Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21009 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21009 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31675/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), GRUOSSO CARMINE (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 4068/2021 depositata il 11/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
NOME COGNOME propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 4068/21 con cui la Commissione tributaria regionale della Campania aveva respinto l’appello della contribuente avverso la sentenza n. 3746/11/2019 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno con la quale era stato respinto il ricorso proposto dalla COGNOME avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO, emesso dal Comune di Salerno per omesso pagamento di IMU 2013;
il Comune resiste con controricorso;
la ricorrente ha depositato memoria difensiva in data 8 aprile 2024;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 2, d.l. n.201 del 2011, nonché dell’ art.9, comma 1, d.lgs. n.23 del 2011, cui fa rinvio l’art. 13, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 ed assume che l’avviso di accertamento impugnato si riferiva ad una area agricola, di cui la contribuente era comproprietaria, che doveva essere acquisita -gratuitamente -dal Comune di Salerno, a fronte del riconoscimento di diritti edificatori su altre aree di terzi, non ancora individuate, in relazione ai quali doveva ritenersi esclusa la natura reale del diritto correlato al bene oggetto di tassazione, con conseguente erroneità della sentenza per non aver rilevato la nullità dell’avviso di accertamento per difetto del presupposto impositivo alla luce dei principi fissati da Cassazione a Sezioni Unite n.23902/2020;
2. con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 36 del d.lgs. 546/92 in combinato disposto con l’art.132 n.4 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. od. proc. civ., e si lamenta «nullità della sentenza per manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione», non risultando questa idonea a far comprendere le ragioni della decisione, «oltre ad essere mancante di ogni riferimento al materiale probatorio offerto dal contribuente (relazioni tecniche di parte e c.t.u.)», laddove i Giudici di appello avevano «collocato la fattispecie di cui è causa nello schema della ‘perequazione urbanistica’ non considerando che all’esito del complesso iter prev isto dall’Ente impositore, si sarebbe verificata proprio quella figura tipica della compensazione urbanistica, come istituto alternativo all’esproprio, con contraddizione evidente ed insanabile oltre che immotivata, nella misura in cui gli stessi giudici di appello avevano accertato che, invece, secondo le previsioni del PUC, il Comune di Salerno avrebbe acquisito l’area di cui la ricorrente è comproprietaria, riconoscendo su altre aree, ancora da assegnare ed individuare, i contestati diritti edificatori;
3. con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504/1992» sostenendosi che la Commissione tributaria regionale abbia erroneamente determinato il valore venale dell’area , in quanto «pur avendo riscontrato la presenza di vincoli preclusivi e/o limitativi dell’edificabilità, aveva omesso di valutare l’incidenza di tali vincoli ai fini della determinazione del valore commerciale delle aree oggetto di contestazione, incorrendo nella violazione dei parametri di riferimento previsti dall’art. 5, comma 5, del d. lgs. n. 546/1992, per la determinazione del valore venale dell’area oggetto di accertamento, ai fini della determinazione dell’imposta’ ;
4.1. con la memoria la contribuente ha invocato il giudicato formatosi in relazione ad altro comproprietario delle stesse aree oggetto di accertamento (Cassazione, ord. n.2097/2024,) che, in accoglimento del primo motivo di ricorso proposto in relazione ad identico avviso di accertamento emesso dal Comune di Salerno, richiamati i principi in materia, ha cassato la sentenza di appello, statuendo che: ‘…..in forza di tali principi la sentenza impugnata, che ha ritenuto dovuto il pagamento dell’IMU su area, relativa a «suoli destinati ad essere ceduti al Comune», anche se inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo senza che fosse esistente alcuna convenzione per l’assegnazione