Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2906 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2906  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere-COGNOME.
NOME COGNOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
PLUSVALENZA
CC.
23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3128/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, al INDIRIZZO.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale presso quest’ultima in Roma, INDIRIZZO.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 1475/07/2015, emessa in data 15 maggio 2015, depositata in data 24 giugno 2015 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’ RAGIONE_SOCIALE ha accertato, nei confronti d i NOME, per l’anno di imposta 2005, una plusvalenza imponibile ex artt. 67 e 68 d.P.R. n. 917 del 1986,
soggetta a tassazione separata, determinata dalla cessione -in favore della RAGIONE_SOCIALE– di quota parte di proprietà di un suolo edificatorio, di cui all’atto di compravendita del 19 dicembre 2005. L’Ufficio ha quindi accertato una maggiore I rpef, ed ha irrogato una sanzione pecuniaria .
Avverso l’ accertamento, il contribuente ha proposto ricorso eccependo la notifica dell’avviso oltre i termini di decadenza; l’ i nesistenza di plusvalenza, essendo stato il terreno compromesso in vendita con contratto preliminare del 29 luglio 2004, come fondo rustico (vigneto) inedificabile, secondo la destinazione urbanistica attribuitogli dal Comune di Trani, ed al prezzo di fondo rustico, ed essendo stato l’atto pubblico successivo stipulato come dovuto in adempimento del preliminare; l ‘ errata collocazione nell’anno 2005 del pagamento della parte di prezzo oggetto dell’accertamento, in realtà pagata dall’acquirente nel 2004, all’atto della stipula del contratto preliminare di compravendita.
La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Bari  ha  rigettato  li  ricorso,  affermando  la tempestività  della  notifica  dell’avviso  e  rilevando  che  l’atto  di  compravendita  era intervenuto nell’anno 2005, quando l’immobile era stato ceduto come suolo edificatorio. Proposto appello dal contribuente, la Commissione tributaria regionale di Bari, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha rigettato.
Contro tale decisione il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso .
Considerato che:
Preliminarmente,  deve  darsi  atto  che  parte  ricorrente  ha  intitolato ‘Motivi’  la parte del ricorso che va da pag. 4 a pag. 18, all’interno della quale non ha distinto e numerato le singole censure; non ha indicato esplicitamente la fattispecie tassativa di cui all’art. 360 primo comma cod. proc. civ. nella quale ha ritenuto di inquadrare il vizio descritto; ha proceduto a criticare la sentenza impugnata attraverso il riferimento a ‘commi’ e pagine della stessa.
Rileva il Collegio che tale modalità di formulazione del contenuto censorio del ricorso, criticata e tacciata di inammissibilità dalla controricorrente, può ritenersi ammissibile solo nei  limiti  in  cui  l’esame  RAGIONE_SOCIALE  censure  ai  diversi punti della  sentenza  d’appello consenta (a questa Corte come già alla controricorrente) di individuare univocamente
ed  immediatamente,  dalla  lettura  del  ricorso,    la  formulazione  di  una  specifica  ed autonoma censura, il vizio denunciato, l’oggetto e le ragioni della critica.
A tale criterio si conforma quindi preliminarmente l’esame di ciascuno dei motivi che seguono.
2. Con il primo motivo (pag. 7-8) si assume che « La norma di diritto violata, con tale comportamento, dalla RAGIONE_SOCIALE, è individuabile nell’art. 6 D.L. 248/07 convertito nella L. 31/08.», censurando la sentenza impugnato per aver affermato che, ai fini della verifica della decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento esercitato,  «occorre riferirsi al termine di spedizione dell’atto e non a quello di ricezione da parte del contribuente».
Il mezzo è infondato, avendo questa Corte già affermato che « In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi d’imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell’atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente.» (Cass., Sez. Un., 17/12/2021, n. 40543).
Tale arresto conferma pertanto l’orientamento espresso già, ex plurimis , da Cass. 21/10/2014, n. 22320, secondo cui « In tema di avviso di accertamento notificato a mezzo posta, ai fini della verifica del rispetto del termine di decadenza che grava sull’Amministrazione finanziaria, occorre avere riguardo alla data di spedizione dell’atto e non a quella della ricezione dello stesso da parte del contribuente, atteso che il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato si applica in tutti i casi in cui debba valutarsi l’osservanza di un termine da parte del notificante e, quindi, anche con riferimento agli atti d’imposizione tributaria.».
