Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18869 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18869 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
Oggetto: perdita su crediti – deducibilità – art. 101 comma 5 TUIR
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23361/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale allegata alla comparsa di costituzione depositata il 21/7/2023, con domicilio digitale presso l’indirizzo pec EMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania depositata il 3 luglio 2017, n. 6050/06/2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi per l ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’ AVV_NOTAIO e per la società controricorrente l’ AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE emise nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE), per l’anno di imposta 2012, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, con il quale recuperava a tassazione, ai fini IRES, ai sensi degli artt. 40bis e 41bis del d.P.R. 600/1973, un maggior reddito per circa 3 milioni e mezzo di euro, determinando la maggior imposta dovuta (per euro 950.284,00) ed irrogando le relative sanzioni (per euro 951.316,00).
L’atto impositivo si fondava su 10 rilievi, di cui:
i rilievi dal n. 1 al n. 6 ed il n. 8 sono stati oggetto di dichiarazione giudiziale di parziale cessazione della materia del contendere e non sono oggetto del presente giudizio;
il rilievo n. 7 riguardava la negata deducibilità, come sopravvenienza passiva ex art. 101, comma 4, del t.u.i.r., di un credito vantato dalla contribuente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE), successivamente oggetto di rinuncia da parte del contribuente. Secondo la ricostruzione effettuata dall’Ufficio, tale credito nasceva da una complessa dinamica infragruppo coinvolgente alcune società aderenti al consolidato nazionale presentato da RAGIONE_SOCIALE, tra cui la RAGIONE_SOCIALE. Quest ‘ultima, originariamente di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e poi successivamente ceduta alla RAGIONE_SOCIALE (società facente parte del gruppo di RAGIONE_SOCIALE), aveva venduto alla odierna controricorrente l’unico immobile di sua proprietà per il prezzo di 16.335.000,00 €, di cui 2.835.000,00 € a titolo di I.V.A.. Al momento del versamento RAGIONE_SOCIALE imposte dovute in base al consolidato nazionale, COGNOME, in qualità di consolidante, si era fatta carico del versamento dell’I.V.A. relativa
alla compravendita del bene ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE e vantava, quindi, nei confronti di quest’ultima un credito I.V.A. pari a 2.835.000 €.
Tuttavia tale credito era stato poi oggetto di rinuncia da parte della RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito di un accordo transattivo concluso tra quest’ultima e la RAGIONE_SOCIALE, la quale, in cambio della rinuncia, si obbligava a far subentrare l’odierna controricorrente nella p osizione creditoria, la cui esistenza ed entità erano ancora oggetto di un procedimento instaurato presso il Tribunale di Latina, nei confronti della Provincia di Latina, cui veniva imputato di non avere adempiuto alcuni obblighi contrattuali nascenti da investimenti immobiliari compiuti dalla stessa COGNOME.
La scelta di addivenire ad un accordo transattivo in alternativa alla riscossione del credito veniva giustificata dalla RAGIONE_SOCIALE con la sostanziale insolvenza della COGNOME, che versava in uno stato di illiquidità, da cui discendeva l’oggettiva inesigibilità del credito transatto.
Secondo l’Amministrazione, la rinuncia della contribuente al credito, inserita nella transazione con la RAGIONE_SOCIALE, sarebbe antieconomica, poiché COGNOME, senza alcuna apparente ragione imprenditoriale, ha rinunciato ad un credito certo ed esigibile verso la RAGIONE_SOCIALE, ricevendo in cambio un credito di quest’ultima, verso la Provincia di Latina, ancora sub iudice e quindi incerto;
il rilievo n. 9 riguardava la passività iscritta in bilancio e costituita dal debito nascente dalla prestazione professionale del dottAVV_NOTAIO COGNOME, che veniva dall’Ufficio ritenuta insussistente perché non documentata da idonee fatture;
il rilievo n. 10 riguardava la negazione della posta passiva, e la correlata omessa rilevazione di una sopravvenienza attiva, avente ad oggetto un debito della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE maturato a seguito di cessione di un contratto di leasing immobiliare. Secondo l’Amministrazione, il credito della RAGIONE_SOCIALE era venuto meno, dando luogo pertanto ad una sopravvenienza passiva, in luogo della dedotta passività.
Avverso l’avviso di accertamento la contribuente ha presentato ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE, che, per quanto ancora qui rilevi, ha rigettato in relazione ai rilievi nn. 7 e 10 e ha accolto parzialmente in relazione al rilievo n. 9, riducendo l’importo imponibile acce rtato da euro 25.972,34 ad euro 10.000,00.
Avverso la sentenza della CTP la contribuente ha proposto appello, che la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto.