definitiva di altra area di atterraggio, è errata in diritto, dovendo essere escluso l’obbligo del pagamento del tributo in capo al proprietario dell’area che, come nel caso in esame, vanta solo un’aspettativa edificatoria destinata a divenire attuale al momento in cui la volumetria dell’area verrà effettivamente compensata con altra area concretamente individuata cd. area di atterraggio’. Ha assunto che, nel caso di specie, trovando piena applicazione i suindicati principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23902/2020, – e, quindi, non essendo tassabili i diritti edificatori per insussistenza del presupposto impositivo -era evidente la illegittimità dell’ avviso di accertamento impugnato. Ha richiamato, poi, l’approvazione in data 26/7/2022 della variante di revisione decennale del PUC approvata, implicante la inattuabilità del comparto edilizio, osservando che, sulla base di tali sopravvenute circostanze, emergeva in modo inconfutabile la prova dell’inattuabilità del comparto edificatorio, in relazione al quale l’Ente aveva ritenuto sussistente il presupposto impositivo, in riferimento ai contestati diritti edificatori. Per effetto, quindi, della sopravvenuta mutazione della destinazione urbanistica delle aree, come desumibile dal nuovo certificato di desti nazione urbanistica dell’area, è stato rilevato che l’area oggetto di causa era stata esclusa dal
comparto edificatorio, in precedenza approvato, con conseguente eliminazione dei diritti edificatori precedentemente previsti e sulla base dei quali l’Ente fondava la propria illegittima pretesa impositiva; 5. preliminarmente deve rilevarsi che le circostanze sopravvenute, allegate nella memoria della controricorrente, non assumono rilevanza nel presente giudizio. In primo luogo, il provvedimento prodotto, con cui è stata cassata la sentenza di appello, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, non è idoneo a determinare l’effetto del giudicato, dovendosi attendere la decisione all’esito del giudizio di rinvi o. A ciò si aggiunga che il provvedimento invocato è stato adottato all’esito di un giudizio nei confronti di altro contribuente e che dagli atti prodotti non è possibile individuare, con certezza, i terreni a cui esso si riferisce così da verificarne la eventuale coincidenza con quelli oggetto del presente giudizio, dovendosi, infine, rilevare che in relazione ad analoga fattispecie Cass. n. 2070/2024, nel rigettare il ricorso del contribuente COGNOME, ha affermato, peraltro, la sussistenza di una ipotesi di ‘perequazione’ . Per quanto poi riguarda le varianti urbanistiche intervenute, va ribadito che esse rilevano per le future annualità di imposta e non per quelle anteriori, oggetto del presente giudizio. Difatti, come già precisato dalle Sezioni Unite, l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ” ius aedificandi ” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi dell’art. 59, comma primo, lettera f), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Cass., Sez. U., 30 novembre 2006, n. 25506);
vanno, quindi, disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso, nel suo complesso, formulate dalla parte controricorrente in quanto la COGNOME ha dedotto delle specifiche censure in diritto e, sotto altro profilo, non vi sono dubbi di autosufficienza in quanto la contribuente ha indicato in maniera adeguata tutti gli elementi fattuali dei quali ha chiesto una determinata valutazione giuridica;
per ragioni di ordine logico deve essere esaminato, in via preliminare, il secondo motivo di ricorso;
7.1. tale motivo è destituito di fondamento. Deve, invero, escludersi che si possa ravvisare una motivazione assente o apparente della sentenza impugnata. Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili ( ex plurimis : Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9975);
7.2. peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘motivazione apparente’, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2022, n. 6184); 7.3. come è dato desumere dal tenore della sentenza impugnata il decisum raggiunge la soglia del minimo costituzionale, avendo i
