Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11176 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11176 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
IMU NOME COGNOME
sul ricorso iscritto al n. 5328/2023 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE e COGNOME AMELIA (codice fiscale CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura speciale posta e nomina da intendersi poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTI –
CONTRO
il COMUNE DI COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco pro tempore , NOME COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale e nomina da considerarsi poste in calce al controricorso e di determinazione n. 162 del 3
marzo 2023, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 1278/4/2022 pronunciata dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Veneto, depositata il 3 novembre 2022, notificata il 23 dicembre 2022.
UDITA la relazione svolta all’ adunanza camerale del 24 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è la pretesa di cui agli avvisi indicati in atti con i quali il Comune di Malo liquidò l’IMU, per l’anno di imposta 2014, sull’intera area di mq. 7.480,00 (su parte della quale insistevano un’abitazione e due autorimesse), di cui i ricorrenti erano comproprietari.
La Commissione tributaria provinciale di Vicenza, decidendo con sentenza n. 30/1/2021 sui ricorsi riuniti proposti dai contribuenti, li accolse parzialmente, riconoscendo la debenza dell’IMU solo sulla superficie di cui al mappale n. 590, derivata dal frazionamento della particella n. 245, che risultava graffata all’area, ritenuta pertinenziale, di sedime del fabbricato.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, decidendo sull’appello principale proposto dal Comune e su quello incidentale avanzato dai contribuenti, accoglieva parzialmente il gravame dell’ente territoriale, osservando che:
come considerato dal primo Giudice, il mappale 245, graffato al fabbricato, costituiva vincolo pertinenziale del medesimo, come tale non soggetto a tassazione, mentre l’area di cui alla nuova particella n. 590, derivante dal frazionamento del precedente mappale, non poteva essere considerata
pertinenza del fabbricato, in ragione della manifestata volontà dei proprietari, espressa con trasformazioni significative della situazione di fatto preesistente, di sottrarla dal servizio e/o ornamento dell’abitazione e, quindi, dall’asservimento al bene principale;
la tesi patrocinata dal Comune con il primo motivo d’appello (secondo cui il frazionamento era stato effettuato nell’anno 2016, per cui nel 2014 la situazione era quella cristallizzata negli avvisi e l’area doveva considerarsi imponibile, perchè non pertinenziale sia per mancanza della relativa dichiarazione, che di prova) era quindi errata « atteso che la graffatura deve essere considerata un elemento che evidenzia un collegamento funzionale del bene accessorio a quello principale » (v. pagina n. 3 della sentenza impugnata);
correttamente il Giudice di primo grado aveva identificato l’area soggetta a tassazione nella sola particella n. 590 (di mq. 4.624), che i contribuenti aveva provveduto a frazionare, così manifestando la chiara volontà di diversificarla dalla parte posta invece a servizio del fabbricato;
-per tale motivo, doveva essere respinto anche l’appello incidentale proposto dai contribuenti, ribadendo che il frazionamento di parte del terreno della particella 245, che risulta aver costituito la nuova particella n. 590 con una superfice di mq 4.624, conferma la volontà di distinguerla da quella soggetta a vincolo di pertinenzialità » (v. pagina n. 4 della sentenza impugnata);
-fondato era, invece, il secondo motivo dell’appello principale, dovendo -diversamente da quanto deciso dal primo Giudice -essere rideterminata la sanzione applicabile,
per l’infedele dichiarazione, in ragione dell’imposta gravante solo sull’area di cui al mappale n. 590.
Avverso tale pronuncia NOME COGNOME ed NOME COGNOME proponevano ricorso per cassazione, notificandolo al Comune di Malo il 21 febbraio 2023, formulando dieci motivi d’impugnazione, depositando in data 4 settembre 2024 richiesta di rinvio della trattazione della causa per la sua decisione congiunta con quelle di cui ai giudizi recanti i nn. 6515/2024 e 6685/2024 di ruolo generale e poi, in data, 13 gennaio 2025, memoria ex art. 380bis .1, c.p.c.