L’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Fissata l’udienza pubblica per il 14/03/2023, i l AVV_NOTAIO Procuratore Generale, nella persona del AVV_NOTAIO, depositò memoria scritta instando per il rigetto del ricorso. La controricorrente contribuente produsse memoria scritta, chiedendo la sospensione del giudizio avendo dichiarato di volersi avvalere della definizione agevolata di cui all ‘art. 1, comma 197, della legge 197/2022.
Con ordinanza pubblicata il 18/04/2023 la Corte sospendeva il giudizio, rinviandolo a nuovo ruolo in data successiva al 10/10/2023. Fissata, su istanza della controricorrente, la prosecuzione del giudizio per l’udienza pubblica del 7/ 06/2024, il AVV_NOTAIO Procuratore Generale, nella persona della AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
La controricorrente ha depositato memoria scritta ex art. 378 cod. proc. civ. insistendo nel rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 88, 101, comma 5, e 109, comma 5 del t.u.i.r. , nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che la rinuncia al credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE costituisse una perdita, legittimamente deducibile, su un credito che, a causa della oggettiva situazione di illiquidità finanziaria in cui versava COGNOME,
era divenuto inesigibile. Invece, a detta dell’Ufficio, la RAGIONE_SOCIALE, con la transazione oggetto di contestazione, ha ceduto un credito certo ed esigibile in cambio di un credito litigioso, così assumendo su di sé il concreto rischio di una futura pronuncia giudiziaria sfavorevole ed integrando una condotta priva di logica imprenditoriale, quindi antieconomica, che non potrebbe giustificarsi con la possibilità che dalle operazioni svolte discendano benefici economici futuri.
1.1. Il motivo, come eccepito dalla controricorrente, è inammissibile, per plurime ragioni ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali idonea ex se a fondare la relativa declaratoria.
1.2. Deve, in primo luogo, rilevarsi che nel corpo del mezzo difetta (fatta eccezione per lo stralcio dell’avviso di accertamento riprodotto a pag. 6, sul quale infra ) non solo la riproduzione, ma anche il riferimento specifico (comprensivo dell’indicazione del grado e della fase processuale di merito nel quale sia avvenuta l’eventuale produzione in giudizio) a qualsiasi documento relativo alla fattispecie controversa. Tale carenza, che appare particolarmente rilevante con riferimento agli atti negoziali la cui valutazione costituisce il fulcro della tesi erariale, comporta l’inadempimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena di inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (in generale, Cass. 29/7/2021, n. 21831; con specifico riferimento al processo tributario, Cass. 15/1/2019, n. 777 e Cass. 18/11/2015, n. 23575).
Detto onere -tra l’altro ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia mediante l’inserimento della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali e dei documenti (ex art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso notificato a partire dal 1° gennaio 2023) -interpretato anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può
ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass. 19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).
1.3. Il motivo appare inammissibile, altresì, per la sua complessiva genericità e, soprattutto, ambiguità, che evidenzia una contraddizione logica insanabile nelle argomentazioni erariali.
Invero, nel contestare l’oggettiva situazione di illiquidità della debitrice, accertata dalla CTR, la ricorrente, in un primo momento (pag. 6 del ricorso), riproducendo uno stralcio solo parziale dell’avviso, pare voler allargare l’ambito oggettivo della f attispecie ad una serie di operazioni diverse dalla transazione tra la contribuente e la COGNOME, e precedenti quest’ultima, ipotizzandone la «dinamica arbitraria e soprattutto strumentale al fine di determinare una precostituita insolvenza» della COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE. Tuttavia, in disparte la genericità dell’allegazione di tale preteso meccanismo precostituito, tale deduzione si traduce, nella sostanza, nell’imputazione di una fattispecie abusiva, con conseguente ampliamento del thema decidendum , che non trova corrispondenza nel contraddittorio risultante dalla sentenza e dagli atti di questo giudizio, né dal limitato stralcio dell’atto impositivo riprodotto.
Del resto, è lo stesso ricorso che, con inammissibile ambiguità e contraddittorietà logica, subito dopo smentisce la rilevanza di tale ampliamento della fattispecie contestata, ripetutamente concentrando invece l’essenza della contestazione erariale sulla «rinuncia di un credito da parte della RAGIONE_SOCIALE in cambio di un credito incerto», che costituirebbe «il vero problema», in quanto antieconomica (pagg. 7 ed 8 del ricorso).
