Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2802 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2802 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 33190/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE
TRIBUTARIO ASSOCIATO DENTONS EUROPE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
–
ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1374/2019 depositata il 26/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.G. che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Sentito il difensore dell’RAGIONE_SOCIALE.
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE impugnavano l’avviso di rettifica e liquidazione del 28 ottobre 2016, relativo alla cessione di ramo d’azienda stipulata in data 2 dicembre 2014 con atto per AVV_NOTAIO con il quale l’amministrazione finanziaria determinava il valore dell’avviamento in euro 1.577.425,00, escludendo i debiti relativi al ramo d’azienda euro 1.186.923,00, così calcolando il valore del ramo d’azienda ceduto in euro 1.597.408,00 e la maggior base imponibile in euro 1.583.716,00 eccependo la carenza motivazionale dell’atto impositivo nonché
l’illegittima rideterminazione dell’avviamento e del disconoscimento RAGIONE_SOCIALE passività.
La CTP di Milano rigettava il ricorso con sentenza gravata dalla contribuente.
La CTR della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello della società limitatamente al disconoscimento RAGIONE_SOCIALE passività pari ad euro 664.000 in quanto risultanti dalle scritture contabili dell’ente, confermando per il resto la pronuncia di primo grado.
Le società ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della decisione indicata in epigrafe.
Resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, l’amministrazione finanziaria, cui replicano le società contribuenti con controricorso al ricorso incidentale.
Il P.G. ha concluso nel senso del rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. La prima censura deduce la violazione dell’art.7 legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché degli artt. 52, comma 2 bis , d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e dell’art. 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod.proc.civ.. Si assume che la Commissione regionale ha erroneamente escluso il deficit motivazionale dell’avviso, reputando l’idoneità della enunciazione dei criteri astratti in base ai quali è stato determinato il maggior valore della cessione del ramo d’azienda, con ciò ponendosi in palese contrasto con il disposto dell’art. 52 citato in rubrica, il quale prevede invece che l’avviso di rettifica deve contenere l’indicazione del valore attribuito a ciascuno di beni in esso descritti e degli elementi di cui
all’art. 51 del medesimo decreto, in base ai quali è stato determinato; in particolare, evidenziando che il comma 2bis esige che se la motivazione dell’atto fa riferimento ad un altro atto non conosciuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto di rettifica o riportato integralmente.
La società censura la decisione d’appello, per non aver ritenuto lesivo dei diritti di difesa della contribuente la circostanza che l’amministrazione, pur avendo fondato la determinazione del reddito prospettico sulla media dei ricavi del ramo d’azienda degli ultimi tre anni, aveva poi applicato ai ricavi medi relativi al ramo ceduto un coefficiente di redditività del 2,7%, pervenendo ad un reddito prospettico di euro 266.457,00.
Coefficiente ricavato dall’RAGIONE_SOCIALE da un data base RADAR -di cui si avvale l’amministrazione e dal quale aveva individuato la redditività media espressa da aziende che operano in Lombardia nello stesso settore merceologico (spedizionieri, RAGIONE_SOCIALE di operazioni doganali), che tuttavia non risulta allegato all’avviso opposto né in esso trascritto.
L’omessa indicazione RAGIONE_SOCIALE aziende selezionate ai fini comparativi non avrebbe consentito alla società ricorrente di verificare l’affinità reddituale tra le aziende utilizzate come parametri di riferimento e quella specifica dell’azienda ceduta; né se la redditività media determinata dall’ufficio nella misura individuata nel coefficiente del 2,7% corrisponda alla redditività fiscale -data dal rapporto medio del settore di riferimento tra reddito di impresa imponibile e volume d’affari ovvero a quella civilistica, che fa riferimento al rapporto medio del settore di riferimento tra utile di bilancio e vendite.
