Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6975 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
Oggetto:
Cessione di
licenza taxi – Presunzione
di onerosità – Plusvalenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32360/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore , entrambi domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale sono rappresentati e difesi ope legis ;
-controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 1842/02/2019, depositata in data 27 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle e ntrate notificava a NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. TK7013003159/2015, attinente all’IRPEF per
l’anno 2009, contestando la mancata dichiarazione della plusvalenza realizzata mediante la cessione di una licenza taxi, richiedendo il versamento del tributo eluso sul maggior reddito rideterminato in Euro 139.570,82.
Il contribuente impugnava l’atto innanzi alla C ommissione tributaria provinciale di Roma deducendone la nullità per carenza di motivazione e per decadenza dell’Ufficio dal diritto azionato.
La CTP accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo provata la cessione della licenza per il minor importo di Euro 39.000,00.
L’Ufficio spiegava appello avverso la decisione parzialmente sfavorevole conseguita nel primo grado di giudizio, innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, deducendo che alcuna valenza probatoria potesse essere attribuita alla copia dell’assegno circolare dell’importo di Euro 39.000,00 depositata dal contribuente in quanto non corredata da alcun chiarimento. Riteneva, quindi, di aver determinato il valore del bene ceduto con il metodo statisticocomparativo, in ossequio all’art. 43 del d.P. R. n. 131/1986.
Nella contumacia dell’appellato -contribuente la CTR riformava la decisione dei primi giudici: dopo aver premesso che in tema di determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione della licenza taxi ‘vige una notevole approssimazione’ e che la copia dell’assegno circolare prodotta dal contribuente in primo grado non potesse avere il valore probatorio attribuitole dal primo giudice, condivideva la quantificazione della plusvalenza, operata dall’Ufficio sulla base , tra l’altro, del noto studio dell’Univ ersità della Tuscia.
Per la cassazione della citata sentenza il contribuente ha proposto ricorso affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato, quindi, fissato per l’adunanza camerale del 20/12/2024.
La controricorrente ha depositato, in data 29-11/4-12/2024, memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ. insistendo nella declaratoria di inammissibilità e/o infondatezza del ricorso.
Considerato che:
Va, preliminarmente, delibata l’eccezione, sollevata dall’Avvocatura dello Stato, di inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, destinatario della notifica dello stesso. Il patrono erariale deduce ‘la netta alter ità soggettiva che sussiste tra il Ministero’ e ‘l’Agenzia delle Entrate’ e l’estraneità del primo ‘a tutti i rapporti ed essenzialmente a quelli istituzionali -trasferiti alle agenzie fiscali (pag. 7 del controricorso).
L’e ccezione è fondata (da ultimo v. Cass. 06/05/2024, n. 12204, e Cass. 31/10/2024, n. 28187), atteso che, nei giudizi tributari introdotti, come quello che qui ci occupa, successivamente al 1° gennaio 2001, data in cui è divenuta operativa l’istituzione delle agenzie fiscali previste dall’art. 57, comma 1, del D. Lgs. n. 300 del 1999, spetta unicamente a queste ultime la legittimazione ad causam e ad processum (cfr. Cass. Sez. U. n. 3118/2006, Cass. n. 29183/2017). Non a caso il detto Ministero non ha preso parte ai gradi di merito del presente giudizio.
1.1. Fra le predette agenzie rientra anche quelle delle Entrate, la quale «è competente in particolare a svolgere i servizi relativi alla amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei tributi diretti e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di t utte le imposte, diritti o entrate erariali o locali, entrate anche di natura extratributaria, già di competenza del dipartimento delle entrate del ministero delle finanze o affidati alla sua gestione in base alla legge o ad apposite convenzioni stipulate con gli enti impositori o con gli enti creditori» (art. 62, comma 2, del citato D. Lgs. n. 300 del 1999).
Ciò posto, con il suo primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., il contribuente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 c.c., 2697 c.c. e 2729 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 38 comma 3 DPR 600/73 e 41, comma 2, DPR 600/73». Censura la sentenza della CTR nella parte in cui ha condiviso la valutazione dell’a mmontare della cessione operata
dall’Amministrazione finanziaria, soprattutto perché il giudice di appello aveva rilevato, in premessa, la notevole approssimazione in materia di trasferimenti delle licenze taxi; d i qui un’insanabile contraddizione nella motivazione della sentenza. Inoltre, ribadisce la valenza probatoria dell’assegno depositato in primo grado, anche alla luce del crollo, nel 2009, del valore delle licenze taxi nel Comune di Roma, per effetto dell’aumento di 500 unità di taxi.
Il motivo presenta concorrenti profili di inammissibilità ed infondatezza.
