorizzato la data di un assegno per € 80 mila tratto nell’aprile 2003 dalla ricorrente in favore del venditore COGNOME e ritenendo così dimostrata la stipula del preliminare per € 1.080.000,00, pertanto importo ben superiore a quello poi indicato nel rogito Solimena del successivo novembre, avrebbe essa trascurato il
principio per cui sarebbe inopponibile la scrittura priva di data certa in quanto non autenticata o rispetto alla quale non sia dedotto e provato un fatto idoneo a stabilire in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento.
Col secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 115, cod. proc. civ., e 2697, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma num. 4) doc. proc. civ., ritenendosi erronea la deduzione, fatta dalla CTR, in ordine alla rilevanza probatoria attribuita agli ulteriori assegni prodotti dalla contribuente al fine della prova del prezzo d’acquisto da essa indicato in € 1.080.000,00
I motivi vanno esaminati congiuntamente attesa la loro connessione, e sono fondati.
Preliminarmente deve escludersi che il primo motivo sia inammissibile, come ritenuto dalla difesa della ricorrente, in quanto devolverebbe al giudice della legittimità un accertamento in fatto. Con esso, infatti, l’Agenzia chiede sia stabilita l’esatta portata del disposto di cui all’art. 2704, cod. civ., ed in particolare dell’opponibilità di una scrittura priva di autenticazione e in generale dei requisiti stabiliti dal primo comma.
Ciò detto, il motivo risulta fondato.
Invero è pacifico che in base all’ultima parte del primo comma del prefato art. 2704, cod. civ., la data può essere dimostrata con altri fatti idonei a stabilirne la certezza, ma ciò va riferito appunto all’incertezza in ordine alla data. Orbene l’emissione di un assegno di € 80 mila, con la data di passaggio alla stanza di compensazione, l’annotazione ‘girata per l’incasso’ da parte dell’altra banca e quella sull’estratto conto del traente, può consentire la prova del fatto che l’importo venne versato all’acquirente Molfetta ben prima della stipula del rogito notarile.
Va poi osservato che la giurisprudenza, mutando un precedente indirizzo, ha ritenuto come, mentre la prova della data deve essere fornita in base al disposto di cui all’art. 2704, cod. civ., il contenuto
dell’atto è oggetto di prova distinta, la quale può anche essere presuntiva
‘a norma dell’art. 2704 cod.civ., la data della scrittura privata mancante di certezza non è opponibile al curatore del fallimento e la prova dell’anteriorità al fallimento del negozio contenuto nella scrittura non può desumersi da quest’ultima e tuttavia detta “inopponibilità non riguarda il negozio, ma la data della scrittura e non attiene all’efficacia dell’atto bensì soltanto alla prova di esso a mezzo della scrittura” mentre “la prova del negozio e della sua stipulazione anteriore al fallimento può essere, quindi, fornita, prescindendo dal documento probatorio, con tutti gli altri mezzi consentiti, anche nei confronti dei terzi e del curatore, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio”.
(Cass. 2319/2016; più di recente Cass. n. 37028/21).
In disparte l’osservazione, propria di più risalente giurisprudenza, in base alla quale gli strumenti d’elezione per tale prova, elencati dall’art. 2704, cod. civ. (autenticazione della sottoscrizione della scrittura, sua registrazione, riproduzione del contenuto in atto pubblico o morte o sopraggiunta impossibilità fisica di una delle parti), sono tutti atti a collocare con certezza un certo documento (e il relativo contenuto) in una certa data, per cui l’altro ‘fatto’ per stabilire l’anteriorità della formazione di un documento in modo ‘egualmente certo’ non può che coinvolgere anche il contenuto del documento stesso, con la conseguenza che solo ove il contenuto dell’atto sia in qualche modo riportato, richiamato o quantomeno citato nel documento avente data certa, può ritenersi a sua volta la certezza della data dell’atto rilevante (in tal senso pare collocarsi Cass. 19/07/2023, n. 21446), nella specie l’esame congiunto dei motivi rende evidente come in effetti ciò che soprattutto lamenta la difesa dell’Agenzia sta proprio nella ricostruzione della prova dell’atto, rispetto alla quale essa denuncia appunto la violazione
dell’art. 115, cod. proc. civ., e l’inversione dell’onere della prova che era invece a carico della contribuente.