Non ha quindi errato la CTR, che tale precedente ha citato ed applicato.
Con il secondo motivo (pag. 8-1) « Si imputa quindi alla sentenza impugnata non solo la inesatta applicazione del richiamato art. 67 del DPR 917/1986, ma altresì di aver ignorato un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti.».
Si assume che « La censura rivolta alla sentenza impugnata consiste dunque in ciò: che, non avendo negato in alcun modo né la esistenza né il contenuto del contratto preliminare del 2004, né la sua efficacia vincolante prescritta dall’art. 1372 c.c. e richiamata espressamente dall’AVV_NOTAIO ala pagina 4, capo 2 (“natura di contratto preliminare”) della memoria di risposta ed integrativa del 28/4/15; avendo ignorato la circostanza (documentalmente provata) secondo cui era stata la RAGIONE_SOCIALE srl a concordare e poi effettuare -dietro procura dei COGNOME– la cessione gratuita al Comune di Trani del terreno compromesso in vendita; avendo quindi ignorato e contestato apoditticamente (nonostante la documentazione fornita dall’appellante) che la particella 810 oggetto dell’atto pubblico di compravendita fosse quel che era rimasto del predetto terreno dopo al cessione gratuita al Comune della maggior parte di esso; avendo quindi ignorato che nessuna plusvalenza era derivata ai medesimi COGNOME dalla vendita di quella particella, essendo essi vincolati e obbligati alla sottoscrizione dell’atto pubblico del 19/12/2005 e all’accettazione del prezzo concordato per la vendita di un terreno totalmente inedificabile all’epoca del preliminare; avendo ignorato tutto ciò, la sentenza ha respinto, con motivazione inadeguata ed insufficiente, il motivo di appello». Il mezzo è inammissibile, per la contemporanea prospettazione RAGIONE_SOCIALE diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, n. 3 e n 5, cod. proc. civ., atteso che la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che dà luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto ( Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).
Pertanto, i distinti motivi di cui al n. 3 ed al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., cumulati nel contenuto del mezzo, non emergono quali censure ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi autonomamente individuabili, essendo peraltro inammissibile l’ipotetico intervento di selezione e ricostruzione del motivo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Ulteriore ragione d’inammissibilità deriva dall’evocazione della ‘ motivazione inadeguata ed insufficiente ‘, categoria non più riconducibile, già astrattamente, all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis .
Quanto poi all’omesso esame di un fatto, di cui il ricorrente si lamenta, deve rilevarsi che si verte in fattispecie di c.d. ‘doppia conformità’ e che « Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 10/03/2014, n. 5528).
Il mezzo non integra tali requisiti ed è ulteriormente inammissibile.
Il motivo è poi inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 -bis , primo comma, n.1, cod. proc. civ. Infatti, la sentenza impugnata, nell’ affermare sostanzialmente che, nella successione negoziale tra contratto preliminare ed atto definitivo di compravendita, è a quest’ultimo che deve farsi riferimento, al fine di individuare la sussistenza di tutti i requisiti (com presa l’edificabilità) della ‘cessione’ che genera la plusvalenza, si è comunque uniformata alla giurisprudenza di questa Corte. In questo senso, infatti, si è detto che « In tema di imposte sui redditi RAGIONE_SOCIALE persone fisiche, l’imponibilità della plusvalenza di cui all’art. 81 (ora 67), comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, si realizza con il manifestarsi dell’effetto traslativo, e quindi solo con la stipula del contratto definitivo, sicché la semplice sottoscrizione di un contratto preliminare di compravendita, pur se integrata dalla corresponsione di acconti, non genera effetti di imponibilità IRPEF in capo al percettore di dette somme fino alla stipula del definitivo. Tuttavia, in applicazione del principio di cassa di cui all’art. all’art. 82 (ora 68), comma 1 del decreto citato, il reddito va imputato all’annualità in cui sono stati corrisposti gli acconti.» (Cass. 03/08/2021, n. 22099). E si è affermato, sempre trattando di plusvalenza da cessione di area edificabile, che « l’obbligazione tributaria di cui qui si tratta sorge con la cessione, cioè con il trasferimento della proprietà del bene immobile. E tale effetto può ritenersi prodotto solo con l’atto notarile trascritto (cfr., seppur in fattispecie relativa ai tributi locali, Cass. n. 14119/2017, specialmente § 11, e precedenti ivi citati). La scrittura privata non può quindi ritenersi una vendita, ma resta una promessa di vendita, un impegno a prestare un futuro consenso, incapace di generare plusvalenza da cessione.» (Cass. n. 1242/2020, in motivazione, anche con
specifico riferimento ad un preliminare ad effetti anticipati, con immissione nel possesso e trasformazione del terreno, per iniziare la costruzione dell’immobile residenziale).
