Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21558 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21558 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8221/2022 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CALABRIA n. 4134/2021, depositata in data 20 dicembre 2021 e notificata in data 24 gennaio 2022; l’11
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto l’avviso di accertamento, con il quale era stato rideterminato il reddito annuo di imposta 2007, con maggiori somme dovute per tributi erariali, in seguito alla vendita di un complesso immobiliare ad uso opificio artigianale-industriale.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto condivisibile la sentenza di primo grado, in quanto il primo giudice aveva fatto buon governo dei poteri conferitigli dagli arti. 115 e 116 cod. proc. civ., dopo avere vagliato attentamente i documenti versati in atti ed esaminato le questioni ed eccezioni delle parti, così da pervenire correttamente alla decisione adottata e che l’Agenzia appellante aveva riproposto sostanzialmente dubbi e perplessità già ampiamente chiariti dal primo giudice.
La CTR, in particolare, ha rilevato che:
-) il primo giudice aveva correttamente evidenziato, richiamando anche la giurisprudenza della Suprema Corte, che il contratto di « sale and lease- back » (leasing di ritorno) aveva una causa diversa dal contratto di vendita puro e semplice, impedendo la causa finanziaria del contratto di assimilare ai fini fiscali la somma ricevuta dal concedente al corrispettivo dell’acquirente;
-) le plusvalenze derivanti da operazioni di lease-back, concorrevano, quindi, alla formazione della base imponibile secondo i criteri civilistici e non in base alle regole del TUIR;
-) il predetto contratto di leasing di ritorno era un contratto atipico, concepito sullo schema di un ulteriore atto negoziale che era il leasing, utilizzato sempre più spesso dalle aziende che realizzavano impianti particolarmente costosi, come nel caso in esame;
-) i soggetti che intervenivano nel negozio giuridico erano il proprietario che vendeva il bene ad altro soggetto il quale, a sua volta, cedeva il bene stesso in locazione finanziaria a colui che lo aveva venduto e, nell’operazione di cessione del bene, dal punto di vista contabile, prima del successivo riacquisto in leasing, era possibile che emergesse una differenza in positivo o, in negativo rispetto al prezzo di acquisto, che originava, quindi una plusvalenza o una minusvalenza;
-) in relazione alla plusvalenza, le regole contabili di cui all’art. 2425 bis , comma 4, c.c., imponevano il frazionamento della plusvalenza per la durata del leasing di ritorno, assumendo, quindi, la norma una diretta valenza fiscale, che non era stata seguita da una corrispondente modifica in ambito fiscale, con la conseguenza che non era applicabile al caso trattato la disciplina dell’art. 86 del TUIR, per come erroneamente sostenuto dall’Agenzia appellante.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. La motivazione della sentenza era illogica ed apparante, in quanto la deduzione che le plusvalenze in esame erano tassabili
coi criteri civilistici era stata tratta, del tutto inopinatamente, dall’assunto assolutamente inidoneo alle conclusioni che la causa del «sale and leaseback» era diversa dalla vendita, così traendo dalla causa del negozio il suo regime fiscale. La motivazione era altresì contraddittoria, là dove essa da un lato valorizzava la «sostanziale» non scomponibilità dell’operazione contrattuale tra trasferimento produttivo di plusvalore e finanziamento, ma dall’altro pretendeva che tale plusvalore, pur unitariamente generato, fosse invece da tassare, per competenza, in maniera ripartita sull’intera durata contrattuale: proprio l’unicità dell’operazione, che comunque includeva quale presupposto un trasferimento produttivo di plusvalenza, comportava una maturazione altrettanto unitaria dell’intero plusvalore ad essa relativo nel momento in cui tale trasferimento si realizzava, ovvero nel momento della stipula contrattuale; era, quindi, questo il momento impositivo in cui scattava la tassazione per competenza del plusvalore prodottosi, il che era del tutto incompatibile con l’assunto della tassazione ripartita civilisticamente, sostenuto da controparte e recepito in sentenza, non potendo che restare riservate all’ambito meramente contabile le previsioni dell’art. 2425 bis c.c.. norma che per i contratti stipulati prima del 1 gennaio 2016, data di entrata in vigore del novellato art. 83 TUIR, non aveva alcun valore fiscale.
2. Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 86 e 109 del TUIR, e falsa applicazione dell’art. 2425 bis , comma 4, c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. La C.T.R., pur avendo correttamente riconosciuto nella specie l’esistenza di una plusvalenza imponibile derivante dalla cessione dell’immobile poi concesso in leasing, aveva poi erroneamente ritenuto corretto farla concorrere al reddito non in base alla prima norma in epigrafe, integralmente nel solo periodo di imposta in cui era stata realizzata (come aveva ritenuto l’Ufficio), ma, in base alla seconda norma,
ripartita in funzione della durata del contratto di locazione finanziaria, così ritenendo (pure erroneamente) la norma civilistica direttamente applicabile ai fini fiscali qui rilevanti, e prevalente sull’art. 86 citato senza che, per l’anno in esame, una disposizione esplicita ne rendeva i contenuti fiscalmente rilevanti. L’impostazione seguita dal secondo Giudice era contraria all’art. 86 del TUIR, come vigente all’epoca dei fatti, norma che si riteneva, secondo la tradizionale interpretazione amministrativa (Circ. n. 38/E/10, che rinvia alla precedente Circ. n. 218/E/00, che conferma anche le Circ. 8/E/09 e 11/E/09), pienamente ed esclusivamente applicabile al caso in esame. Era inapplicabile, invece, la circolare del 2017 a fattispecie sorte prima del 2016. Quanto all’art. 2425 bis c.c., aggiunto dall’art. 16 del d.lgs. n. 310 del 2004, e successivo all’affermarsi nella prassi del contratto atipico di sale and sale back , nonché alle prime riflessioni interpretative sulle sue modalità di imponibilità (cfr. Circ. n. 218/E/00), esso conteneva una previsione di ripartizione delle plusvalenze derivanti da contratti quale il presente in funzione della loro durata, che doveva intendersi formulata ai soli fini della redazione del bilancio, non essendovi alcuna norma per l’anno in esame, che le conferiva rilevanza fiscale, essendo tale norma, invece, intervenuta solo con effetto dal 1 gennaio 2016, in virtù dell’art. 13 bis, commi 2 e 5, del decreto legge n. 244 del 2016, che aveva modificato il 2° periodo dell’art. 83 TUIR nel senso che « Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili ». La CTR aveva, inoltre, errato nel sostenere che l’assenza di una causa traslativa pura e semplice, per la prevalenza nell’operazione
contrattuale in esame di una causa di finanziamento cui era casualmente collegata la cessione, lo escludeva dall’ambito applicativo dell’art. 86 TUIR. Con riguardo al caso in esame si era in presenza di due operazioni anche formalmente autonome, sicché nulla impediva che esse ricevessero un trattamento fiscale distinto e, in ogni caso, il collegamento della causa traslativa con quella di finanziamento non ne impediva la rilevanza autonoma ai fini dell’applicazione dell’art. 86 TUIR, poiché nella specie la cessione onerosa non veniva meno, ma se mai vi si aggiungeva un «quid pluris», appunto la connessa ed aggiuntiva causa di finanziamento, che nulla toglieva alla prima. Inoltre, la possibilità di scorporare nel contratto il momento traslativo da quello di finanziamento, sottoponendo il primo all’art. 86 TUIR, non poteva essere esclusa anche perché l’autonomia della cessione dal successivo leasing emergeva non solo nel momento della stipula, ma anche nello svolgimento del rapporto, alla fine del quale la cessione non si risolveva automaticamente, poiché era necessario a tal fine esercitare un’opzione e pagare un prezzo residuo. Nella specie, mancavano comunque i requisiti per l’imputazione pluriennale del reddito anche ai sensi dell’art. 86 TUIR non essendo stata la plusvalenza neppure dichiarata.
I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.