2.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ.; la disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza del contribuente, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
2.2.1. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).
2.2.2. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli
elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
2.2.3. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., 21/03/2022, n. 9054).
2.2.4. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale
indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
2.2.5. Nella specie la CTR, sulla base dei diversi elementi dedotti dall’Ufficio, ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio, rilevando la carenza di valore probatorio dell’assegno circolare prodotto dal contribuente e non fornita dallo stesso alcuna prova contraria dell’accertamento presuntivo operato dall’Agenzia ; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ., come
dedotto dal ricorrente, che, a ben vedere, richiede una nuova valutazione nel merito, preclusa a questa Corte.
2.3. Infondata è, poi, la doglianza relativa alla illegittima determinazione del valore della cessione della licenza di taxi.
La decisione è, infatti, conforme alla giurisprudenza di questa Corte formatasi in materia: sulla premessa che l’attività di tassista è attività di impresa ex art. 2195, n. 3, cod. civ. (che qualifica imprese commerciali le attività di trasporto), si è affermato che in un contesto notoriamente caratterizzato dal numero limitato delle licenze di taxi rilasciate dai Comuni (e la limitazione può, di certo, determinare l’aumento del valore di quelle già esistenti, favorendone la commercializzazione), è evidente (salvo la prova contraria da parte del contribuente) che la ‘cessione della licenza’ venga effettuata a titolo oneroso, avendo tale bene un valore commerciale di mercato, in quanto bene essenziale e primario nell’ambito del complesso dei beni (licenza ed autoveicolo avente i requisiti di legge), organizzati per l’esercizio dell’attività individuale di trasporto di persone. Conclusioni avvalorate dal fatto notorio dell’esistenza di un vero e proprio mercato di ‘rivendita’ delle licenze di taxi ( Cass. 12/12/2024, n. 32130; Cass. 02/02/2018, n. 4945; Cass. 14/07/2017, n. 17476 e Cass. 04/10/2017, n. 23143).
Né a conclusioni difformi può condurre la circostanza dell’asserito ampliamento delle licenze dei taxi nel Comune di Roma, che avrebbe condotto ad un crollo, nel 2009, del valore della licenza stessa.
Corretta è, inoltre, l’esclusione di qualsiasi valore probatorio all’assegno circolare prodotto dal contribuente in primo grado, in quanto non suffragato da ulteriori elementi (ad es. circa il titolo, a saldo o in acconto, del versamento) ; l’assegno, inoltre, era intestato alla Cooperativa proprietaria della licenza de qua .
Né, infine, la sentenza è contraddittoria per il solo fatto di avere la CTR affermato, nell’ incipit motivazionale, che la valutazione del valore della licenza di taxi è caratterizzata da una ‘notevole
approssimazione’. A valle di tale premessa, infatti, il giudice di secondo grado ha aderito alla valutazione espressa dall’Ufficio, richiamando i plurimi elementi posti a sostegno della stessa (ovvero, l’indagine condotta dall’Università della Tuscia, la s entenza del Giudice Tutelare di Milano, n. 6464/2001, i siti internet riguardanti il commercio delle licenze di taxi).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la «violazione degli art. 111 Cost. e art. 132 cpc omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 n. 4 cpc». Ribadisce che nella specie la motivazione della sentenza gravata sarebbe apparente e, comunque, insufficiente e contraddittoria, atteso che gli elementi indicati dall’Ufficio sarebbero insufficienti a ‘qualificare e quantificare l’eventuale plusvalenza al fine di considerarla reddito d’impresa’ (pag . 9 del ricorso).
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.1. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
3.2. Nella specie, pertanto, la doglianza è inammissibile nella parte in cui si deduce una insufficiente e contraddittoria motivazione.
3.3. Il motivo è, invece, infondato nella parte in cui si deduce la motivazione apparente della decisione gravata atteso la CTR ha congruamente motivato l’adesione alla valutazione operata dall’Ufficio, espressamente riportando gli elementi presuntivi posti a base della stessa e contestando, di contro, il valore probatorio di quello (l’assegno circolare) addotto dal contribuente .
La motivazione adottata dalla CTR risulta, pertanto, presente e chiaramente intellegibile, condivisibile o meno che sia, e non è perciò meramente apparente.
Per tutto quanto esposto il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, considerato il valore della controversia (compreso tra Euro 26.000,00 ed Euro 52.000,00) ed applicato l’aumento previsto dall’art. 4, comma 2, D.M. 55/2014 (difendendo l’Avv. dello Stato due soggetti).
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e lo rigetta nei riguardi dell’Agenzia delle entrate; c ondanna NOME COGNOME al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2024.