Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5986 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5986 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10619/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME (PEC: EMAIL), C.F. CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (PEC: EMAIL), C.F. CODICE_FISCALE, e NOME COGNOME (PEC: EMAIL), C.F. RSS CODICE_FISCALE, fax NUMERO_TELEFONO, elettivamente domiciliate presso i loro domicili digitali (PEC sopra indicate e risultanti dal Registro Generale Indirizzi Elettronici – ReGIndE), nonché fisicamente presso i medesimi in Roma, INDIRIZZO (RAGIONE_SOCIALE)
-ricorrenti- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 9395/2015 depositata il 26/10/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente società RAGIONE_SOCIALE opera con un esercizio contabile che si apre al 1° ottobre e si chiude al 30 settembre di ciascun anno solare. Per il triennio 2004-2005, 2005-2006 e 20062007 aveva aderito al consolidato nazionale di cui era società consolidata, mentre consolidante era la società RAGIONE_SOCIALE, sua controllante nella produzione e distribuzione di software aziendale.
Il regime di consolidato si era interrotto nell’esercizio 2006 -2007, riportando in capo alla consolidata RAGIONE_SOCIALE le perdite pregresse (e non ancor dedotte) trasferite alla controllateconsolidate negli anni precedenti.
A seguito di attività ispettiva sull’anno 2007, l’Agenzia delle entrate disconosceva perdite per circa €.400.000,00, ritenendo non provata la consistenza, l’inerenza e la riferibilità delle fatture portate in deduzione.
La procedura di accertamento con adesione non sortiva esito favorevole, donde ricorreva la consolidata al giudice di prossimità, trovando parziale apprezzamento delle proprie ragioni. Ricorreva quindi in appello, ma la sentenza di primo grado era integralmente confermata. Donde la società contribuente ricorre per Cassazione affidandosi a cinque mezzi, mentre è rimasta intimata l’Agenzia delle entrate.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente, assistita da nuovo difensore, ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni, dando atto della nuova denominazione da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, mentre l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
CONSIDERATO
Vengono proposti cinque motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992, nonché dell’articolo 132 del codice di procedura civile e dell’articolo 111 della Costituzione.
Nel concreto, si lamenta motivazione per relationem alla sentenza di primo grado, laddove ha negato il diritto alla consolidata RAGIONE_SOCIALE ad utilizzare le perdite fiscali e ad essa attribuite a seguito dell’interruzione del consolidato.
Con il secondo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360 numeri 3 e 4 del codice di procedura civile per nullità della sentenza in violazione degli articoli 53 e 57 del decreto legislativo numero 546 del 1992.
Nello specifico si lamenta l’erroneità della sentenza in scrutinio in ordine alla richiesta, subordinata, del riconoscimento del diritto di RAGIONE_SOCIALE di utilizzare le proprie perdite fiscali concernenti l’anno di imposta oggetto di accertamento. Per un verso, si contesta la sentenza ove si afferma che le contribuenti appellanti non avessero esposti motivi specifici di contestazione previsti dall’articolo 53 del decreto legislativo numero 546 del 1992. Per altro verso si contesta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato la richiesta subordinata di utilizzo da parte di RAGIONE_SOCIALE delle perdite fiscali relative all’anno oggetto di accertamento ritenendo che si trattasse di domanda nuova in appello e, pertanto, inammissibile.
Con il terzo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice civile, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 124, quarto comma, del d.P.R. numero 917 del 1986 e dell’articolo 13, ottavo comma, del decreto ministeriale 9 giugno 2004, nonché violazione del principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53, primo comma, della Costituzione.
Nello specifico si lamenta che all’interruzione del bilancio consolidato siano state attribuite alla consolidante RAGIONE_SOCIALE le relative perdite, impedendole però di portarle a deduzione.
Con il quarto motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 53 e 56 del decreto legislativo numero 546 del 1992.
Nello specifico si lamenta che sia stato ritenuto inammissibile il motivo di appello, laddove si lamentava la carenza di prova relativamente alla contabilizzata movimentazione del conto all’origine della ripresa erariale e l’inerenza e competenza dei costi confluiti nel suddetto conto. Nel motivo d’appello si lamentava che il collegio di primo grado non avesse colto il senso delle movimentazioni bancarie nella loro quantità e qualità che giustificavano la riduzione delle perdite dall’imponibile.
Con il quinto motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 109, quinto comma, del d.P.R. numero 917 nel 1986.