Il Comune di Malo resisteva con controricorso depositato il 29 marzo 2023, depositando in data 9 gennaio 2025, memoria ex art. 380bis .1, c.p.c.
Dopo l’ordinanza interlocutoria del 19/27 settembre 2024 la causa è pervenuta in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto nel suo quinto e sesto motivo per le seguenti ragioni, subito avvertendo che va respinta l’eccezione di inammissibilità dello stesso, perlomeno nella sua integralità, avanzata dalla difesa del Comune in ragione della sua dedotta aspecificità, prolissità e ripetitività di argomenti di merito già spesi nei precedenti gradi.
Si tratta, infatti, di rilievi infondati, poiché il ricorso consente di ricostruire la vicenda fattuale e le specifiche censure rivolte al provvedimento impugnato, discernendo quelle relative al vizio motivazionale ed alla violazione di legge (cfr. sul principio Cass., Sez. II, 3 settembre 2021, n. 23873), senza coinvolgere la Corte in inammissibili rivisitazioni del merito della controversia.
1.2. Non sussiste, per altro verso, ragione per riunire il presente giudizio a quelli contraddistinti i nn. 6515/2024 e 6685/2024, riferiti ad altro anno d’imposta (2015) e concernenti i ricorsi proposti dal Comune di Malo contro altre sentenze, tenuto conto, quindi, della diversità delle impugnazioni, laddove l’esigenza di una decisione coerente con gli analoghi temi trattati, unitamente ad una più lineare trattazione, è assicurata dall’esame congiunto dei ricorsi nell’ambito della medesima udienza camerale.
Vanno subito rigettati i primi quattro motivi di impugnazione, tutti inerenti all’eccepito deficit motivazionale della pronuncia e che, pertanto, si esaminano congiuntamente.
2.1. Nello specifico, con le prime quattro censure i ricorrenti hanno eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per:
(primo motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 132, primo comma, num. 4, c.p.c., 36, comma 2, num. 4, d.lgs. n. 546/1992, 111, sesto comma, Cost., in ragione della motivazione illogica, contraddittoria ed apparente della pronuncia.
Gli istanti hanno premesso che le risultanze del catasto edilizio urbano ponevano in luce che l’area oggetto di tassazione era incorporata, «graffata» ai fabbricati, per cui non esisteva giuridicamente come terreno edificabile; essa costituiva, piuttosto, in senso tributario, un fabbricato e non un terreno, già tassato con l’unità abitativa cui accedeva, con la conseguenza che l’imposizione in oggetto aveva condotto ad una doppia tassazione sul medesimo bene.
In tale direzione, la censura contro la sentenza in rassegna si è concentra sul rilievo dell’illogica valorizzazione della circostanza fattuale del frazionamento operato dai contribuenti
nell’anno 2016 (due anni dopo l’anno di imposta in esame) con la formazione del nuovo mappale n. 590, laddove nell’anno oggetto di controversia (2014) esso non esisteva, mentre l’unico mappale sussistente era il n. 245, la cui superfice era incorporata nel fabbricato e non poteva costituire entità autonomamente tassabile ai fini IMU;
(secondo motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 118 disp. att. c.p.c., 132, primo comma, num. 4, c.p.c. e 36, comma 2, num. 4, d.lgs. n. 546/1992, nella parte in cui la pronuncia era risultata priva di una parte motiva, essendo stata la debenza dell’imposta in riferimento all’area identificata catastalmente con il mappale 590 affidata ad un argomentare contraddittorio ed obiettivamente illogico;
(terzo motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 132, primo comma, num. 1, c.p.c., 36, comma 2, num. 4, d.lgs. n. 546/1992, 111, sesto comma, Cost., in considerazione della motivazione illogica, contraddittoria ed apparente della pronuncia nella parte in cui aveva ritenuto applicabili le sanzioni, nonostante la carenza in capo ai contribuenti dell’elemento soggettivo e le obiettive condizioni di incertezza interpretativa sulla portata e sull’ambito delle disposizioni delle disposizioni tributarie, aggiungendo che l’avviso non aveva motivato l’applicazione delle sanzioni, in violazione dell’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472/1997;
(quarto motivo) violazione e falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 118 disp. att. c.p.c., 132, primo comma, num. 1, c.p.c. e 36, comma 2, num. 4, d.lgs. n. 546/1992, nella parte in cui la pronuncia era risultata priva di una parte motiva con riferimento all’applicazione delle sanzioni.