In particolare, l’Agenzia, nel corpo del secondo motivo, lamenta che la CTR abbia finito per riscontrare l’accordo relativamente simulato (in ordine al prezzo) grazie agli ulteriori assegni prodotti dalla contribuente, peraltro tratti in favore di sé stessa, finendo con ciò per invertire l’onere della prova.
Invero la CTR, come osservato dalla difesa erariale, ha ritenuto che ‘vada riconosciuto valore probatorio al preliminare di vendita’, non solo dal versamento di un assegno per €80 mila euro, dal quale ha anche tratto la prova della data certa dello stesso, ma anche dagli ulteriori assegni, osservando che la girata degli stessi, tratti a favore di sé stessa dalla ricorrente, in favore del venditore era rimasta incontestata e non oggetto di indagini bancarie possibili.
Da tutto quanto precede deriva che la CTR ha 1) tratto dagli indicati assegni prova dell’avvenuta stipulazione di un preliminare per il prezzo indicato dalla contribuente (dedotto poi il valore di altri versamenti in contanti); 2) dedotto dal versamento dell’assegno da € 80 mila la data certa anteriore della scrittura in parola.
A fronte di ciò però l’Agenzia, ora a mezzo dei due motivi, e in precedenza con le sue difese, ha 1) contestato la stipulazione del contratto; 2) contestato la relativa data certa.
Dunque, anche ad aderire all’orientamento riportato per cui l’oggetto della prova rigorosa di cui all’art. 2704, cod. civ., è strettamente limitato alla data, restando poi la dimostrazione del contenuto del documento affidata a qualsiasi mezzo di prova, nella specie proprio (anche) quest’ultimo viene contestata.
E in effetti la CTR ha valorizzato un comportamento, rilevante ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., che l’Agenzia non ha tenuto, configurando poi un onere probatorio del tutto insussistente.
In particolare, con il secondo motivo l’Agenzia ha allegato di aver contestato espressamente le girate in favore del COGNOME e di essere stato invertito l’onere della prova della (mancata) simulazione da parte della CTR.
Ebbene come riportato in ricorso, a pag. 16 dell’atto d’appello l’Agenzia aveva espressamente contestato che gli assegni ulteriori fossero stati girati al venditore, qualificando tale mera asserzione come ‘basata sul nulla’.
La pretesa poi che l’esistenza delle girate fosse oggetto di indagine bancaria, quando appunto gli assegni provenivano da provvista della contribuente, costituisce senza meno un’inversione dell’onus probandi che non trova alcuna base né logica né testuale, per cui da tali elementi non poteva trarsi la prova presuntiva della stipulazione di un contratto preliminare per un importo superiore, pari quantomeno agli assegni suddetti.
Pertanto, a fronte della data certa di un assegno, il cui importo è del tutto compatibile con la corresponsione della somma apparentemente pattuita (€ 310 mila), la CTR ha ricollegato a tale circostanza ed all’asserita girata degli assegni, la prova del preliminare per l’importo indicato dalla ricorrente e alla data dell’assegno, con ciò violando sia l’art. 115, cod. proc. civ., sia la stessa portata dell’art. 2704, cod. civ.
Sul punto dunque la decisione dev’essere cassata.
Alla luce di ciò, allo stato, l’unica prova raggiunta è costituita dall’anteriorità del versamento di € 80 mila, circostanza che di per sé può essere compatibile con la stipulazione di un preliminare (anche conforme però, pure nel prezzo, a quanto pattuito in sede di rogito).
In conclusione, il ricorso principale spiegato dalla contribuente dev’essere respinto, quello incidentale proposto dall’Agenzia merita invece accoglimento, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado,
in diversa composizione, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Con riferimento al ricorso principale, sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte respinto il ricorso principale spiegato da NOME COGNOME accoglie quello incidentale proposto dall’Agenzia, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, che -decidendo la controversia adeguandosi ai principi qui ribaditi provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Con riferimento al ricorso principale sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2023