Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11676 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11676 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
Plusvalenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22902/2021 R.G. proposto da: NOME COGNOME, in
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. forza di procura a margine del ricorso;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, INDIRIZZO presso cui è domiciliata;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA-SEZIONE STACCATA DI MESSINA, n. 1081/2021, depositata in data 02/02/2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugnava davanti alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Messina l’avviso di accertamento emesso per Irpef dell’anno di imposta 2007 con cui era ripresa a imposizione la plusvalenza, non dichiarata, derivante dalla cessione infraquinquennale di due immobili; l’Agenzia evidenziava infatti che egli aveva acqui stato gli stessi nell’ambito di un acquisto di complessiv e sei unità immobiliari, al prezzo a corpo di euro 187.000,00, e che la vendita, di due di esse, era avvenuta al prezzo di euro 180.000,00.
La CTP accoglieva il ricorso del contribuente evidenziando che l’amministrazione non potesse far riferimento, per individuare il prezzo di acquisto, al valore catastale e quindi ad un valore solo stimato.
La Commissione tributaria regionale (CTR) della Sicilia, sezione staccata di Messina, accoglieva l’appello erariale, evidenziando che, premesso che la plusvalenza non era stata dichiarata e non potendo negarsi evidentemente che plusvalenza vi fosse, legittimamente l’Agenzia aveva fa tto riferimento ai valori catastali, stabilendo il prezzo delle singole unità immobiliari acquistate, mentre il contribuente, d’altro canto, non aveva indicato alcun prezzo diverso.
Il contribuente propone ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18/03/2025 per la quale il ricorrente ha depositato atto denominato note di trattazione scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente evidenziato che il ricorrente ha depositato in data 17 marzo 2025 un atto intitolato «note di trattazione scritta», estraneo al modulo procedimentale dell’adunanza camerale di cui all’art. 380 -bis.1 c.p.c. e che, ove inteso come memoria, è tardivo, in
quanto quest ‘ultima deve essere presentata dieci giorni prima dell’adunanza camerale.
Va esaminato preliminarmente il secondo motivo di ricorso che, se in rubrica indica il paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., nella sua esposizione deduce una nullità della sentenza per motivazione apparente ( non essendo l ‘ indicazione della disposizione contenuta nella rubrica vincolante: Cass. n. 7981/2007; Cass. n. 5848/2012), questione il cui esame è evidentemente preliminare a quello degli altri motivi.
2.1. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U., n. 8053/2014 che ha chiaramente affermato che il sindacato sulla motivazione deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione;
successivamente tra le tante Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 6626/2022).
In particolare si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. L’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., n. 22232/2016 e le sentenze in essa citate).
Nel caso di specie la motivazione esiste graficamente e ne è pienamente individuabile la ratio decidendi , peraltro puntualmente compresa dal ricorrente.
3. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce violazione dell’art. 68 t.u.i.r., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.; deduce l’erroneità della decisione laddove ha apoditticamente avallato l’operato dell’ufficio che aveva utilizzato, per calcolare la plusvalenza, il valore catastale dell’immobile e non il prezzo di acquisto.
3.1. Il motivo è infondato.
Premesso che l’art. 68 t.u.i.r. attribuisce rilevanza, in tema di plusvalenza da cessione infraquinquennale, ai fini della valutazione della sussistenza e del calcolo della medesima, al prezzo di acquisto e non al valore catastale, occorre però evidenziare che la CTR,
nell’individuare il prezzo di acquisto dei due immobili poi alienati, rilevante come base di calcolo della individuata plusvalenza, non ha dato rilevanza al valore catastale in sé ma ha, con accertamento in fatto, attribuito alle singole unità immobiliari compravendute un prezzo, basato sul valore catastale, la cui somma era sostanzialmente pari al prezzo indicato nell’atto, e quindi dando rilievo alla circostanza che nella compravendita cumulativa dei sei immobili le parti avessero attribuito a ciascuna unità immobiliare un valore pari alla rendita catastale, cui erano stati applicati alcuni coefficienti. L’avviso di accertamento, in atti, af ferma infatti che «il prezzo d’acquisto degli immobili è stato determinato dalle parti contraenti attribuendo a ciascuna unità immobiliare un valore pari alle rendite catastali moltiplicate per i coefficienti previsti dalla normativa vigente al momento del trasferimento».
Trattasi quindi di un accertamento in fatto del prezzo di acquisto dei due immobili, cui peraltro il contribuente non oppone alcuna valida censura, come correttamente evidenziato dai giudici di appello, e non della erronea interpretazione della disposizione di legge.
Con il terzo motivo è dedott a la violazione dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 , in quan to l’ufficio , attribuendo arbitrariamente un valore di acquisto per gli immobili fondato sul valore catastale ha stimato un basso corrispettivo che ha comportato, l’emersione di una maggiore plusvalenza imponibile, violando l’art. 53 Cost.
4.1. Il motivo è inammissibile, non solo per la sua estrema genericità ma anche perché la violazione o falsa applicazione delle norme costituzionali può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. quando tali norme siano di immediata applicazione, non
essendovi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale.
Questa Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (Cass. Sez. U. n. 25573/2020; Cass. n. 15879/2018; Cass. n. 3708/2014; Cass. Sez. U. n. 11167/2022 ha poi precisato come il principio valga nelle ipotesi, numericamente preponderanti, in cui la materia controversa sia disciplinata da disposizioni con forza di legge).
Ciò detto, è evidente che la materia sulla quale verte la lite è compiutamente disciplinata dalla legge con conseguente inammissibilità della doglianza.
5 . Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., non avendo l’ufficio fornito la prova del maggior imponibile, pur gravando su di esso il relativo onere.
5.1. Il motivo è inammissibile.
Come da consolidato orientamento di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c .c. si configura nel caso in cui il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni: in buona sostanza, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile
nel paradigma dell’art. 360 n. 5 c .p.c., che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 15684/2023; Cass. n. 27270/2021).
Concludendo, il ricorso deve essere rigettato.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 5 .600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18/03/2025.