2.2. Si tratta di censure infondate.
Prescindendo dal canone censorio prescelto (che non può essere l’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., concernente le sole violazioni di norme sostanziali), va ricordato, sul piano dei principi, che questa Corte (a partire da Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) ha ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè munita di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Come chiarito dalla menzionata pronuncia delle Sezioni unite, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Rilevano in tal senso, oltre alla suindicata motivazione apparente nel senso sopra indicato, anche quella caratterizza da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o la
motivazione viziata da un’insanabile incoerenza tra premesse e conclusioni, come tale integrante una motivazione illogica.
Resta, invece, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689; Cass., Sez. T., 29 luglio 2024, n. 21174).
Va, infine, aggiunto che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o a argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, c.p.c., che esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma considerati subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr. Cass., Sez. T, 19 maggio 2024, n. 12732; Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123 e anche Cass., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19011, Cass., Sez. I, 2 agosto 2016, n. 16056 e Cass., Sez. T., 24 giugno 2021, n. 18103).
2.3. Ciò premesso, risulta chiaro dal suesteso resoconto della pronuncia impugnata come la stessa abbia chiaramente
ed in termini lineari articolato le ragioni della decisione sulla valutazione della non debenza dell’imposta sull’area (mappale 245) « atteso che la graffatura deve essere considerata un elemento che evidenzia un collegamento funzionale del bene accessorio a quello principale » (v. pagina n. 3 della sentenza impugnata), laddove ha ritenuto soggetta a tassazione l’area compresa nel mappale 590 (già facente del mappale 245 ed originata da frazionamento) perché distolta, per volontà dei comproprietari e «trasformazioni significative» (v. pagina n. 3 della sentenza impugnata), dal preesistente vincolo pertinenziale.
Tutto ciò, con ogni conseguenza, per tale ultima area, in ordine alle sanzioni, che sono state ritenute dovute, dovendo considerarsi implicitamente respinti i rilievi concernenti la dedotta assenza di colpa e le condizioni di obiettiva incertezza normativa, tenuto conto del riferimento operato alla pronuncia di questa Corte n. 19638/2009 e, dunque, ad un precedente di legittimità antecedente, circa la necessaria sussistenza del rapporto pertinenziale ai fini dell’esenzione dal pagamento dell’imposta, nella fattispecie escluso, non importa, sotto il profilo, qui esame, della motivazione, se a torto o a ragione.
Può, quindi, discutersi della correttezza o meno di tale decisione, ma non certo dell’esistenza di una chiara, coerente e logica motivazione.
I suindicati motivi risentono, in definitiva, dell’erronea sovrapposizione tra motivazione della sentenza, nella specie esistente per quanto sopra detto, e la sua correttezza, su cui valgono, invece, le considerazioni che seguono.
2.4. Quanto al difetto di motivazione dell’avviso in relazione alle sanzioni applicate vale, poi, ribadire che l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione
collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2,d.lgs. n. 472/1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (Cass., Sez. T. 22 maggio 2024, n. 14259, che richiama Cass., Sez. V, 4 maggio 2021, n. 11610; Cass., Sez. V, 2 marzo 2022, n. 6944).
Nella specie, alla luce di quanto risulta dai contenuti della pronuncia impugnata, l’atto irrogativo delle sanzioni è stato contestuale all’accertamento dei maggiori tributi, il che, per quanto sopra chiarito, rende tale parte del motivo privo di fondamento.
Come si diceva, ragioni di ordine logico-giuridico, per la sua portata in tesi dirimente, impongono di esaminare dapprima la nona censura, con cui i ricorrenti hanno eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., in ragione dell’omessa pronuncia sul motivo di appello concernente il vizio di motivazione e prova degli avvisi impugnati.