3. Il secondo strumento di ricorso prospetta la violazione dell’art. 51 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione ai criteri di estimo
aziendale e dell’art. 2697 cod.civ., ex art. 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ.; per avere il decidente ritenuto la correttezza della operazione di stima adottata dall’ufficio, il quale, sulla base di «un sillogismo inedito nell’ambito RAGIONE_SOCIALE valutazioni aziendali», ha reputato che la redditività RAGIONE_SOCIALE aziende che operano in medesimo settore, in un determinato ambito geografico, è sempre pari al 2,7% dei suoi ricavi, così attribuendo ad aziende molto redditizie il medesimo valore di un’azienda decotta, in virtù dell’elemento comune del settore in cui svolgono la loro attività imprenditoriale.
Con la terza censura, la società lamenta la violazione dell’art. 51 d.P.R. 131/1986, cit., in relazione alle passività relative al ramo ceduto, ex art. 360, primo comma, n. 3) cod.proc.civ.; per avere il giudicante escluso dalla base imponibile le passività verso le banche, in quanto non rientranti nel perimetro dell’attività aziendale, sebbene correlate all’attività dell’impresa.
La società attinge la sentenza di appello per aver violato il quarto comma dell’art. 51 cit., secondo il quale il valore dell’azienda si determina in base alla somma dei valori RAGIONE_SOCIALE attività, ossia dei valori dei beni materiali e immateriali compreso l’avviamento, sottraendo le passività che risultano dalle scritture contabili obbligatorie e da atti aventi data certa.
In particolare, lamenta la ricorrente che l’Ufficio con l’atto impositivo -non ha disconosciuto le passività verso le banche o verso fornitori e corrispondenti per l’assenza di inerenza rispetto all’attività del ramo aziendale ceduto; – che, con riferimento ai debiti verso fornitori, essi sono stati esclusi dall’ente finanziario (pagina 5 dell’avviso) .
Aggiunge che, in considerazione dell’attivo che comprende anche l’avviamento, le passività comunque non superano l’attivo dell’azienda, la quale, peraltro, può certamente essere alienata pure se gli elementi passivi eccedono l’attivo cd. alienazione dell’azienda – nelle quali è il cedente a corrispondere al cessionario una somma di denaro definita appunto dote.
Con ricorso incidentale, l’RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione degli artt. 43, comma 2, e 51, comma 4, d.P.R. 131/1986, ex art. 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ.; per avere la Commissione regionale incluso nella base imponibile i debiti verso fornitori solo perché risultanti dalla contabilità della società.
A tal fine, l’Ufficio obietta che le passività devono essere espunte dalla base imponibile dell’imposta di registro, anche se regolarmente contabilizzate, «ma sempre che si comprovata la loro inerenza all’azienda ceduta».
Con controricorso al ricorso incidentale, le società contribuenti eccepiscono la novità della questione relativa alla presunta non inerenza dei debiti sia perché l’esclusione RAGIONE_SOCIALE passività è stata motivata nell’avviso non perché non inerenti all’azienda, ma in quanto superiori all’attivo, sia perché detta eccezione( non inerenza dei debiti) non è stata mai sollevata dall’ufficio nel giudizio di merito.
Le prime due censure del ricorso principale, in quanto involgenti questioni connesse, vanno scrutinate congiuntamente; esse sono prive di pregio.
L’avviso di rettifica e liquidazione si fonda sul metodo di determinazione del valore dell’avviamento sulla base dei ricavi medi relativi al ramo d’azienda ceduto nel triennio antecedente la
cessione, valore a cui è stato applicato il coefficiente di redditività del 2.7% tratta dal database RADAR, in uso all’amministrazione, calcolato sulla base della redditività di .