giudici di appello argomentato in relazione alle specifiche deduzioni e censure, dando rilievo decisivo alla tipologia di operazione urbanistica de qua sulla scorta del PUC. Giova, del resto, ricordare che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma sub-valenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis, Cass., Sez. T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. 2, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. 1, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. 6, 17 maggio 2013, n. 12123);
7.2. dal chiaro tenore della pronunzia impugnata (vedi ff. 4/7) la motivazione della gravata sentenza dà, in effetti, conto delle ragioni che sono state poste a fondamento del decisum laddove il motivo di impugnazione intende far impropriamente transitare, sotto il suddetto profilo, le ragioni di una mera non condivisione della sentenza impugnata;
anche il primo motivo deve essere respinto;
8.1 per come accertato dal giudice di appello, i terreni oggetto di imposizione avevano un valore edificatorio uniforme in ragione del meccanismo della ‘perequazione urbanistica’, espressamente prevista dalle norme tecniche di attuazione del PUC, così che ciascun proprietario risultava titolare di un diritto edificatorio destinato a realizzarsi nel medesimo comparto. Veniva, così, in rilievo, in sintesi, una generalizzata, preordinata e diffusa attribuzione di un indice perequativo con effetto diretto sul terreno interessato in quanto facente parte del comparto di intervento (v. Cass. Sez. U., 29 ottobre 2020, n. 23902 nonchè Cass., 5 ottobre 2021, n. 26895). La soluzione in diritto rinveniente dalla gravata sentenza -che, per l’appunto, ha ritenuto sussist ente il presupposto impositivo in una al
possesso di diritti edificatori su aree edificabili -è, dunque, conforme ai principi di diritto espressi dalla Corte, essendosi rilevato che sussiste il presupposto di imposta (in quel caso dell’ICI) con riferimento al terreno inserito nell’ambito di una «perequazione urbanistica», per effetto della quale viene attribuito un valore edificatorio uniforme a tutte le proprietà destinate alla trasformazione di uno o più ambiti del territorio comunale, a prescindere dalla effettiva localizzazione dei diritti edificatori, trasferibili e negoziabili separatamente dal suolo, atteso che l’applicazione di tale imposta presuppone il possesso di immobili aventi potenzialità edificatoria, sebbene non immediatamente attuabile, desunta dalla qualificazione operata nel piano regolatore generale anche semplicemente adottato (Cass., 5 ottobre 2021, n. 26895, cit.). E le stesse Sezioni Unite della Corte -statuendo che un’area già edificabile e poi assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta, ove sia inserita in un programma di «compensazione urbanistica» non è assoggettabile ad imposta, atteso che il diritto edificatorio compensativo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso -hanno rimarcato che a diversa conclusione deve pervenirsi a riguardo della cd. perequazione urbanistica, ciò in quanto «mentre il diritto edificatorio di origine perequativa viene riconosciuto al proprietario del fondo come una qualità intrinseca del suolo (che partecipa fin dall’inizio di un indice di edificabilità suo proprio, così come prestabilito e “spalmato” all’interno di un determinato ambito territoriale di trasformazione), il diritto edificatorio di origine compensativa deriva dall’adempimento di un rapporto sinallagmatico in senso lato, avente ad oggetto un terreno urbanisticamente non edificabile, ristorato con l’assegnazione al proprietario di un quid volumetrico da spendere su altra area» (Cass. Sez. U., 29 ottobre 2020, n. 23902, cit.; v. altresì, la legge reg. Campania, 22 dicembre 2004, n. 16, art. 32). La censura in
questione è da ritenere sostanzialmente inammissibile in quanto si risolve nella prospettazione -nei termini di una mera riedizione di tesi difensive -di una fattispecie urbanistica che -presupposta dalle fattispecie impositiva, a sua volta correlata al possesso di aree edificabili (d.lgs. n. 23 del 2011, art. 9, comma 1, cit.) -si identificherebbe con la compensazione urbanistica piuttosto che con l’istituto della perequazione (espressamente previsto dalla applicabile l. reg. n. 16 del 2004, art. 32), prospettazione, questa, che allora non reca alcuna censura che involga i dati -di normazione e di attuazione amministrativa -che il giudice del gravame ha espressamente qualificato nei ridetti termini. Come statuito da questa Corte, l’interpretazione di un atto amministrativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo conto dell’esigenza di certezza dei rapporti e del buon andamento della P.A., così che la denuncia di un’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo, impone alla parte, a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati. In mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorché esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cass., 17 novembre 2023, n. 32047; Cass., 23 febbraio 2022, n. 5966; Cass. Sez. U., 25 luglio 2019, n. 20181; Cass., 23 luglio 2010, n. 17367; Cass., 24 gennaio 2007, n. 1602);
