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Perdita fiscale: quando è utilizzabile? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7246/2024, ha stabilito un principio fondamentale sull’utilizzo della perdita fiscale. Una società non può utilizzare una perdita maturata in un anno precedente per abbattere il reddito imponibile di un anno successivo se l’esistenza stessa di quella perdita è contestata in un altro procedimento giudiziario non ancora concluso. La perdita, per essere utilizzabile, deve essere certa e definitiva. La Corte ha invece ritenuto sufficiente, e non ‘apparente’, la motivazione con cui i giudici di merito avevano annullato parte dell’accertamento.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Perdita Fiscale Incerta: Non si Può Utilizzare per Ridurre le Tasse

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per le imprese: l’utilizzo della perdita fiscale maturata in un esercizio per ridurre le imposte dovute negli anni successivi. La Suprema Corte ha stabilito un principio di certezza: se l’esistenza stessa della perdita è oggetto di un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, quella perdita non può essere utilizzata fino a quando il giudizio non sarà definito. Questa decisione sottolinea l’importanza della definitività degli accertamenti fiscali per la gestione della fiscalità aziendale.

Il Contesto: L’Accertamento Fiscale e la Decisione di Secondo Grado

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società e ai suoi soci per l’anno 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava un maggiore imponibile ai fini IRAP e IVA, basato su indagini finanziarie. I contribuenti si sono opposti e, dopo un primo grado favorevole, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha annullato l’atto impositivo nel merito. In particolare, la CTR aveva ritenuto che l’azienda potesse legittimamente utilizzare una perdita fiscale relativa all’anno precedente (2007) per compensare i maggiori redditi accertati per il 2008. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato questa decisione in Cassazione, sostenendo che la perdita del 2007 non era utilizzabile perché un avviso di accertamento che la contestava era ancora sub iudice, ovvero pendente in un altro giudizio.

L’Utilizzo della Perdita Fiscale secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate su questo punto specifico, ribaltando la decisione dei giudici di secondo grado.

Il Principio della Certezza della Perdita

Il cuore della decisione risiede nell’articolo 84 del TUIR, che disciplina il riporto delle perdite. La Corte ha chiarito che il meccanismo di riporto a nuovo della perdita presuppone che la sua esistenza e il suo ammontare siano certi e definitivi. Nel caso di specie, la perdita fiscale del 2007 era stata contestata dall’Ufficio con un apposito accertamento, il cui giudizio era ancora in corso. Questa pendenza rendeva la perdita ‘incerta’ e, di conseguenza, non disponibile per essere utilizzata in diminuzione del reddito dell’anno successivo. Solo quando la perdita è effettiva e non più contestabile, essa rileva ai fini del riporto e della compensazione. La funzione del riporto delle perdite è quella di garantire un riequilibrio della capacità contributiva nel tempo, ma ciò può avvenire solo sulla base di dati certi.

La Questione della Motivazione “Apparente”

L’Agenzia delle Entrate aveva anche lamentato che la motivazione della sentenza della CTR fosse ‘apparente’, ovvero troppo sintetica per giustificare l’annullamento delle altre riprese fiscali. Su questo punto, la Cassazione ha dato torto all’Ufficio. I giudici supremi hanno ritenuto che, sebbene sintetica, la motivazione della CTR – che parlava di ‘operazioni ampiamente giustificate’ e ‘modici importi’ – superasse il ‘minimo costituzionale’ richiesto, manifestando in modo comprensibile le ragioni della decisione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sull’inutilizzabilità della perdita fiscale sottolineando la natura stessa del meccanismo di riporto. Questo sistema, definito un ‘artifizio necessario’ per ripartire il carico fiscale su più anni, richiede come presupposto indefettibile la certezza del dato da riportare. Una perdita sub iudice non è una perdita effettiva ai fini fiscali, ma solo una posta contabile la cui rilevanza fiscale è sospesa fino all’esito del contenzioso. Permetterne l’utilizzo significherebbe consentire una duplicazione illegittima del beneficio fiscale o l’utilizzo di un credito d’imposta non ancora sorto.

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata limitatamente al punto sull’utilizzo della perdita fiscale e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Quest’ultima dovrà riesaminare la questione attenendosi al principio di diritto secondo cui una perdita non può essere utilizzata in compensazione se la sua effettiva esistenza è ancora oggetto di un giudizio pendente. La decisione rappresenta un importante monito per le aziende: la pianificazione fiscale deve basarsi su dati certi e definitivi, e le perdite contestate dal Fisco non possono essere considerate una risorsa immediatamente spendibile.

È possibile utilizzare una perdita fiscale di un anno precedente per compensare i redditi di un anno successivo?
Sì, in generale è possibile. L’articolo 84 del TUIR prevede che le perdite di un esercizio possano essere computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi, entro certi limiti e condizioni. Tuttavia, come chiarito da questa ordinanza, la perdita deve essere certa e definitiva.

Una perdita fiscale può essere utilizzata anche se l’accertamento che la contesta è ancora in corso di giudizio?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che se una perdita è ‘sub iudice’, cioè oggetto di un contenzioso pendente che ne contesta l’esistenza, essa non può essere utilizzata per ridurre il reddito di anni successivi. La sua utilizzabilità è sospesa fino alla conclusione del giudizio che ne accerti l’effettività.

Quando la motivazione di una sentenza tributaria può essere considerata ‘apparente’ e quindi nulla?
Una motivazione è ‘apparente’ quando, pur essendo presente, è talmente generica, stereotipata o illogica da non far comprendere le ragioni giuridiche e fattuali alla base della decisione. In questo caso, la Corte ha ritenuto che una motivazione, seppur molto sintetica, che definiva le riprese come ‘modici importi’ e le operazioni ‘ampiamente giustificate’, fosse sufficiente a superare il cosiddetto ‘minimo costituzionale’ e quindi non fosse apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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