4. Con il terzo motivo (pag. 11-13) si assume che « La sentenza impugnata ha non solo ignorato una circostanza di fatto discussa tra le parti in causa, ma altresì contraddetto il principio generale secondo cui è il soggetto che rivendica un diritto a doverne fornire la prova (art. 2697 c.c.). », facendosi riferimento all’imputazione, da parte della sentenza impugnata, all’anno d’imposta 2005 dell’incasso del corrispettivo di euro 20.000,00, del quale ha rilasciato quietanza il ricorrente nell’atto definitivo, dando atto di aver ricevuto l’impo rto prima della stipula del contratto di compravendita. Secondo il ricorrente tale somma andrebbe compresa nei maggiori importi incassati, dallo stesso contribuente, nel 2004, a titolo di acconti, in ragione del contratto preliminare.
Con ulteriore censura, si denunzia che « Anche tale parte della sentenza impugnata non si sottrae quindi alla censura di non aver preso in esame la documentazione fornita dall’appellante in ordine all’avvenuto frazionamento dell’unico terreno oggetto del preliminare di compravendita in varie particelle, tra cui la 810 oggetto poi dell’atto di vendita definitivo. », al fine di sostenere che l’importo del corrispettivo dei cui il contribuente ha dato quietanza nel contratto definitivo non potrebbe distinguersi dagli acconti già ricevuti nel 2004 in forza del preliminare, non sussistendo le ragioni, evidenziate dalla CTR, della sua specifica riferibilità alla particella catastale n. 810, che era frutto di un frazionamento del fondo già promesso in vendita, dal quale pertanto non si differenziava n ella determinazione dell’unico corrispettivo.
4.1. La prima censura è inammissibile, per la commistione inestricabile tra pretesa violazione di legge ed omesso esame di un fatto. Si richiamano al riguardo i principi già esposti a proposito del secondo mezzo, aggiungendo che in materia di onere della prova l’ambiguità del m otivo appare ancora più grave, atteso che « « In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri
officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.» (Cass. Sez. 6  – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
Tanto  premesso,  il  motivo  è  anche    infondato  nella  parte  in  cui  censura  la  pretesa inversione dell’onere della prova circa i presupposti dell’imposizione, poiché la CTR non ha attribuito l’ onus al contribuente né espressamente, né implicitamente, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata.
In realtà la CTR, interpretando il contratto definitivo, ed in particolare la clausola relativa al pagamento del prezzo ed alla quietanza rilasciata dal contribuente, ha ritenuto che l’importo  imputato  a  plusvalenza  risultasse  incassato  nel  medesimo  anno  d i  stipula dell’atto pubblico.
Ove il ricorrente avesse voluto censurare in modo ammissibile tale interpretazione in punto di diritto, avrebbe dovuto indicare univocamente le regole ermeneutiche legali violate ed i principi in esse contenuti, precisando altresì in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 09/04/2021, n. 9461) Il mezzo non integra tali requisiti.
Ove pure il ricorrente avesse voluto censurare la conclusione della CTR sull’anno di pagamento  della  somma  in  questione  come  presunzione  semplice  derivata  dai  dati emergenti dal contratto, avrebbe dovuto dedurre la violazione dell’art. 2729 cod. civ. ed  allegare  puntualmente  l’ipotetica  erronea  sussunzione  della  fattispecie  concreta , sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza). Ma tanto non si ricava dal mezzo.
Quanto all’omesso esame di fatti di cui il ricorrente si lamenta a pag. 11, deve premettersi, anche in questo caso, che si verte in fattispecie di c.d. ‘doppia conformità’ e che « Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 10/03/2014, n. 5528).
Tanto non emerge dalla censura, che è quindi inammissibile.
Inoltre,  la  censura  si  riferisce  non  a  fatti  in  senso  storico-naturalistico,  ma  a documentazione, non meglio individuata, che il ricorrente solo genericamente deduce di aver prodotto e della quale non illustra la natura decisiva, se non apoditticamente assumendo che sosterrebbe la sua tesi.