3.1. Il motivo non può ricevere seguito.
I ricorrenti hanno riportato, ai fini della autosufficienza, il contenuto del motivo di appello da cui emerge che le ragioni di contestazione contro la sentenza di primo grado (che aveva respinto detta censura) sono state sviluppate sul rilievo secondo il quale gli avvisi non avevano rappresentato i motivi per cui l’area non avrebbe presentato natura pertinenziale, nè avrebbero allegato i regolamenti e le delibere comunali pure richiamati negli atti impugnati.
Ciò posto, può rimediarsi nella sede che occupa all’omessa pronuncia sul predetto motivo d’appello, alla luce dei principi
di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c. (cfr. tra le tante, Cass., Sez. T., 27 gennaio 2023, n. 2623 e la giurisprudenza ivi richiamata), non richiedendo l’esame del motivo accertamenti in fatto.
3.2. Va, allora, osservato che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T, 8 agosto 2024, n. 22031, che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571; nello stesso senso, Cass., Sez. T, 2 maggio 2023, n, 11449 e 11443 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 27 luglio 2023, n. 22702).
Né – si è aggiunto – detto onere di motivazione comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di esenzioni poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di
una causa di esclusione dell’imposta (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T, 8 agosto 2024, n. 22031 cit., che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 24 gennaio 2018, 1694; Cass., 11 giugno 2010, n. 14094).
Tale ultimo principio può operare anche nella fattispecie in rassegna e, dunque, in tema di pertinenza, sol considerando che il predetto asservimento integra circostanza fattuale la cui prova incombe sul contribuente (cfr., tra le tante, Cass., Sez. T. 8 maggio 2023, n. 12226), il che esclude, perlomeno nei casi in cui detto vincolo non risulti in altro modo (non essendo sufficiente – come si vedrà -la mera graffatura), che sia il Comune a dover dimostrane l’insussistenza.
3.3. Per altro verso, deve ribadirsi che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo di allegazione all’avviso di accertamento degli atti cui si faccia riferimento nella motivazione, previsto dall’ art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, riguarda necessariamente, come precisato dall’art. 1 d.lgs. 26 gennaio 2001 n. 32, gli atti non conosciuti e non altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non gli atti generali come le delibere del consiglio comunale, le quali, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (cfr. Cass., Sez. 18 maggio 2021, n. 13420, che richiama Cass. n. 5755 del 2005; Cass. n. 21511 del 2006; Cass. n. 9601 del 2012; Cass. n. 26644 del 2017; nel medesimo senso, tra le tante, Cass., Sez. V, 21 novembre 2018, n. 30052 e Cass. Sez. T, 21 gennaio 2023, n. 2140).
La quinta e la sesta censura vanno esaminate unitariamente, siccome connesse in relazione al tema della natura pertinenziale dell’area nell’anno in contestazione e della rilevanza del dato catastale.
4.1. Con la quinta doglianza, in particolare, i ricorrenti hanno lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 58, della legge n. 662/1996, assumendo che il potere di effettuare il frazionamento di ufficio spetta solo all’Agenzia delle EntrateTerritorio, peraltro a fronte dell’inerzia del contribuente.
Nello specifico -hanno osservato gli istanti – il mappale 590 non esisteva nell’anno 2014 (oggetto di imposizione), essendo stato frutto del frazionamento operato nel 2016 e tuttavia il Giudice di appello aveva escluso la pertinenzialità dell’area (di mq. 4.264) compresa nel mappale n. 590, dando seguito all’operazione eseguita dal Comune che aveva isolato detta superfice dalla maggiore estensione dell’area (di m. 5.715) di cui all’unico mappale n. 245 esistente nel predetto anno di imposta, così riconoscendo all’ente terreno il potere, in realtà attribuito all’Ufficio del Territorio dell’Agenzia del Entrate, di effettuare il frazionamento dell’area.
4.2. Con il sesto motivo i contribuenti hanno dedotto, in relazione al paramento di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2, comma 1, lett. b ), d.lgs. n. 504/1992 e 13 d.l. n. 201/2011, contestando la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui aveva escluso la pertinenzialità dell’area di 4.624 mq. identificata catastalmente con il mappale 590.
