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Perdita su crediti: quando dedurla in caso di fallimento

Una società si è vista negare la deduzione di una perdita su crediti perché formalizzata prima della dichiarazione di fallimento del debitore. La Corte di Cassazione ha rigettato questo specifico motivo, confermando che la deducibilità è consentita solo in una ‘finestra temporale’ che si apre con la sentenza di fallimento, in rispetto del principio di competenza. Tuttavia, ha cassato la sentenza per l’omesso esame di altri due motivi relativi a correzioni di fatture e schede carburante, rinviando il caso per un nuovo giudizio su tali punti.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Perdita su Crediti e Fallimento: La Cassazione Definisce la “Finestra Temporale” per la Deducibilità

La corretta gestione fiscale di una perdita su crediti è un aspetto cruciale per ogni impresa, specialmente quando un debitore è soggetto a una procedura concorsuale come il fallimento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la deducibilità di tale perdita non è a discrezione del contribuente, ma deve avvenire in una precisa “finestra temporale” che si apre solo con la dichiarazione di fallimento. Analizziamo questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Una società contribuente riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2004. Le contestazioni principali riguardavano la deduzione di una perdita su crediti verso una società sportiva, la correzione di un errore materiale su una fattura e la mancata istituzione di schede carburante per alcuni veicoli non stradali.

Inizialmente, il giudice di primo grado aveva dato ragione al contribuente. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale aveva integralmente riformato la decisione in appello, accogliendo le tesi dell’Amministrazione Finanziaria. La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando tre vizi della sentenza d’appello.

La Decisione sulla Deduzione della Perdita su Crediti

Il primo motivo di ricorso, e il più significativo dal punto di vista giuridico, riguardava proprio la perdita su crediti. L’impresa aveva formalizzato la perdita con una nota di credito nel luglio 2004, mentre la dichiarazione di fallimento della società debitrice era intervenuta solo nel dicembre dello stesso anno. La Cassazione ha ritenuto questo motivo infondato, cogliendo l’occasione per chiarire il corretto approccio temporale alla deducibilità.

Gli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha invece accolto il secondo e il terzo motivo. I giudici hanno constatato che la sentenza d’appello aveva completamente omesso di esaminare le argomentazioni della società relative alla correzione di una fattura e alla questione delle schede carburante per veicoli come carrelli elevatori e trattori. Questi punti, discussi e decisi in primo grado, erano stati riproposti in appello ma ignorati dal collegio giudicante. Per questa ragione, la sentenza è stata cassata su questi specifici punti e rinviata a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione centrale della decisione riguarda il principio di competenza fiscale (art. 75, ora 109, del TUIR). La Corte ha spiegato che, per poter dedurre una perdita su crediti, devono sussistere “elementi certi e precisi” che ne attestino l’inesigibilità. Nel caso di un debitore assoggettato a procedura concorsuale, tale momento di certezza si concretizza con la sentenza dichiarativa di fallimento.

Emettere una nota di credito e dedurre la perdita prima di tale data significa violare il principio di competenza, poiché si anticipa un costo a un esercizio fiscale in cui non si sono ancora manifestati i presupposti di certezza richiesti dalla legge. La Cassazione ha definito una “finestra temporale” per la deduzione, che va dalla data della sentenza di fallimento fino al momento in cui, secondo i corretti principi contabili, il credito viene cancellato dal bilancio. Agire al di fuori di questa finestra, come ha fatto il contribuente, non è consentito perché lascerebbe all’impresa la facoltà di scegliere arbitrariamente il periodo d’imposta più conveniente in cui operare la deduzione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un orientamento giurisprudenziale consolidato e offre importanti indicazioni pratiche per le imprese.

1. Tempestività Corretta: Non è possibile dedurre una perdita su un credito semplicemente perché si ritiene che il debitore sia in difficoltà. È necessario attendere un evento oggettivo e giuridicamente rilevante. In caso di fallimento, questo evento è la sentenza del tribunale.
2. Divieto di Scelta Arbitraria: Il principio di competenza non è derogabile. Le imprese devono imputare costi e ricavi all’esercizio corretto, senza poter anticipare o posticipare le deduzioni a proprio piacimento per ottenere un vantaggio fiscale.
3. Completezza del Giudizio d’Appello: La decisione evidenzia anche un importante principio processuale: il giudice d’appello ha il dovere di esaminare tutti i motivi di contestazione sollevati dalle parti. L’omissione di tale esame costituisce un vizio della sentenza che ne determina la cassazione.

In conclusione, le aziende devono monitorare attentamente la situazione dei propri debitori e agire per la deduzione della perdita su crediti solo quando si verificano i presupposti legali di certezza e precisione, evitando iniziative premature che potrebbero essere contestate dal Fisco.

Quando è possibile dedurre fiscalmente una perdita su crediti verso un cliente dichiarato fallito?
La deduzione è ammessa solo all’interno di una “finestra temporale” che inizia con la data della sentenza dichiarativa di fallimento. Non è possibile dedurre la perdita in un periodo d’imposta precedente a tale sentenza, anche se il credito era stato formalmente stornato con una nota di credito.

Perché non si può dedurre la perdita prima della dichiarazione di fallimento?
Perché, secondo la Corte, è solo con la sentenza di fallimento che si concretizzano gli “elementi certi e precisi” di inesigibilità del credito richiesti dalla normativa fiscale. Deducendo la perdita prima, si violerebbe il principio inderogabile di competenza economica, scegliendo arbitrariamente quando imputare il costo.

Cosa succede se un giudice d’appello non esamina uno dei motivi presentati nel ricorso?
Se il giudice d’appello omette di esaminare una specifica doglianza sollevata da una delle parti, la sentenza è viziata. La Corte di Cassazione può annullare (cassare) la sentenza su quel punto e rinviare il caso a un altro giudice dello stesso grado affinché proceda all’esame omesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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