Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7380 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7380 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26675/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)-
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENEZIA n. 920/2022 depositata il 26/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nell’anno 2012 la società RAGIONE_SOCIALE stipulava due contratti con la società RAGIONE_SOCIALE, impegnandosi a eseguire lavori di assiematura, saldatura, movimentazione e carico di n. 23 paratoie, per un totale corrispettivo di € 885.000,00 oltre IVA.
Con fattura n. 8 del 31 gennaio 2014, RAGIONE_SOCIALE addebitava a RAGIONE_SOCIALE costi per un totale imponibile di € 152.000,00 e IVA per € 33.440,00 per la seguente causale ” Addebito costi da noi sostenuti per lavorazioni affidatevi da Voi non eseguite “.
Nel rigo VX3 del Modello NUMERO_DOCUMENTO per il periodo d’imposta 2017, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rimborso dell’IVA pagata sulla fattura sopra esposta, emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE
Con provvedimento notificato in data 28 marzo 2019, l’Ufficio denegava il rimborso chiesto in dichiarazione sulla base del rilievo che la fattura ricevuta in data 31/01/2014 dalla società RAGIONE_SOCIALE non dà diritto alla detrazione dell’IVA in quanto non è relativa a cessioni di beni o prestazioni di servizi e quindi non ricorre il presupposto oggettivo indicato dagli artt. 2 e 3 del d.P.R. 633/1972.
Avverso il provvedimento di diniego del rimborso IVA, il RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso, che veniva respinto dalla CTP di Venezia.
La CTR del Veneto, con la decisione n. 920/3/2022, accoglieva l’appello, ritenendo che l’importo esposto non potesse essere qualificato come ” penalità per inadempimento ‘, dichiarando dovuto il rimborso richiesto nella misura esposta in fattura di € 33.440,00. Il ricorso dell’Agenzia è affidato ad un solo motivo. Resiste la curatela del fallimento di RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la falsa applicazione dell’art. 3 e la violazione dell’art. 15, comma 1, n. 1 del d.P.R. 633/72, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la CTR ritenuto erroneamente la rimborsabilità dell’IVA, ancorché i lavori fossero stati effettuati non in ” dipendenza di un contratto d’opera o d’appalto “, come richiede la normativa, ma proprio a causa dell’inadempimento di tale contratto.
Il motivo è fondato e va accolto.
Non ci si trova al cospetto di prestazioni di servizi di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, a mente del quale ‘ Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte ‘. Nella specie, non constano prestazioni di servizi dipendenti da contratti d’opera ovvero appalto, bensì un recupero di costi incontrovertibilmente correlato ad un inadempimento dei contratti stessi.
Le lavorazioni elencate nella fattura n. 8/2014 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE sono state, infatti, effettuate, diversamente da quanto pattuito fra le parti, non dal soggetto contrattualmente obbligato, bensì dal committente.
La fattura si colloca al di fuori dell’alveo contrattuale, dal momento che, non avendo la RAGIONE_SOCIALE posto in essere determinate prestazioni che avrebbe dovuto eseguire in virtù dei patti negoziali stipulati inter partes , la RAGIONE_SOCIALE ha dovuto sostenere dei costi aggiuntivi a causa dell’inadempimento subito, ricorrendo a terzi per definizione estranei ai contratti intercorsi fra le pari, limitandosi a chiedere successivamente alla controparte inadempiente il ristoro delle spese occorse.
Per il disposto dell’art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 non concorrono a formare la base imponibile dell’IVA – che consegue alla cessione dei beni e alla prestazione dei servizi – le somme
dovute a titolo di risarcimento del danno nonché a titolo di interessi moratori, penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi contrattuali.
Il pagamento effettuato dalla ricorrente, in quanto slegato, in definitiva, dall’adempimento in senso tecnico di una prestazione contrattuale, s’iscrive a chiaro titolo entro il paradigma della ‘penalità per inadempimento’.
Emerge, infatti, perspicuamente che con la fattura summenzionata la committente non abbia fatturato una prestazione contrattuale, bensì richiesto un risarcimento danni correlato alla misura dei lavori non eseguiti -di contro -dalla appaltatrice.
La circostanza che i pagamenti eseguiti dalla società RAGIONE_SOCIALE per colmare la mancata esecuzione di prestazioni contrattuali da parte di RAGIONE_SOCIALE siano stati regolarmente fatturati, che l’IVA dovuta sia stata pagata dalla committente e che, in quanto tale, fosse in linea di principio detraibile non muta il quadro compendiato. L’IVA costituiva, infatti, soltanto una voce di specificazione delle spese sostenute dalla committente e non mutava la connotazione risarcitoria dell’importo complessivamente fatturato nei confronti dell’appaltatrice. Pertanto, l’appaltatrice inadempiente al più sarebbe stata, in linea di principio, facoltizzata in sede civile a contraddire nei confronti della committente la debenza dell’IVA, incaricandosi di provare la circostanza dell’avvenuta detrazione (detraibilità) da parte di quest’ultima dell’IVA passiva pagata al terzo in relazione ai lavori.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto . La sentenza d’appello va, per l’effetto, cassata. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente. Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 14/09/2023.