La difesa degli istanti ha sul punto richiamato gli artt. 817 ed 818 c.c. per sostenere che la suddetta superfice aveva natura pertinenziale rispetto agli immobili (abitazione principale e due autorimesse) che sulla stessa insistevano, come dimostrato dal fatto che essa era contigua ai suddetti fabbricati, ne condivideva l’accesso carraio, era chiusa (con
l’abitazione) da un’unica recinzione metallica ed era coltivata per la produzione di ortaggi e frutta per le esigenze della vita familiare, il tutto confermato dalla menzionata ‘graffatura’ esistente nell’anno 2014.
4.3. I motivi vanno accolti nei termini e con le precisazioni che seguono.
4.4. Le censure poggiano sul rilievo, varie volte ribadito nel ricorso e che ha costituito il nucleo concettuale sul quale lo stesso si è sviluppato, secondo il quale:
-« nell’anno accertato, il 2014, non esisteva il mappale 590 (sorto successivamente, in seguito al frazionamento intervenuto nel 2016) bensì solamente il mappale 245 e che non è il carattere pertinenziale o meno al fabbricato dell’area de qua a costituire il criterio da applicare al fine di valutare la legittimità o meno dell’odierna pretesa IMU (carattere comunque sussistente) bensì la circostanza per cui l’area in questione risultava catastalmente e quindi giuridicamente incorporata nel fabbricato che su di essa insisteva e che risultava identificato al catastato fabbricati e, conseguentemente, detta area non esisteva nemmeno tributariamente come ‘entità’ autonomamente tassabile ai fini IMU atteso che la sua tassazione era stata attuata in via mediata attraverso l’imposizione sul fabbricato» (v. pagina n. 3 del ricorso);
-« nel 2014 l’area in questione non esisteva giuridicamente come ‘entità’ autonoma presso il catasto terreni ma risultava parte del fabbricato (abitazione e autorimesse) al quale era ‘graffata’. Pertanto tale area costituiva giuridicamente un fabbricato e non un terreno (v. pagina n. 5 del ricorso);
– qualora l’area scoperta sia attratta ( rectius graffata) al fabbricato la stessa non è autonomamente assoggettabile ad IMU poiché la sua incidenza ai fini dell’imposizione è già stata considerata nel calcolo dell’imposizione sul fabbricato, la cui rendita incorpora, appunto, il valore dell’area coperta e scoperta su cui insiste (v. pagina n. 6 del ricorso).
4.5. Senonché , l’argomento della rilevanza, anche ai fini che occupano, della tecnica catastale della «graffatura», che ha costituito (come sopra esposto) la ragione dell’accoglimento parziale dell’appello dei contribuenti per la superfice restata compresa nella particella 245 (profilo questo che non ha costituito motivo di ricorso per cassazione da parte del Comune) non può essere condiviso.
Va, difatti, ribadito (cfr. Cass., Sez. T, 24 gennaio 2024, n. 2364) che già con la pronuncia n. 18470 del 21 settembre 2016 (emessa in materia di ICI, ma con affermazione di principio valevole anche nella fattispecie in rassegna) ed ancor prima con la sentenza n. 19638/2009, questa Corte aveva espressamente escluso la rilevanza della graffatura catastale, considerandola di rilievo solo formale.
Si tratta di orientamento che esclude, nel discernimento del rapporto pertinenziale ex art. 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. n. 504/1992, la rilevanza di fattori di ordine meramente estrinseco e formale, quali le modalità – accorpate o frazionate – di accatastamento dei fondi; ovvero la graffatura catastale del fondo asseritamente pertinenziale al mappale del fondo principale, rilevando, invece, la destinazione effettiva della cosa al servizio ovvero all’ornamento di un’altra, secondo quanto stabilito dall’articolo 817 c.c. (cfr., tra le tante, Cass., Sez. T, 30 maggio 2018, n. 13606).
