Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31372 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31372 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, al INDIRIZZO in Roma ;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 3726, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 12.4.2016, e pubblicata il 19.4.2016; dal ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta Consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: Ires 2008 -Cessione di ramo d’azienda Plusvalenza – Assoggettamento ad imposizione -Valore calcolato in base all’accertamento per l’imposta di registro – Conseguenze.
la Corte osserva:
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TF3030405695/2012, con il quale contestava, ai fini Ires, l’imponibilità di una plusvalenza non dichiarata conseguita per effetto della cessione di un ramo d’azienda, con riferimento all’anno 2008.
La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, proponendo plurime censure, e la CTP accoglieva il suo ricorso ritenendo che l’Amministrazione finanziaria non avesse chiarito in alcun modo il criterio di quantificazione della contestata plusvalenza, risultando a tal fine insufficiente il valore accertato in sede di liquidazione dell’imposta di registro, sia pure mediante atto non contestato dalla società. La CTP, pertanto, annullava l’avviso di accertamento.
L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita dalla CTP, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania. La CTR riteneva che il valore accertato ai fini dell’imposta di registro, cui la società aveva prestato acquiescenza, ben potesse fondare la stima del valore della plusvalenza ai fini Ires, non avendo la contribuente offerto prova contraria. In conseguenza riformava la decisione dei primi giudici e riaffermava la piena validità ed efficacia dell’atto impositivo.
Ha proposto ricorso per cassazione la società, affidandosi a quattro strumenti di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione, riservandosi di depositare memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso la contribuente contesta il vizio della decisione adottata dalla CTR perché basata sul presupposto indimostrato dell’avvenuta notifica alla società di un avviso di
accertamento della plusvalenza ai fini dell’imposta di registro, che non sarebbe stato impugnato.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione dell’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147 del 2015, perché comunque il valore della plusvalenza accertato ai fini dell’imposta di registro non può essere posto da solo a fondamento dell’accertamento di valore ai fini delle imposte dirette, in considerazione del disposto della norma citata, e trattasi di norma di interpretazione autentica, avente perciò efficacia retroattiva.
Con il terzo motivo di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, e comunque la mancata applicazione del principio del favor rei in materia di sanzioni applicate.
Mediante il quarto motivo di ricorso la contribuente lamenta il vizio di motivazione della pronuncia impugnata, avendo la CTR riformato la decisione di primo grado con motivazione laconica ed insufficiente, fondando il suo giudizio su non condivisibili valutazioni meramente presuntive.
Occorre premettere che i motivi di ricorso proposti dalla ricorrente, in particolare il primo, il terzo ed il quarto, presentano limiti nella loro formulazione tecnica, perché non indicano espressamente la natura della critica esposta e neanche le norme che si affermano violate.
Con il primo motivo di ricorso la contribuente contesta il vizio della decisione adottata dalla CTR perché basata sul presupposto dell’avvenuta notifica alla società di un avviso di accertamento della plusvalenza ai fini dell’imposta di registro, che non sarebbe stato impugnato. Invero la CTR si esprime specificamente sul punto, e rileva che ‘l’Agenzia delle Entrate ribadisce che la ricostruzione dell’imponibile ai fini reddituali scaturisce dalla rideterminazione del
valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro, valore che è stato definito per mancata impugnazione. Tale avviso risulta essere stato notificato correttamente al legale rappresentante della società’ (sent. CTR, p. II). A fronte di queste ben intellegibili valutazioni la società ricorrente, oltre a non chiarire neppure la natura della propria censura, propone solo generiche affermazioni, senza chiarire perché ritenga la notifica dell’avviso di accertamento non essere intervenuta, e senza illustrare come abbia contestato la circostanza nei precedenti gradi del giudizio.
Il primo motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile.
Mediante il secondo mezzo d’impugnazione la società contesta la violazione di legge, per avere la CTR motivato la propria decisione affermando che il valore della plusvalenza accertato ai fini dell’imposta di registro può essere posto da solo a fondamento dell’accertamento di valore ai fini delle imposte dirette, mentre la legittimità di questa conclusione è esclusa dalla previsione di cui all’art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 147 del 2015, avente natura di norma di interpretazione autentica e perciò efficacia retroattiva.
6.1. La censura proposta dalla contribuente risulta condivisibile, avendo questa Corte regolatrice già avuto occasione di chiarire, condivisibilmente, che ‘in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria’, Cass. sez. V, 8.5.2019, n. 12131 (conf. Cass. sez. V, 18.4.2018, n. 9513). Rimane fermo che compete al giudice del
gravame verificare se risulta accertata la percezione di una plusvalenza imponibile da parte della contribuente, sul fondamento di criteri di stima anche diversi rispetto all’importo della cessione del ramo d’azienda come definito ai fini dell’imposta di registro.
Il secondo motivo di impugnazione deve essere pertanto accolto, dichiarato inammissibile il primo, ed assorbiti il terzo ed il quarto; la decisione impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania perché proceda a nuovo giudizio, provvedendo anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , dichiarato inammissibile il primo ed assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15.11.2024.