il terzo motivo è, anch’esso, privo di fondamento;
9.1. va premesso che i giudici di appello, nel disattendere le censure di parte contribuente in ordine alla stima dei terreni in questione con una motivazione più che adeguata nonché corretta in diritto, hanno
evidenziato che: ‘ Dall’attenta lettura della Relazione di stima approvata con la deliberazione di G.C. del 23/02/2007 n. 240, si evince (nella premessa) che i valori delle aree fabbricabili sono determinati nel rispetto dei criteri indicati dall’art. 7 del Regolamento Comunale adottato in ottemperanza alla disposizione di cui all’art. 5, comma 5 del d. lgs. n. 504/1992 e detta valutazione, con specifico riferimento all’area interessata, deve essere ritenuta congrua e ragionevole con riferimento all’anno di imposta in contestazione anche in considerazione dell’assenza di contrari elementi probatori ( es. vincoli) , che dovevano essere fomiti dalla contribuente ex art.2697 cod.civ, onere ritenuto non assolto con le produzioni effettuate. In particolare, i criteri di cui all’art. 5, comma 5 del d. lgs. 504/92 sono presenti sia nella perizia che correda la delibera di Giunta Comunale n. 240/2007 sia nell’art. 157 delle Norme Tecniche di Attuazione del PUC che definisce sia gli Ambiti di Equivalenza in cui è stato suddiviso il territorio comunale sia gli Indici Edificatori propri attribuiti ad ogni Ambito, con la precisazione che il Comune nel fissare i valori di stima delle aree fabbricabili ha tenuto conto del criterio del “valore di esproprio” (valutato secondo una scala da “alto” a “basso”). Infatti e relativamente ai “prezzi medi rilevati sul mercato”, il detto criterio è presente in quello generale utilizzato per ogni Ambito di Equivalenza in cui è stato suddiviso il territorio comunale: invero, per ogni Ambito è presente l’elemento valutativo (criterio generale) del ”valore di esproprio” degli immobili (valutato secondo una scala da “alto” a “basso”) che altro non è che il diretto riflesso del “prezzo medio rilevato sul mercato” dei suoli. Questo Giudice non può che condividere, dunque, la decisione assunta in primo grado dovendosi dunque confermare la legittimità dell’operato dell’Ente impositore che non ha fatto altro che applicare la disposizione dell’art. 7, comma 7 del Regolamento IMU che testualmente recita “Il Comune, con apposita deliberazione di giunta comunale, può determinare periodicamente e per zone omogenee i
valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili e nel frattempo continuano ad applicarsi i valori di mercato determinati con la deliberazione di G. C. n. 240 del 23 febbraio 2007 “;
9.2. appare evidente che non è ravvisabile la denunciata violazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992: invero, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che i giudici di merito hanno ritenuto congrua la valutazione del Comune proprio perché hanno escluso che la ricorrente avesse assolto l’onere probatorio, a suo carico, in ordine all’esistenza di vincoli specifici di inedificabilità. In questa sede di legittimità tale accertamento di fatto non può essere messo in discussione. Del resto, la ricorrente ha fatto, più che altro, riferimento non a vincoli di inedificabilità, ma alle modalità procedurali previste dal PUC per l’utilizzazione degli indici edificatori; 5. in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
la particolare complessità della questione e della materia e l’esistenza di precedenti contrastanti tra di loro giustifica la compensazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; compensa le spese di lite; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13. Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data