Il concetto di pertinenza va, infatti, tratto dalla nozione generale prefigurata dall’art. 817 c.c., per cui un bene che sia funzionalmente collegato ad altro è insuscettibile di autonoma e separata disciplina, ma segue invece il regime del bene principale (con riferimento all’imposta di registro: Cass., Sez. 6ª-5, 3 marzo 2014, n. 4892; Cass., Sez. 6-5, 17 febbraio 2015, n. 3148; Cass., Sez. 5, 18 gennaio 2019, n. 1301; Cass., Sez. 5, 23 aprile 2020, n. 8073; in tema di benefici per la c.d. “prima casa”: Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2010, n. 22128; Cass., Sez. 5, 13 marzo 2013, n. 6259; Cass., Sez. 6-5, 18 novembre 2014, n. 24496; Cass., Sez. 5, 10 agosto 2021, n. 22561; Cass., Sez. 6-5, 25 febbraio 2022, n. 6316; Cass., Sez. 5, 30 agosto 2022, n. 25489; con riguardo all’ICI: Cass., Sez. 5, 8 novembre 2013, n. 25170; Cass., Sez. 5,30 dicembre 2015, n. 26077; Cass., Sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18470; Cass., 23 giugno 2017, n. 15668; Cass., Sez. 5, 30 maggio 2018, n. 13606; Cass., Sez. 5, 22 maggio 2019, n. 13742; Cass., Sez. 5, 18 giugno 2020, nn. 11830, 11832 e 11833; Cass., Sez. 5, 10 giugno 2021, nn. 16187, 16198 e 16198; Cass., Sez. 5, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5, 15 giugno 2021, n. 16839)”.
Si è, così, statuito, in aderenza ai principi espressi con riferimento all’art. 817 c.c. (Cass., Sez. 1, 16 maggio 2018, n. 11970; Cass., Sez. 2, 30 ottobre 2018, n. 11970; Cass., Sez. 2, 23 agosto 2019, n. 21656; Cass., Sez. 3, 6 ottobre 2021, n. 27127; Cass., Sez. 2, 18 gennaio 2022, n. 1471; Cass., Sez. 2, 19 aprile 2022, n. 12440), che l’effettiva e concreta destinazione della cosa al servizio ed ornamento dell’altra debba essere considerata una relazione implicante oltre che aspetti oggettivi anche aspetti soggettivi, riferibili alla volontà dell’avente diritto (Cass., Sez. 5, 26 novembre 2007, n. 24545; Cass., Sez. 6-5, 3 marzo 2014, n. 4892; Cass., Sez. 1,
25 giugno 2014, n. 14468; Cass., Sez. 5, 23 aprile 2020, n. 8073).
Più specificamente, è stato chiarito che l’accertamento del vincolo pertinenziale si fonda sui “presupposti di cui all’art. 817 c.c., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo” (Cass., Sez. 5, 30 novembre 2009, n. 25127; Cass., Sez. 5ª, 29 ottobre 2010, n. 22128; Cass., Sez. 5, 8 novembre 2013, n. 25170; Cass., Sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26077; Cass., Sez. 5, 30 maggio 2018, n. 13606; Cass., Sez. 5, 22 maggio 2019, n. 13742).
Con riguardo ad un terreno circostante un fabbricato, questa Corte ha ritenuto (in tema di agevolazione tributarie per l’acquisto della c.d. “prima casa, ma con principio applicabile anche nella fattispecie in rassegna) che il concetto di pertinenza è fondato sul criterio fattuale della destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio od ornamento di un’altra, senza che rilevi la qualificazione catastale dell’area che ha esclusivo rilievo formale (Cass., Sez. 6/5, 17 febbraio 2015, n. 3148; Cass., Sez. 6/5, 8 febbraio 2016, n. 2450; Cass., Sez. 5, 21 dicembre 2016, n. 26494; Cass., Sez. 5, 17 luglio 2019, n. 19188; Cass., Sez. 5, 23 aprile 2020, n. 8073; Cass., Sez. 6-5, 25 febbraio 2022, n. 6316).
