Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2775 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2775  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23840/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE,  domiciliata ex  lege in  INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-ricorrente- contro
COGNOME,  elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME NOME  (CODICE_FISCALE)  che  lo  rappresenta  e  difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente- avverso  SENTENZA  di  COMM.TRIB.REG.    FIRENZE  n.  687/2017 depositata il 10/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La  contribuente  sig.ra  NOME  COGNOME  riceveva  avviso  di accertamento con ripresa a tassazione per l’importo equivalente alla
plusvalenza  da  cessione  di  azienda  che  non  aveva  esposto  in dichiarazione dei redditi per l’anno 2009.
Più specificamente, la contribuente aveva ceduto al sig. NOME COGNOME il proprio esercizio commerciale all’insegna di bar, somministrazione cibi e bevande, commercio al dettaglio di generi di monopolio ed altri. Tuttavia, non essendo stato onorato il pagamento rateale, nell’anno successivo 2010 le parti procedevano ad una retrocessione e al trasferimento dell’immobile al figlio della sig.ra COGNOME e, successivamente, a questi giungeva anche la licenza per generi di monopolio dal sig. COGNOME.
Il giudice di prossimità non apprezzava le ragioni della contribuente, ricordando l’irrilevanza dei profili civilistici ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 109 del dpr numero 917 del 1986, donde la plusvalenza avrebbe dovuto essere esposta nella dichiarazione dei redditi per il 2009, circostanza non avvenuta e che giustificava quindi la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio.
Spiccava appello la parte contribuente, trovando accoglimento delle proprie ragioni sull’argomento per cui non aveva lucrato nel concreto alcuna somma, sicché non era tenuta a dichiarare alcun corrispettivo di cessione, avendo ricevuto solo un acconto figurativo.
Avverso questa sentenza ricorre il Patrono erariale affidandosi ad un unico motivo di impugnazione cui replica con tempestivo contro ricorso la parte contribuente.
CONSIDERATO
Viene proposto unico motivo di ricorso.
 Con  l’unico  motivo  di  impugnazione  si  propone  censura  ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione  dell’articolo  109,  secondo  comma,  lettera a) ,  del  DPR numero 917 del 1986.
Nel concreto, il Patrono erariale richiama il disposto normativo per  cui  gli  aspetti  tributari  restano  autonomi  da  quelli  civilistici, donde  il  corrispettivo  deve  essere  indicato  nell’anno  in  cui  si
perfeziona il contratto di cessione, senza tenere conto dei momenti differiti degli effetti giuridici di diritto privato.
In  questo  senso,  la  contribuente  avrebbe  dovuto  esporre  la plusvalenza nell’anno di imposta in cui si era perfezionato il contratto di cessione, in disparte il momento di effettiva percezione del prezzo.
Si oppone la difesa della parte contribuente, richiamando pronuncia di questa Suprema Corte di legittimità n. 5876/2014, ritenuta più attinente al caso di specie. In tale circostanza, questa Sezione riconobbe l’insussistenza di alcuna plusvalenza, per il fatto che non era stato lucrato alcun prezzo. Più precisamente, si era affermato che ‘se è vero che la plusvalenza fiscalmente rilevante, collegata alla cessione di un’azienda, si realizza al momento della conclusione del contratto, mentre le vicende successive relative all’adempimento degli obblighi contrattuali od all’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione con carattere novativo non hanno alcun rilievo (V. Cass. Sentenza n. 25326 del 15/12/2010), tuttavia va rilevato come il giudice di appello osservava che la cedente in realtà non aveva realizzato alcunché, dal momento che non aveva incassato l’importo della cessione, con la conseguenza, perciò, che alcuna plusvalenza poteva essersi determinata, costituendo tutto ciò un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede’ (così Cass. V, n. 5876/2014, § 2).
In disparte la circostanza che nel caso in esame un acconto ancorché ‘figurativo’ – è stato corrisposto, l’argomento non coglie nel segno. Occorre coordinare detta pronuncia con quelle seguenti e dare continuità all’orientamento di cui a Cass. V, n. 24378/2016, nonché n. 14560/2021, dove si afferma che in tema di imposte sui redditi, la plusvalenza derivante dalla cessione di azienda va dichiarata, inderogabilmente, nel periodo in cui si è formalmente realizzata, non rilevando l’incasso parziale del prezzo di vendita per effetto del fallimento della cessionaria, atteso che i due momenti integrano eventi (la realizzazione della plusvalenza nel modo
suddetto  e  la  successiva  emersione  di  un  componente  negativo conseguente alla mancata corresponsione per intero del prezzo della cessione) fiscalmente autonomi, che vanno dichiarati – l’uno come guadagno, l’altro come perdita – nei distinti periodi in cui si verificano (cfr. Cass. V, n 14560/2021).
È infatti da evidenziare la circostanza che gli effetti traslativi della proprietà si perfezionano con il consenso, irrilevanti restando -per questo aspetto- i successivi profili di adempimento del pagamento del  prezzo  (cfr.  Cass.  V,  n.  14560/2021,  ma  già  Cass.  VI-5  n. 14848/2018).
Detto diversamente, la circostanza che non sia stato pagato il prezzo, non esime dalla esposizione in dichiarazione dei redditi, ma si traduce nell’indicazione all’attivo nell’anno in cui il contratto è stipulato ed in uno speculare passivo per il successivo anno in cui il contratto viene sciolto ovvero modificato come nel caso in esame. In questo senso, la mancata percezione del prezzo può essere fatta valere come perdita nella dichiarazione dell’ano successivo (cfr., altresì, 24378/2016).
3. In definitiva il ricorso è fondato e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio può essere definito con il rigetto del ricorso originario della parte contribuente.
Le spese dei diversi gradi di merito e del giudizio di legittimità possono  essere  compensate  in  ragione  dei  diversi  orientamenti maturati in seno  alla Corte ed al momento  del  consolidarsi dell’orientamento prevalente.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  ricorso,  cassa  la  sentenza  impugnata  e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario della parte contribuente.
Compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26/11/2024.