7.1 L’avviamento viene identificato e descritto in termini di qualità intrinseca immateriale dell’azienda, di formazione plurifattoriale; qualità che di solito si concreta nel maggior valore che il complesso aziendale, unitariamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono); maggior valore, a sua volta correlato alla . Fermo restando che la sussistenza ed entità economica dell’avviamento costituiscono questioni di fatto devolute al giudice di merito, si è specificato che -appunto nella determinazione della base imponibile dell’imposta dì registro -l’esistenza di un avviamento incrementativo del valore dell’azienda trasferita ben può coesistere con la presenza di perdite di esercizio negli anni immediatamente precedenti o successivi al trasferimento stesso ed anche che tale base imponibile può essere determinata non solo (in assenza di avviamento) in forza del “metodo patrimoniale semplice”, dato dalla somma di attività e passività patrimoniali, ma anche (in presenza di avviamento) in forza del “metodo patrimoniale complesso” che, integrando il primo, valorizza tutti i fattori che comportano plusvalenza da beni immateriali costituenti, nel loro complesso, l’avviamento stesso (Cass.9075/15; Cass. del 17.01.2018, n. 979; Cass. del 20/03/2019, n. 7750; Cass. del 14/02/2022, n. 4732). Ciò stante, come la Corte ha già avuto modo di osservare, il criterio del canone
capitalizzato perché il canone è la contropartita che la parte poi divenuta cedente ha richiesto a fronte della capacità reddituale rinunciata ed è il costo che la cessionaria paga in ragione della redditività che si attende di ritrarre dall’azienda (Cass. del 4.11.2015, n. 22503; Cass. del 23.06.2020, n. 12305).
7.2 L’art. 51 d.P.R. 131/96 esplicita che la base imponibile dell’imposta di registro va individuata nella somma del ; precisa altresì al comma 2) che per gli atti aventi ad oggetto aziende, per ‘valore ‘occorre riferirsi al . Al comma 4), l’art. 51 precisa il valore dichiarato dalle parti …. al netto RAGIONE_SOCIALE passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile …. L’ufficio può tener conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto >.
A tal proposito, giova ricordare che l’amministrazione applica, per determinare l’avviamento, il criterio forfettario di cui all’art. 2 co. 4 del d.P .R 31 luglio 1996, n. 460, previsto a suo tempo dalla normativa di accertamento con adesione; la citata disposizione è stata abrogata dall’art 17 del d.lgs 19 giugno 1997, n. 218.
In base alla norma soprarichiamata l’avviamento -inteso come la capacità dell’azienda di produrre reddito in futuro -viene determinato o sulla scorta degli elementi desunti dagli studi di
settore o (in mancanza) applicando la percentuale di redditività (precisamente il rapporto tra Reddito d’impresa e Ricavi) dell’anno precedente la cessione, alla media dei ricavi realizzati nel triennio precedente e moltiplicando tale risultato per tre. Avviamento = Media Ricavi (3 anni prec) Redditi/ Ricavi (ultimo anno) tre (il moltiplicatore può essere pari a 2 nel caso l’esercizio dell’attività sia svolto in locali in affitto) .
8.Tuttavia la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che i criteri per la determinazione del valore di avviamento di un’azienda, fissati dall’art. 2 del regolamento reso col d.P.R. n. 460 del 1996, per l’attuazione dell’accertamento con adesione di cui al d.l. 30 settembre 1994,n. 564, conv. in legge n. 656 del 1994, hanno la funzione di fornire «indicazioni minime» cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione: se, infatti, è possibile che tale accertamento si realizzi per valori superiori a quelli indicati dall’art. 2 cit., è comunque ovvio che il contribuente vi aderisca quando esso si attesti su un importo inferiore a quello che potrebbe legittimamente emergere con autonomo accertamento ordinario e nel successivo contenzioso; pertanto, se ai detti criteri può attribuirsi un qualche rilievo indiziario, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione, con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta a spiegare i motivi per cui ritiene eventualmente incongrui nella specie i criteri in questione. Va riconosciuto, difatti, carattere presuntivo nel senso che l’effettivo valore di accertamento non sia inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione (Cass. n. 16705 del 2007, Cass. n. 3505 del 2006, Cass. n. 613 del 2006; Cass. n. 20280 del 2008).