In definitiva, ciò che rileva per definire le pertinenze non è la classificazione catastale, ma il rapporto di complementarità funzionale che, pur lasciando inalterata l’individualità dei singoli beni, comporta l’applicazione dello stesso trattamento giuridico (Cass., Sez. 5ª, 10 agosto 2021, n. 22561; Cass.,
Cass., Sez. 6ª-5, 25 febbraio 2022, n. 6316, tutte richiamate da Cass., Sez. T., 24 gennaio 2024, n. 2364).
In tale direzione, dunque, l’accertamento del rapporto pertinenziale tra due immobili – che comporta un giudizio di fatto demandato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua e corretta motivazione presuppone l’esistenza di un elemento oggettivo, consistente nella oggettiva destinazione del bene accessorio ad un rapporto funzionale con quello principale e di un elemento soggettivo, consistente nell’effettiva volontà, espressa o tacita, di destinazione della res al servizio o all’ornamento del bene principale, da parte di chi abbia la disponibilità giuridica ed il potere di disporre di entrambi i beni (cfr. Cass., Sez. T., 24 gennaio 2024, n. 2364 cit., che richiama Cass., Sez. T., 12 aprile 2023, n. 9783, e, nello stesso senso, anche Cass., Sez. T, 8 maggio 2023, n. 12226 e Cass., Sez. VI/T., 25 febbraio 2022, n. 6316 e le tante ivi menzionate, nonché Cass., Sez. 2, 21 luglio 2021, n. 20911).
4.6. Alla luce di tali reiterati principi va, pertanto, disattesa la tesi degli istanti secondo cui non è il carattere pertinenziale o meno dell’area a costituire il criterio da applicare nella fattispecie in rassegna, quanto il dato catastale della sua incorporazione al fabbricato, valendo, invece, l’esatto contrario.
4.7. Deve aggiungersi sul punto che nemmeno coglie nel segno il riferimento al divieto della doppia imposizione, articolato dai contribuenti sul rilievo che « il Comune di Malo sta chiedendo ai contribuenti di pagare <> l’IMU sui medesimi beni, calcolando la stessa una volta sul fabbricato (che catastalmente ingloba anche l’area in questione) e, una seconda volta, su quest’ultima (v. pagina n.
6 del ricorso), in relazione alla quale si assume che le « dipendenze (ovverossia il «giardino (esclusivo)» e il «cortile (esclusivo)» e, quindi, l’area di cui oggi si discute, sono state conteggiate nella misura massima del 10% della consistenza complessiva » (v. pagina n. 5 del ricorso), che era stata considerata per la determinazione della rendita catastale e quindi per la misura dell’IMU.
Va, infatti, in proposito ricordato che la Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare che il divieto della doppia imposizione (stabilito dall’art. 67 d.P.R. n. 600/73, a tenore del quale «la stessa imposta non può essere applicata più volte, in dipendenza dello stesso presupposto ») è configurabile soltanto quando l’Amministrazione reclami il pagamento di un tributo dopo aver esercitato ed esaurito il potere impositivo rispetto allo stesso tributo e non anche nell’ipotesi di autoliquidazione, in ragione dell’inidoneità di tale comportamento a vincolare l’Amministrazione, precludendole di far valere la pretesa tributaria in conformità alla disciplina normativa (cfr., sul principio, Cass., Sez. T., 18 dicembre 2015, n. 25498).
È stato così chiarito che la doppia imposizione si verifica soltanto nell’ipotesi di due avvisi di accertamento che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto (Cass., Sez. T, 30 ottobre 2018, n. 27625 e Cass., Sez. VI/T., 29 maggio 2018, n. 13503).
Nella specie non ricorre la dedotta duplice tassazione, avendo il Comune esercitato il potere impositivo solo con gli avvisi impugnati.
Lo stesso rilievo dei contribuenti circa la consistenza catastale del bene (inclusivo delle menzionate dipendenze nella misura del 10% della complessiva consistenza) dà,
peraltro, conto di una considerazione non solo forfettaria dell’area, ma soprattutto basata su di un presupposto (la natura pertinenziale) diverso da quello (area scoperta fabbricabile) posto a base della tassazione da parte del Comune, il che vale ad escludere, per quanto sopra detto, che sul punto possa ipotizzarsi, sul versante giuridico, una doppia imposizione.
