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Plusvalenza immobile: tassabile anche senza pagamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13965/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di plusvalenza immobile. La tassazione scatta al momento della stipula del contratto di compravendita, che segna il trasferimento giuridico della proprietà, indipendentemente dall’effettivo pagamento del prezzo. La successiva risoluzione del contratto per inadempimento dell’acquirente non annulla retroattivamente l’obbligo fiscale sorto. Il venditore potrà, tuttavia, registrare una minusvalenza nell’esercizio in cui avviene la risoluzione.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Plusvalenza immobile: tassabile anche in caso di mancato pagamento e risoluzione del contratto

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un tema di grande rilevanza pratica: la tassazione della plusvalenza immobile quando la vendita viene successivamente risolta per inadempimento dell’acquirente. La domanda è cruciale: l’obbligo fiscale sorge al momento della firma del contratto o solo dopo l’effettivo incasso del prezzo? La risposta della Suprema Corte è netta e conferma un orientamento consolidato: ciò che conta è il momento del trasferimento giuridico della proprietà.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per il mancato versamento di IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2006. L’Agenzia delle Entrate contestava la mancata dichiarazione di una plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile.
Il contribuente si era opposto sostenendo che la vendita, sebbene formalmente stipulata, era stata successivamente risolta con una sentenza del Tribunale a causa del mancato pagamento del prezzo da parte dell’acquirente. A suo avviso, non essendoci stato un effettivo incasso, non si era mai realizzata alcuna plusvalenza tassabile.

La Decisione nei Precedenti Gradi di Giudizio

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione al contribuente. I giudici di merito avevano ritenuto che, a seguito della sentenza civile che risolveva il contratto, la compravendita dovesse considerarsi come mai avvenuta. Di conseguenza, concludevano che non potesse esistere alcuna plusvalenza immobile, poiché il bene non era stato “effettivamente compravenduto”. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione contro questa decisione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla plusvalenza immobile

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione dei giudici di merito. Il ragionamento dei giudici si fonda su un principio cardine del diritto tributario: il principio di competenza. Secondo la giurisprudenza prevalente, la plusvalenza fiscalmente rilevante si realizza nel momento in cui il contratto di compravendita viene concluso.
È in quel preciso istante che si produce l'”effetto traslativo”, ovvero il passaggio di proprietà del bene dal venditore all’acquirente. Le vicende successive, come il mancato adempimento degli obblighi contrattuali (ad esempio, il pagamento del prezzo) o lo stesso scioglimento del contratto, non hanno la capacità di eliminare retroattivamente il fatto generatore dell’imposta che si è già perfezionato.
In altre parole, la tassazione è legata al momento in cui il diritto di proprietà viene trasferito, non al momento in cui il corrispettivo viene materialmente incassato. Pertanto, il contribuente avrebbe dovuto dichiarare la plusvalenza nell’esercizio in cui era avvenuta la cessione.
La Corte precisa, inoltre, la corretta gestione contabile e fiscale della situazione: laddove il contratto venga successivamente risolto, il contribuente ha il diritto di iscrivere a bilancio una minusvalenza, ovvero una perdita, nell’esercizio in cui interviene la risoluzione. Questa minusvalenza potrà controbilanciare, dal punto di vista fiscale, la plusvalenza precedentemente tassata.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce con chiarezza che l’obbligo di dichiarare e tassare la plusvalenza immobile sorge con la stipula del contratto di vendita. La risoluzione successiva del contratto non cancella l’evento imponibile già verificatosi, ma costituisce un fatto nuovo che può generare una minusvalenza deducibile in un periodo d’imposta successivo. Questa interpretazione garantisce certezza giuridica e allinea la disciplina delle imposte dirette al momento del perfezionamento giuridico dell’operazione, indipendentemente dai flussi finanziari che ne derivano.

Quando sorge l’obbligo di dichiarare una plusvalenza immobile?
L’obbligo di dichiarare la plusvalenza sorge al momento della conclusione del contratto di compravendita, poiché è in quel momento che si realizza l’effetto traslativo, cioè il passaggio giuridico della proprietà.

Se il contratto di vendita viene risolto perché l’acquirente non paga il prezzo, la plusvalenza va comunque tassata?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la plusvalenza va tassata nell’anno in cui è stato stipulato il contratto. La successiva risoluzione per inadempimento non elimina l’obbligo fiscale originario.

Cosa può fare il venditore se, dopo aver pagato le tasse sulla plusvalenza, il contratto viene annullato?
Il venditore può iscrivere a bilancio una minusvalenza nell’anno d’imposta in cui il contratto viene risolto. Questa operazione gli permette di registrare una perdita fiscalmente rilevante che può compensare il reddito imponibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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