Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9053 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO per procura congiunta al ricorso;
– ricorrente
–
Contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; – resistente –
Avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 4593/17, depositata il 20 luglio 2017.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME propone ricorso in cassazione, fondato su tre motivi, avverso la decisione d’appello in epigrafe che riformava la decisione di primo grado, resa dalla CTP, relativa al ricorso avverso silenzio rifiuto opposto dall’ufficio all’istanza di rimborso proposta per non avere il fondo pensioni costituito presso la Banca Commerciale Italiana, datrice di lavoro del ricorrente, all’atto dell’erogazione delle somme per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dedotto
zainetto
dall’imponibile i contributi versati nel limite del 4 %. L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita a mezzo di tempestivo controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con tutti i motivi si censura violazione degli artt. 2696, cod. civ., 16, 17, 47, 19, 52, TUIR, oltre ad altre disposizioni statutarie del fondo e di circolari.
1.1. I motivi si mostrano prima facie inammissibili in quanto non solo riferiti a profili tra loro confliggenti (violazione di legge ed omesso esame di cui all’art. 360, primo comma num 5, cod. proc. civ.) ma altresì rappresentati in maniera incomprensibile, dal momento che si censura la sentenza per ‘omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo’, profilo neppur previsto dal legislatore. Essi poi difettano della necessaria specificità, ripetendo almeno nella rubrica ed in parte nello sviluppo censure del tutto sovrapponibili e frutto di inutili ripetizioni.
Senza contare che la violazione di legge viene imputata anche con riferimento ad atti (statuto di un ente privato e circolare dell’RAGIONE_SOCIALE) che non rivestono valore normativo. Oltre ad essere riferita ad un coacervo di norme.
Comunque, nello sviluppo del primo motivo si ricava che oggetto di censura è costituito dall’aver la sentenza impugnata ritenuto le somme erogate quali una tantum, non aver tenuto conto della dimostrazione del versamento dei contributi e nell’essersi invece basata, come l’ufficio, nel ritener la contribuzione rimasta a carico della sola banca datrice di lavoro solo in base alla nota 15 febbraio 2010 resa dal fondo in questione, che appunto affermava i contributi fossero da considerarsi rimasti a carico della banca stessa.
Nel secondo si ribadiscono i medesimi aspetti circa il non aver la CTR ritenuto fondanti le prove portate dal contribuente a dimostrazione del versamento a proprio carico dei contributi.
Nel terzo si censura la sentenza nella parte in cui nega il diritto al rimborso trattandosi di contributi volontari per la RAGIONE_SOCIALE integrativa, e ciò sulla base di un atto negoziale, ribadendo in proposito le difese già spiegate al primo motivo.
1.2. Aldilà dei profili di inammissibilità sopra ricordati, la questione oggetto di causa è stata correttamente inquadrata dalla CTR, che ha escluso la natura obbligatoria dei contributi, qualificandoli invece come contributi volontari versati per conseguire una RAGIONE_SOCIALE integrativa.
Infatti, l’obbligatorietà da prendersi in considerazione non è quella derivante da un patto intercorrente fra datore di lavoro e lavoratore in relazione alla contribuzione a un fondo RAGIONE_SOCIALE integrativa, ma quella istituita per legge nei confronti dell’ente pubblico previdenziale.
La questione comunque risulta già abbondantemente affrontata da consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui
‘In tema di IRPEF, la prestazione di capitale che un fondo di previdenza RAGIONE_SOCIALE per il personale di un istituto bancario (nella specie, il RAGIONE_SOCIALE) effettui, forfetariamente a saldo e stralcio, in favore di un ex dipendente, in forza di un accordo transattivo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (cd. “zainetto”), costituisce, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, reddito della stessa categoria della “RAGIONE_SOCIALE integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di RAGIONE_SOCIALE, rinvenendo la sua causa genetica nel rapporto di lavoro che ha determinato la nascita del trattamento. Ne consegue che l’erogazione di tale prestazione in un’unica soluzione, costituendo reddito da lavoro dipendente e non reddito da capitale, deve essere soggetta a tassazione separata ai sensi dell’art. 16, comma 1, del
d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo applicabile “ratione temporis”. (Cass. 20/01/2017, n. 1521).
Il principio sopra espresso porta dunque a concludere nel senso che ai soggetti iscritti anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs n. 124/1993 (28 aprile 1993) debba applicarsi -a prescindere dalla data di percezione -e quanto alle forme previdenziali in argomento costituenti capitalizzazione di pensioni collegate all’attività lavorativa prestata dal contribuente, la medesima aliquota applicata al trattamento di fine rapporto, ricordando come nella specie il contribuente, a seguito dell’accordo del 1995 intervenuto fra il RAGIONE_SOCIALE e la rappresentanza sindacale.
Facendo riferimento al caso specifico dei dipendenti della Banca Commerciale Italiana, va ricordato che dal 1 gennaio 1955 (e il ricorrente venne assunto per sua stessa dichiarazione nel 1960), a seguito della decisione governativa di estendere l’iscrizione dei dipendenti della banca all’assicurazione generale obbligatoria presso l’RAGIONE_SOCIALE, con attivazione dei corrispondenti obblighi contributivi, il RAGIONE_SOCIALE, da funzione sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria, ha iniziato a svolgere la funzione di previdenza RAGIONE_SOCIALE integrativa (Cass. 28/12/ 2016, n. 27079).
Il RAGIONE_SOCIALE, dunque, in quanto iscritto all’albo dei fondi presso la RAGIONE_SOCIALE e assoggettato alla sua vigilanza, costituiva una forma di previdenza RAGIONE_SOCIALE, concretizzandosi in una prestazione in forma di rendita realizzata in modo volontario, con lo scopo di integrare la RAGIONE_SOCIALE pubblica, al fine di garantire all’avente diritto un adeguato tenore di vita all’età pensionabile (in tal senso Cass. n. 27078 del 2016; Cass. n. 27079 del 2016).
Per evitare una doppia trattenuta sulle retribuzioni, una a favore dell’RAGIONE_SOCIALE e l’altra a favore del RAGIONE_SOCIALE, veniva applicato, sulla base di accordo tra la Banca ed organi di rappresentanza dei lavoratori, il meccanismo dell’incrocio contributivo ( chassé croisé ).
Tale meccanismo, sorto come puro strumento di semplificazione contabile, imputava formalmente alla banca il contributo previdenziale obbligatorio gravante per legge sul lavoratore e destinato all’RAGIONE_SOCIALE, mentre imputava formalmente al lavoratore quello destinato al RAGIONE_SOCIALE.
Pertanto, supponendo la corrispondenza dei due contributi, quello destinato all’RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi sostanzialmente a carico del lavoratore, in conformità alla previsione legislativa in materia, e su di esso non è causa; mentre quello destinato al RAGIONE_SOCIALE doveva considerarsi, per il periodo compreso tra il 1955 e 1994, come posto sostanzialmente a carico della Banca. Dal 1995 al 1999, poi, il contributo al RAGIONE_SOCIALE era stato posto unicamente a carico della Banca.
La questione dei presupposti dell’esenzione pro quota di cui all’art. 17, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, nel caso sub iudice , attiene sì all’individuazione del soggetto che ha effettivamente pagato i contributi al RAGIONE_SOCIALE, ma si innesta inevitabilmente anche sulla natura obbligatoria o facoltativa dei contributi erogati al fondo di previdenza RAGIONE_SOCIALE, su cui s’è già detto.
Da quanto precede emerge l’infondatezza del ricorso.
Le spese gravano sul ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, che liquida in € 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2024