8.1 I criteri di cui all’art. 2 d.P.R. 31 luglio 1996, n. 460 determinano, dunque, valori minimali d’avviamento in funzione
dell’accertamento con adesione, sicché la loro applicazione integra un indizio a favore dell’amministrazione (Cass. 27 luglio 2007, n. 16705; Cass. Sez. 5, n. 613 del 2006, Cass. Sez. 5, n. 9583 del 2016), tanto che questa può impiegare un criterio diverso solo dando conto della maggiore affidabilità specifica (Cass. del 23/06/2020, n.12305; Cass. del 17/07/2018, n. 18941; Cass. del 07/04/2017, n. 9089; Cass. 27 marzo 2012, n. 4931).
Con l’avviso di rettifica e liquidazione impugnato, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha rettificato il valore di avviamento dichiarato dalle parti, determinandolo mediante capitalizzazione per 2,7% della potenziale redditività dell’azienda -tenuto conto della media dei ricavi dichiarati dall’azienda cedente per il triennio precedente la cessione -, accertata sulla base della documentazione contabile fornita dalla stessa società.
In conclusione, l’omessa allegazione del database Radar si rivela assolutamente irrilevante, in quanto ha fornito un coefficiente di entità inferiore a quello minimale, che solo se superato avrebbe onerato l’RAGIONE_SOCIALE di dar conto della maggiore affidabilità del criterio utilizzato e della maggiore affidabilità del database ; la circostanza che il coefficiente -inferiore a quello di cui al d.l. abrogato – sia stato elaborato in base a listini di collegi e associazioni professionali del settore della mediazione di affari, non implica l’onere di allegare il database, in quanto la norma di cui all’art. 51, comma 4, d.p.r. 131/86 non può che essere interpretata nel senso che il contribuente, nel dichiarare il valore dell’avviamento, deve effettuare i calcoli sulla base dei redditi ritraibili dall’azienda ceduta al lordo RAGIONE_SOCIALE imposte, operazione da cui la società si è immotivatamente discostata. Ora, il contribuente ha eccepito la genericità del riferimento ad un database in uso esclusivo all’amministrazione dal quale quest’ultima ha ricavato il
coefficiente di redditività calcolato sulla base del criterio di territorialità e della natura dell’attività svolta.
9.Sennonchè, era onere della società dimostrare che – a fronte degli indizi a favore dell’amministrazione -il coefficiente di capitalizzazione inferiore a tre (coefficiente inferiore a quello indicato dal d.l. abrogato) non poteva essere applicata all’azienda ceduta per peculiari situazioni dell’azienda medesima, nemmeno allegate dalla ricorrente.
Si aggiunga che, in ordine al valore da attribuire all’avviamento, l’accertamento compiuto dalla CTR non è solo di mero fatto, e perciò non si sottrae al sindacato di legittimità per il profilo invocato dalle società ricorrenti, in quanto presuppone anche la corretta interpretazione della norma di cui all’art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede che il valore RAGIONE_SOCIALE aziende sia controllato dall’Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni, compreso l’avviamento, al netto RAGIONE_SOCIALE passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile. Ciò premesso, tenuto conto che per le aziende il valore di avviamento è determinato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori al trasferimento moltiplicata per 2,7% (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16705; Cass. del 07/04/2017, n. 9089; Cass. del 17/07/2018, n. 18941), nessuna censura può essere espressa nei confronti della sentenza impugnata, che ha considerato congrua la determinazione del valore di avviamento con riferimento alla percentuale di redditività RAGIONE_SOCIALE imprese del settore (settore economico di appartenenza), con un giudizio immune al sindacato di legittimità in quanto adeguatamente motivato, laddove è onere del contribuente, che contesti l’accertamento, in base ad allegazioni puntuali e specifiche, che tengano conto dei fattori economici
dell’azienda, dimostrare le ragioni della divergenza dei propri dati da quelli medi indicati dall’Amministrazione finanziaria.
Onere processuale a cui la società contribuente non ha ottemperato (Cassazione civile, sezione tributaria, sentenza 18941 del 17 luglio 2018; Cassazione, sentenza 9089 del 7 aprile 2017; più recentemente, Cass., sez. quinta, ord. 14 febbraio 2022, n. 4732).
