Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10694 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 10694 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27841/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in atti
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO n. 3852/2016 depositata il 27/04/2016. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M., in uditi per la ricorrente l’Avvocatura dello Stato, in persona dell’Avv.
persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME NOME COGNOME e per il controricorrente l’Avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria provinciale di Salerno, adita da COGNOME Salvatore, rigettava il ricorso avverso l’avviso di accertamento n. TF9011503982/2013, emesso dall’Agenzia delle Entrate di Salerno, con il quale veniva accertata l’omessa dichiarazione della plusvalenza realizzata nell’anno di imposta 2008 a seguito della cessione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, (d’ora in poi C.T.R.), in accoglimento del gravame proposto dal soccombente, annullava l’avviso di accertamento impugnato e compensava le spese processuali.
Riteneva la C.T.R. che, contrariamente a quanto eccepito dall’appellata Agenzia delle Entrate, la deduzione della violazione dell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente non costituisse domanda nuova, quanto piuttosto un ampliamento degli stessi motivi già enunciati in primo grado e comunque rilevabile d’ufficio. Il motivo era fondato, in quanto il termine dilatorio di sessanta giorni non era stato rispettato, dovendosi tener conto della sospensione feriale dei termini. Inoltre, la pretesa dell’A.F. era infondata nel merito, posto che, pur dovendosi applicare alla fattispecie il principio di competenza, nessuna plusvalenza si era
potuta determinare, non avendo l’appellante riscosso corrispettivo della cessione.
Avverso la precitata sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tre motivi. COGNOME NOME resiste con controricorso. Il Procuratore Generale conclude per l’accoglimento del primo e del terzo motivo, assorbito il secondo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -rubricato « violazione e falsa applicazione degli articoli 18, 53 e 57 del decreto legislativo n. 546/1992, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. »-, con il quale si lamenta che la C.T.R. non avrebbe dovuto esaminare il motivo di appello relativo al mancato rispetto del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, in quanto costituente domanda nuova, è fondato.
Come risulta dalla trascrizione del ricorso introduttivo di primo grado (cfr. pagina 7 del ricorso dell’Agenzia delle Entrate), non contestata dalla difesa del controricorrente, in esso non è stato espressamente invocato l’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 e nessun cenno si rinviene alla violazione del termine dilatorio di sessanta giorni che deve intercorrere tra la consegna del verbale di chiusura delle operazioni e l’emissione dell’avviso di accertamento. Di conseguenza, la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare inammissibile e dunque non esaminare il relativo motivo di appello, integrante domanda nuova vietata dall’art. 57 del decreto legislativo n. 546/1992, trattandosi di questione non rilevabile d’ufficio.
Questa Corte ha infatti affermato che «Il vizio dell’avviso di accertamento derivante dall’inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000
non è rilevabile d’ufficio e deve essere contestato dal contribuente nel ricorso introduttivo, riguardando la violazione di una norma posta a difesa del diritto dello stesso contribuente al pieno dispiegarsi del contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria e considerata la natura recettizia dell’atto impositivo tributario da porsi in relazione con il suo duplice scopo di impedire la decadenza dell’Amministrazione predetta dalle potestà di accertamento e di riscossione dei tributi e di porre la parte in grado di contestare, anche in sede giudiziaria, la pretesa tributaria» (Cass. 28.12.2023, n. 36198, Cass., 18 luglio 2022, n. 22549).
Con il secondo motivo -rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente nonché dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990 e della sentenza CGUE 3.7.2014 in causa C129/13, COGNOME», la ricorrente deduce, in via subordinata, che la C.T.R avrebbe dovuto respingere la doglianza, in quanto l’appellante non aveva dedotto e dimostrato che, ove fosse stato rispettato il termine dilatorio, il procedimento avrebbe avuto un risultato diverso e favorevole, anche in considerazione di quanto dispone l’art. 21 octies della legge n. 241/1990 in materia di atti amministrativi in genere, disposizione che sancisce appunto il principio della irrilevanza del mero vizio formale.
Il motivo, da ritenersi proposto in via subordinata, è assorbito dall’accoglimento del primo.
Con il terzo motivo -rubricato « violazione e falsa applicazione degli articoli 86, comma 1, lettera a) e 2, nonché 109, comma 2, lettera a) del T.U.I.R., ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c .» -la ricorrente assume che, per inequivoca disposizione dell’art. 109,
comma 2, del T.U.I.R., i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti alla data di stipulazione dell’atto per gli immobili e per le aziende e dunque in base al principio di competenza economica, essendo per contro irrilevanti le vicende successive riguardanti l’adempimento degli obblighi contrattuali, quale l’omessa percezione del prezzo pattuito. La cessione delle quote sociali sarebbe infatti riconducibile alla fattispecie del contratto di compravendita, cui si applica il principio del consenso traslativo. La C.T.R. avrebbe pertanto dato erroneamente rilevanza all’omessa riscossione del prezzo della cessione, aderendo ad un isolato orientamento della Suprema Corte, contrastato da numerose pronunce di segno contrario.
7. Il motivo è fondato.
La Corte intende dare continuità all’orientamento di legittimità secondo cui, in tema di imposte sui redditi, la plusvalenza derivante dalla vendita di un’azienda – così come dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali, va dichiarata, inderogabilmente, nel periodo in cui si è formalmente realizzata, non rilevando nè le vicende che attengono alla fase dell’adempimento, quale ad esempio il mancato incasso o l’incasso parziale del prezzo (Cass. 23.2.2011 n. 4365, Cass. 16.11.2012 n. 2009, Cass. 26.5.2021 n. 14560), né quelle relative alla sorte del contratto, che venga eventualmente e successivamente annullato, con conseguente restituzione del prezzo (Cass. 30.11.2016 n. 24378), eventi fiscalmente autonomi che vanno dichiarati nei distinti periodi di imposta in cui si verificano.
Essendo pacifico in causa che il contratto di cessione delle quote sociali a titolo oneroso è stato stipulato nell’anno 2008 e non essendovi contestazione sulla quantificazione
dell’importo accertato a titolo di plusvalenza (euro 130.800,00), la Corte, non essendo necessari nuovi accertamenti in fatto, decide nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., rigettando l’originario ricorso del contribuente.
10. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente; condanna COGNOME Salvatore al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2025.