4.2. Anche la seconda censura è inammissibile, in considerazione della ‘doppia conformità’ e della relativa carenza del ricorso, analogamente a quanto rilevato al punto che precede.
Ferma la rilevata inammissibilità, giova peraltro sottolineare che la ratio decidendi della sentenza impugnata, a differenza di quanto pare supporre il ricorrente, non afferma che la particella de qua costituisca un incremento dell’estensione originaria del terreno dedotta nel contratto preliminare, ma ne evidenzia il sopravvenuto mutamento di valore, a seguito della caducazione di un vincolo urbanistico, così valutando una circostanza (la sopravvenuta mutata destinazione urbanistica) che lo stesso ricorrente deduce di aver posto a fondamento del suo ricorso introduttivo (cfr. ad es. pag. 4 del ricorso) e che quindi non ha il carattere dell’argomentazione nuova ed introdotta d’ufficio, che genericamente pare attribuirle il mezzo.
5. Con il quarto motivo (pag. 14-18) si assume che « La sentenza impugnata ha quindi operato falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., oltre ad aver omesso l’esame di un fatto, discusso tra le parti, decisivo ai fini della decisione.», censurando la CTR per avere  ritenuto inammissibili, in quanto  nuovi,  i motivi d’appello introdotti dal contribuente in una memoria integrativa, e relativi:
alla pretesa interpretazione dell’atto di vendita definitivo come alienazione con riserva di proprietà, per cui l’effetto traslativo della proprietà, ed il presupposto dell’imposizione a  titolo  di  plusvalenza,  si  sarebbe  verificato  solo  nel  2007,  a  seguito  del  completo pagamento del prezzo;
nonché alla sussistenza di cause di non punibilità e di forza maggiore, che avrebbero dovuto escludere l’applicazione di sanzioni.
Il motivo è inammissibile per la commistione inestricabile tra pretesa violazione di rito ed omesso esame di un fatto. Si richiamano al riguardo i principi già esposti a proposito del secondo mezzo.
Nella parte in cui denunzia l’omesso esame di un fatto, il motivo è inammissibile anche perché  viola  il  limite  della  ‘doppia  conformità’,  non  soddisfacendo  i  requisiti  di ammissibilità necessari, di cui ai punti precedenti.
Comunque, il mezzo è anche infondato: dalla stessa esposizione che il ricorrente illustra (pag. 2 del ricorso), non  risulta, innanzitutto, che il suo  ricorso introduttivo comprendesse  la  deduzione  della    ‘forza  maggiore’  o  dell”incertezza  normativa tributaria’ alle quali si riferisce il mezzo in esame.
Sempre secondo la stessa ricostruzione offerta dal medesimo ricorrente, emerge poi univocamente che la sua tesi (del resto riproposta anche in questa sede), in punto di fatto e di diritto, collocava nel 2004, in coincidenza con il preliminare, la predeterminazione della ‘cessione’ realizzatasi poi con il contratto definitivo del 2005, il cui contenuto era predetermin ato dal precedente ‘compromesso’, sicché era al momento di quest’ultimo che doveva farsi riferimento per determinare la natura del bene. Sempre nel 2004, poi, doveva collocarsi l’incasso del corrispettivo qui controverso, pur quietanzato nell’atto definitivo del 2005.
La pretesa individuazione del momento traslativo -e  quindi della realizzazione della plusvalenza-  nel  2007,  per  effetto  della  assunta  natura  di  vendita  con  riserva  di proprietà attribuita al contratto definitivo e del dedotto pagamento a saldo avvenuto in tale ultimo periodo d’imposta, non è indicata dal ricorrente come inserita nel ricorso introduttivo.
Deve allora rilevarsi che, nell’ottica della materia controversa (momento determinativo della cessione, della plusvalenza e dei pagamenti, ai fini sia del verificarsi o meno del presupposto impositivo; sia dell’individuazione del periodo d’imposta di compe tenza) la ricostruzione della fattispecie concreta ( che nella nuova prospettazione il contribuente colloca nell’anno d’imposta 2007, là dove l’alternativa sino a quel momento controversa era tra 2004 e 2005) non ha connotazioni meramente giuridiche astratte, ma dipende, ed a sua volta involge, elementi fattuali nuovi, che denotano l’inammissibile novità correttamente rilevata dalla CTR.
6. Le spese di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.230,00  per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024.