1.4. Fermando allora l’attenzione su tale operazione (che secondo la stessa ricorrente è quindi l’effettivo thema decidendum ), deve rilevarsi che, dando luogo ad ulteriore profilo di inammissibilità, la censura non si confronta con la ratio decidendi espressa dalla CTR, che (pag. 3 della sentenza) ha qualificato la fattispecie come «perdita su credito piuttosto che sopravvenienza passiva» e ne ha tratto di conseguenza la disciplina, ritenendo la deducibilità della posta attiva. Tale qualificazione, invero, è coerente con la stessa prassi erariale, secondo cui la transazione con il debitore, quando motivata dalle difficoltà finanziarie di quest’ultimo, genera una perdita derivante da atti realizzativi (circolare n. 26/E del 2013, paragrafo 3.2). Ma, anche a voler prescindere dalla fondatezza della qualificazione operata dalla CTR, l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente non la censura specificamente, ribadendo univocamente l’inquadramento in termini di sopravvenienza passiva, quindi non attingendo l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata sulla questione (cfr. Cass. 10/08/2017, n. 19989, sulla conseguente inammissibilità).
Deve, poi, darsi ulteriormente atto che la censura della ricorrente, nella sostanza, neppure contesta effettivamente lo stato di insolvibilità della debitrice COGNOME, che anzi conferma implicitamente, tendendo piuttosto (in modo però inammissibile, come si è rilevato) a ritenerlo predeterminato. Tanto premesso, va allora ricordato che secondo questa Corte la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente, perché il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa (Cass. 02/05/2013, n. 10256, Cass. 19/11/2017, n. 23863). In tale contesto, allora, appare generica ed assertiva la stessa deduzi one dell’assunta antieconomicità della contestuale ricezione, da parte della contribuente rinunziante al proprio credito, del credito litigioso già spettante alla sua debitrice.
Infatti, premesso che le valutazioni sull’operazione in questione e sulla sua antieconomicità o meno sono rimesse comunque alla valutazione in fatto del giudice di merito e non sono sindacabili in sede di legittimità attraverso la generica invocazione del parametro di cui all’art. 2697 cod. civ. ( ex plurimis , Cass. 23/10/2018, n. 26769), deve rilevarsi che, a prescindere dalla qualificazione civilistica della transazione in questione, se si muove dal dato dell’illiquidità conclamata della debitrice, che già potrebbe da solo legittimare fiscalmente la rinuncia in termini di perdita deducibile, la circostanza che il creditore riceva comunque in cambio un credito, per quanto litigioso, dalla debitrice verso un ente pubblico (quindi, se accertato in giudizio, con maggiori possibilità realizzative), configura, in termini logici, comunque un possibile beneficio economico futuro, per quanto incerto, che accresce piuttosto la potenziale ‘economicità’ dell’operazione, rispetto ad una rinuncia pura e semplice (sulla va lutazione dell’antieconomicità in vista di benefici futuri cfr. anche le citate Cass. n. 10256/2013 e 23863/2017).
La ricorrente (anche per effetto della mancata considerazione critica della qualificazione giuridica, nella sentenza, della fattispecie in termini di perdita di credito) non ha spiegato nel mezzo come dovrebbe superarsi tale contraddizione.
Con il secondo motivo di ricorso l’Ufficio denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r. e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che, in mancanza di idonee fatture, la lettera di incarico relativa all’anno 2010 potesse costituire documentazione giustificativa, ai fini della deduzione RAGIONE_SOCIALE prestazioni svolte dal AVV_NOTAIO COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile per plurime ragioni, ciascuna idonea ex se alla relativa declaratoria, oltre che infondato.
2.2. A detta dell’Ufficio la CTR sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r., in quanto avrebbe considerato la lettera di incarico a favore del AVV_NOTAIO COGNOME documentazione giustificativa RAGIONE_SOCIALE prestazioni effettuate dal professionista nei confronti di COGNOME, pur in mancanza RAGIONE_SOCIALE necessarie fatture.
Il mezzo pretermette del tutto il riferimento alla produzione ed al contenuto della relativa documentazione (in particolare alla stessa lettera), come evidenziato anche dalla Procura Generale nelle memorie scritte, sicché condivide con il primo motivo l’inadempimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena di inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazi one della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (in generale, Cass. 29/7/2021, n. 21831; con specifico riferimento al processo tributario, Cass. 15/1/2019, n. 777 e Cass. 18/11/2015, n. 23575). Come già evidenziato in sede di esame del primo motivo, detto onere (ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia) non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950 ed altre richiamate supra , § 1.2.).
2.3. Inoltre, la censura è inammissibile anche perché, sotto la veste della denunzia della violazione di legge, attinge, nella sostanza, il merito della valutazione del materiale istruttorio effettuata dal giudice di merito, come non è consentito in questa sede (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476).