4.8. Tuttavia, nel sesto motivo di impugnazione i ricorrenti hanno recuperato la rilevanza del requisito della pertinenzialità, richiamando una serie di elementi fattuali, come tali non esaminabili nella presente sede, dimostrativi -a loro dire -del rapporto di asservimento dell’area compresa nel mappale 590 ai fabbricati (mappale 245), rappresentando che l’area in esame, in parte adibita a giardino ed a deposito di legna, « è piantumata, viene coltivata per la produzione di ortaggi e frutta per le esigenze familiari ed è delimitata da una recinzione metallica è contigua all’abitazione costituendone l’area scoperta », aggiungendo che « area ed abitazione sono racchiuse da un’unica recinzione metallica , condividono « l’accesso carraio indispensabile per poter accedere al fabbricato» (v. pagina n. 20 del ricorso).
Soprattutto, la tesi difensiva dei ricorrenti ha criticato la decisione del Giudice regionale nella parte in cui ha negato il predetto vincolo pertinenziale, esaminando la situazione fattuale coeva al predetto frazionamento e basando su tale evidenza il convincimento circa la sottrazione, per volontà e «trasformazioni significative» (così nella sentenza), della predetta superfice dal menzionato, pregresso, asservimento ai fabbricati.
Risulta, allora, agevole osservare come la citata valutazione, effettuata ora (nel 2016, pacifica epoca del frazionamento) per allora (2014, anno di imposta), non restituisce un appropriato esame del vincolo di pertinenzialità, che va, invece, effettuato in relazione alla situazione fattuale esistente nell’anno di imposta.
Nella valutazione che precede resta assorbito l’esame del settimo motivo, concernente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 17 d.lgs. n. 446/1997 e quindi la contestazione sulle sanzioni applicate, il cui profilo è subordinato all’accertamento fattuale negativo del citato rapporto pertinenziale.
Per le ragioni sopra espresse resta, altresì, assorbito l’esame della decima censura, concernente il dedotto vizio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c. per l’omessa pronuncia sul motivo di appello riguardante la dedotta erroneità del dato relativo alla considerazione di una porzione dell’area tassata in zona «C2.3 n. 5 residenziale di espansione», nonché l’eccessività del valore imponibile ai fini IMU attribuito per l’anno d’imposta 2014.
Anche in tal caso, infatti, l’esame di detta censura dipende dalla soluzione fornita in punto di pertinenzialità della menzionata area.
Va, invece, rigettato l’ottavo motivo, con il quale i contribuenti eccepito con cui gli istanti hanno eccepito, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., l’omessa pronuncia riguardante la dedotta integrale illegittimità degli avvisi di accertamento, stante l’intervenuta violazione dei principi di buona fede e tutela dell’affidamento e violazione dell’art. 10 della legge n. 212/2000 in ragione della definitività
della consistenza catastale determinata dal catasto, mai contestata dal Comune.
Valgono, a tal proposito, le valutazioni sopra svolte circa la decisiva rilevanza del rapporto fattuale di pertinenzialità, per come costantemente affermato dal giudice di legittimità, che vale a rendere non influente, per lo meno in termini da giustificare un legittimo affidamento, la consistenza catastale determinata dal catasto e con essa non giustificato il richiamo ai principi di buona fede e di tutela dell’affidamento.
Alla stregua delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata va cassata ed occorrendo accertamenti in fatto circa la verifica, con riferimento all’anno 2014, del rapporto di pertinenzialità dell’area di mq. 4.624 successivamente ricompresa nel mappale 590, secondo i criteri (soggettivo ed oggettivo) sopra esposti, la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo del Veneto -in diversa composizioneanche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo di ricorso nei limiti in motivazione , rigetta i primi quattro, l’ottavo ed il nono, dichiara assorbiti il settimo ed il decimo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo del Veneto -in diversa composizioneanche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 gennaio