Nello specifico si lamenta che il collegio di secondo grado abbia ritenuto non soddisfatto l’onere probatorio relativo ai requisiti di competenza e inerenza per gran parte dell’importo di circa €.400.000,00 che le contribuenti odierne ricorrenti avrebbero potuto fornire con l’esibizione delle fatture, ritenendo invece assolto solo limitatamente, per una piccola parte.
Il primo motivo non può essere accolto. Ed infatti, dall’esame della sentenza in scrutinio, segnatamente pagina 5, riga 3 e seguenti, emerge che la motivazione non sia stata redatta unicamente con riferimento alla sentenza di primo grado, pure criticamente valutata, ma svolgendo ulteriori argomentazioni, autonome e distinte, atte a sostenere il ragionamento della decisione, laddove rileva la carenza probatoria di parte contribuente,
con un apprezzamento di merito che esce dal circoscritto perimetro di cognizione di questa Suprema Corte di legittimità.
Ed infatti, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta ” per relationem ” rispetto ad un’altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. VI -5, n. 107/2015; n. 5209/2018; n. 17403/2018; n. 21978/2018). Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata ” per relationem ” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. VI -5, n. 22022/2017).
6.1. Non è questo il caso di specie, ove il rinvio formale alla sentenza di primo grado è stato sostenuto con il ribadire le ragioni di quella sentenza, esponendole e facendole criticamente proprie.
Il primo motivo va pertanto respinto.
Né può essere accolto il secondo motivo, in parte accomunato al quarto, per quanto attiene alla novità del motivo d’appello.
Giova premettere, preliminarmente, che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., allorché esso comunque evidenzi specificamente la
trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).
L’esame degli estratti degli atti processuali di merito riportati a pagina 9 e seguenti del ricorso per Cassazione inducono a confermare la sentenza di appello laddove, a pagina 5 secondo capoverso, afferma che la richiesta di utilizzo delle perdite fiscali Ires relative all’esercizio d’imposta 2006/2007 era funzionale al fine di compensare il maggior reddito imponibile Ires scaturente dall’atto impugnato, ribadendosi tale richiesta nelle conclusioni del ricorso stesso. Ne consegue che risulta domanda nuova, del tutto inammissibile in appello, la richiesta di un accertamento in rettifica delle perdite fiscali di periodo, in luogo dell’emersione di un reddito imponibile in capo ad RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
7.1. Né giova alla parte privata il richiamo all’effetto devolutivo dell’appello, giacché proprio il riferimento al ricorso di primo grado impone di mantenere la domanda nel binario individuato e scelto al momento dell’introduzione del giudizio primo grado.
Ed infatti, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione in appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo da parte del contribuente ovvero della legittimità dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e,
comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, siano ricavabili in modo inequivoco, seppur per implicito, i motivi di censura (cfr. Cass. T., n. 1030/2024). Pertanto, la censura integrale d’appello mai può tradursi in un’inammissibile mutatio libelli . Donde anche il secondo motivo non può essere accolto.
In disparte la eccepita novità, il motivo è inammissibile ove si traduce nella richiesta di sostituire l’emersione di maggior reddito con un accertamento in rettifica delle perdite fiscali del periodo. Ed infatti il sistema dell’esposizione delle perdite e del conseguente credito di imposta richiede che siano portate in deduzione nella dichiarazione successiva all’anno in cui sono maturate. La mancata esposizione nell’anno di competenza è scelta imprenditoriale, al pari dell’adesione al consolidato nazional e, che vincola il contribuente, con accettazione delle conseguenze della strada che ha intrapreso, salva l’applicazione degli articoli 84 e ss. Del d.P.R. n. 917/1986.
8. I motivi terzo, quarto e quinto possono essere trattati congiuntamente, inerendo -sotto diversi profili- alla medesima questione del mancato riconoscimento delle perdite da portare in deduzione, sia come violazione del principio di capacità contributiva, per mancato utilizzo delle perdite portate in retrocessione dallo scioglimento del consolidato nazionale (terzo motivo), sia per quanto ritiene alla prova di contabilizzazione e movimentazione del conto all’origine della ripresa a tassazione (quarto motivo), sia per quanto attiene alla doglianza che la documentazione offerta non soddisfi l’onere probatorio circa i requisiti di competenza ed inerenza dell’importo che si vuole portare in deduzione, salva una minima parte (quinto motivo).
Trattasi, all’evidenza, di inammissibili richieste di rivalutazione nel merito dell’apporto probatorio offerto dalle parti, per ottenere un risultato diverso ed opposto a quello cui è giunto, liberamente e motivatamente, il giudice d’appello.
8.1. È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato
dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € .cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20/02/2025.