Peraltro, il motivo è comunque infondato poiché dal lato letterale della sentenza impugnata non emerge, come denunziato, che la lettera di incarico sia stata ritenuta dal giudice di appello
l’unico documento idoneo a provare la prestazione di servizi eseguita dal COGNOME, piuttosto «risultando agli atti anche la documentazione giustificativa di tale importo (il compenso del professionista) per prestazioni occasionali e commerciali corrisposte negli anni successivi in base alla lettera di incarico 2010».
Dunque, la CTR distingue tra la lettera in questione e la documentazione giustificativa dell’importo corrisposto, non emergendo pertanto quell’univoca coincidenza denunciata dalla ricorrente.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 88 e 109, comma 5, t.u.i.r. e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che non sussistessero idonei elementi da cui desumere l’insussistenza sopravvenuta del debito di COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, né tantomeno altre cause di estinzione del debito, tra le quali la decorrenza del termine prescrizionale.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, invece, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto tenere conto di una serie di elementi, risultanti dall’Anagrafe Tributaria, dai quali far discendere la sopravvenuta insussistenza del debito assunto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente, precisamente, rileva:
la RAGIONE_SOCIALE era una società sostanzialmente inattiva, in quanto non svolgeva attività dal 2009 e non aveva presentato, per gli stessi anni, alcuna dichiarazione fiscale;
alla luce della documentazione prodotta da COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE non aveva intrapreso alcuna iniziativa legale volta al recupero del debito;
la RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato plurimi pagamenti parziali con modalità anomale (tramite importi inferiori a 1.000,00 € in contanti) le cui ricevute erano redatte su carta bianca non intestata recante la firma del sig. COGNOME in qualità di legale rappresentante della società;
d) nel 2013 e nel 2014 non risultavano ulteriori pagamenti a favore della RAGIONE_SOCIALE;
dall’Anagrafe Tributaria risulta che il COGNOME. COGNOME, rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE, aveva ricevuto, negli anni 2010, 2011 e 2012, dalla RAGIONE_SOCIALE compensi per lavoro autonomo.
In particolare, l’esistenza di un rapporto di lavoro tra la società debitrice e il sottoscrittore RAGIONE_SOCIALE ricevute di pagamento nonché le modalità anomale di pagamento, denoterebbero, a detta dell’Ufficio, l’impossibilità di dimostrare «la correlazione tra i pagamenti effettuati e il debito preesistente verso la RAGIONE_SOCIALE» (pag. 9 del ricorso).
3.1. Anche il terzo motivo è inammissibile per plurime ragioni, ciascuna sufficiente ex se alla relativa declaratoria.
3.2. Anche tale mezzo pretermette del tutto il riferimento alla produzione ed alla collocazione processuale della documentazione sulla quale sarebbe fondato il rilievo, sicché condivide con i precedenti l’inadempimento dell’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena di inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (in generale, Cass. 29/7/2021, n. 21831; con specifico riferimento al processo tributario, Cass. 15/1/2019, n. 777 e Cass. 18/11/2015, n. 23575). Come già evidenziato in sede di esame del primo motivo, detto onere (ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia) non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950 ed altre richiamate supra , § 1.2.).
3.3. Anche la terza censura è, inoltre, inammissibile perché, sotto la veste della denunzia della violazione di legge, attinge il giudizio di merito operato dalla CTR (Cass. Sez. U. n. 34476/2019 cit.) , peraltro limitandosi a contrapporre all’accertamento della CTR (secondo cui, «in presenza di documentazione comprovante l’insorgenza del debito non prescritto non risultano in atti diversi e contrari -elementi da cui desumere l’insussistenza della passività iscritta in bilancio») l’apodittica riafferm azione della propria tesi, per la quale non risulterebbe provato il persistere del debito della contribuente.
3.4. Infine, il mezzo non attinge in maniera decisiva la ratio decidendi della sentenza impugnata quando denunzia che quest’ultima, nell’escludere l’estinzione del debito appostato in bilancio dalla contribuente, sottolinei che il relativo diritto di credito non risulta prescritto, sebbene non sia stata dedotta alcuna causa estintiva dall’Amministrazione. Nel contesto RAGIONE_SOCIALE argomentazioni esposte dalla CTR per confermare la legittimità della persistente appostazione in bilancio e della conseguente deduzione, infatti, l’esclusione della prescrizione non costituisce l’unico accertamento, concorrendo con l’espressa constatazione che non ricorre comunque «alcuna ipotesi di estinzione del debito» e che non risultano elementi da cui desumere l’insussistenza della passività in bilancio, con formule testuali che esplicitamente non si limitano affatto alla prescrizione.
In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’RAGIONE_SOCIALE, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00, oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimb. spese forf. nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 giugno 2024.