3.1 Ed invero, il dictum del giudice tributario di appello, nella parte in cui assume che il contratto di « sale and lease- back » (leasing di ritorno), che ci occupa, ha una causa diversa dal contratto di vendita puro e semplice, impedendo la causa finanziaria del contratto di assimilare ai fini fiscali la somma ricevuta dal concedente al corrispettivo dell’acquirente e che le plusvalenze derivanti da operazioni di lease-back concorrono alla formazione della base imponibile secondo i criteri civilistici, è in linea con la giurisprudenza
di questa Corte ( ex multis Cass., 23 giugno 2022, n. 20326; Cass. 20 ottobre 2021, n. 29236; Cass., 27 aprile 2021, n. 11023; Cass., 15 luglio 2020, n. 15024 e Cass., 19 novembre 2020, n. 26343, in tema di imposte dirette; Cass., 22 giugno 2021, n. 17710, in materia di Iva), alla quale va data continuità, secondo cui « In tema di determinazione del reddito d’impresa, le plusvalenze derivanti dalla cessione di un bene in forza di contratto di sale and lease back vanno contabilizzate, ripartendo la somma finanziata in funzione della durata del contratto di locazione finanziaria, in applicazione del principio contabile IAS 17, poiché i principi contabili internazionali, ispirati al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma e fatti propri dal regolamento CE n. 1606 del 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, richiamato, a sua volta, dall’art. 83 del TUIR, pur non applicandosi ai soggetti che non se ne avvalgono per la redazione del bilancio, non sono espressamente derogati dalla legislazione tributaria, e, anzi, sono tradotti nell’art. 2425-bis, comma 4, cod. civ. » (cfr., più di recente, Cass., 12 febbraio 2024, nn. 3884 e 3886).
3.2 E’ oramai principio pacifico, che si intende in questa sede ribadire, che in tema di determinazione del reddito d’impresa, la plusvalenza ottenuta dalla cessione di un bene in forza di contratto di sale and lease back , contratto socialmente tipico con causa finanziaria (quindi diversa da quella del contratto di vendita), è ripartita, in applicazione dell’art. 2425 bis cod. civ., in funzione della durata del contratto di locazione. contratto di sale and lease-back tipico, che, per interpretazione comune, integra
Tali esiti si spiegano in relazione alla causa in concreto perseguita dal , contratto d’impresa socialmente un’operazione negoziale complessa in forza della quale un soggetto (in genere un imprenditore) al fine di ottenere con immediatezza liquidità, vende un bene strumentale ad una società finanziaria la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria allo stesso venditore che ne mantiene la disponibilità ininterrottamente, verso il
pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore (Cass., 20 ottobre 2021, n. 29236; Cass., 27 aprile 2021, n. 11023, in motivazione, anche per il rilievo della causa concreta; Cass., 15 luglio 2020, n. 15024).
3.3 Già questa Corte, infatti, dando seguito dando seguito alla condivisibile giurisprudenza della Corte (Cass., 15 luglio 2020, n. 15024, sul tema dell’adozione del cd. metodo finanziario, previsto dallo IAS 17, per la rilevazione contabile del contratto di leasing finanziario; Cass., 27 aprile 2021, n. 11053 e la giurisprudenza di legittimità ivi menzionata), aveva statuito il seguente principio di diritto, che va ribadito in questa sede: « Le modalità di contabilizzazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di sale and lease back sono stabilite dal principio contabile IAS 17 (International Accounting Standards), in vigore dal 1° gennaio 2005. Gli IAS sono ispirati al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma (cfr. d.m. 1° aprile 2009, n. 48, art. 2, comma 2) e fatti propri dal regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (relativo all’applicazione di princìpi contabili internazionali), del 19 luglio 2002, richiamato, a sua volta, dall’art. 83, t.u.i.r., ai fini della determinazione del reddito complessivo imponibile. Sebbene questi princìpi contabili non si applichino ai soggetti che non se ne avvalgono per la redazione del bilancio (cd. soggetti non IAS adopters), non vi è ragione per discostarsi dai detti canoni generali, non espressamente derogati dalla legislazione tributaria, e, anzi, tradotti in una puntuale norma di legge aderente alla sostanza del negozio (art. 2425-bis, quarto comma, cod. civ.)» (Cass., 23 giugno 2022, n. 20327). Non meno rilevante, poi, è l’ulteriore considerazione secondo cui l’applicabilità dell’art. 2425 bis , comma 4, c.c., per le plusvalenze da sale and lease back e, dunque, la possibilità, concessa al contribuente, di «diluire» negli anni la plusvalenza ottenuta dalla cessione di beni, costituisce una deroga al criterio di competenza
di cui all’art. 109 TUIR, il che giustifica l’onere di effettuare la scelta nella dichiarazione dei redditi (art. 86, comma 4, TUIR) (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 15024 del 2020, in motivazione, e, più di recente, Cass., 15 novembre 2022, n. 33657).
Per le ragioni di cui sopra il ricorso va rigettato.
4.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese non avendo la società intimata svolto difese.
4.2 Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere Amministrazione pubblica e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 , comma 1 quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2025.