Peraltro, nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha compiutamente argomentato circa l’appropriata valutazione effettuata dall’Ufficio erariale, in riferimento alla attitudine dell’azienda a produrre ricavi, indicando nell’atto opposto i criteri sulla base dei quali è stato stimato l’avviamento.
9.1 Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto « ai fini del calcolo del valore dell’avviamento commerciale della azienda, in virtù del combinato disposto degli artt. 51 del d.P.R. n. 131 del 1986, e 2, comma 4, del d.P.R. n. 460 del 1996, la percentuale di redditività deve essere parametrata alla media dei ricavi (e non degli utili operativi) accertati, o, in mancanza, dichiarati ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi nei tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, applicando di seguito il moltiplicatore previsto dal detto art. 2, comma 4, criterio avente la funzione di fungere da parametro minimo per il relativo calcolo. Qualora, l’amministrazione finanziaria abbia applicato un coefficiente inferiore a quello di cui al cit. art. 2, comma 4, che rappresenta un valore minimale d’avviamento, si presume che la capacità di profitto dell’azienda non sia inferiore a quello cui si perviene mediante la sua applicazione, salva la prova contraria del contribuente».
10.La terza censura del ricorso principale ed il ricorso incidentale possono essere esaminati congiuntamente, in quanto osmotici.
Il valore dell’azienda si determina in base alla somma dei valori RAGIONE_SOCIALE ‘attività’, ovverosia dei valori dei beni materiali e dei beni immateriali compreso l’avviamento, sottraendo le passività che risultano dalle scritture contabili obbligatorie e da atti aventi data certa. Coerentemente con tale ricostruzione non sono deducibili le passività che l’alienante si sia impegnato espressamente ad estinguere, in quanto le stesse evidentemente restano estranee al compendio aziendale ceduto e possono eventualmente incidere sul prezzo del bene oggetto della cessione. Gli aspetti fiscalmente rilevanti dell’azienda sono stati indicati nella norma relativa al controllo di congruità ed ha la sua razionale giustificazione nell’essere solo in tale fase necessaria la loro precisa individuazione (essendo l’imposizione iniziale ancorata ai corrispettivi o ai valori dichiarati dalle parti).
Se dunque si muove « dall’esigenza sistematica di una rigorosa corrispondenza tra presupposto e base imponibile e tra criteri valutativi da adottare sia in fase iniziale che in sede di controllo» appare in tutta chiarezza che la scelta del legislatore di quantificare la capacità contributiva connessa ad una cessione di azienda al netto della deduzione dall’imponibile RAGIONE_SOCIALE passività risultanti da scritture contabili obbligatorie risulta del tutto ragionevole.
11.Più esplicita sul punto risulta la sentenza n. 10218 del 18 maggio 2016, la quale nel limitare la deducibilità alle «passività inerenti » in sede di controllo dell’ufficio ai sensi del cit. art. 51 comma 4, ritiene che per i debiti estranei all’azienda, pur risultanti da libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente ex art. 2560 comma 2 cod. civ. non possa che « configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito del cedente…. Senonché tale accollo non rappresenta che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore
attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al netto, ma al lordo della passività non inerente (Cass. n. 12215/2008) ».
Ebbene, l’esclusione dei debiti, in particolare, verso fornitori e verso corrispondenti -che l’ufficio intende operare in questa sede alla luce della loro «non inerenza all’attività aziendale» risulta circostanza allegata ex novo sia rispetto alle motivazione dell’atto impositivo opposto sia rispetto alle difese svolte nel giudizio di merito.
Il ricorrente che proponga una questione ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa ( Cass. del 12.03.2017, n. 16502 in motiv; Cass. 10.08.2016, n. 9138).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio(v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 -1, 09/07/2013 n. 17041; Cass. 18.07.2017, n. 25319; Cass. del 17.01.2017, n. 2033, in motiv.; Cass. 13.11.2018, n. 907).
12.Sotto altro preminente profilo, l’obbligo di idonea e completa motivazione dell’atto impositivo previsto dall’art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, è volto ad assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione, sicché
l’Ufficio accertatore non può integrare il contenuto della motivazione in corso di causa (Cass. del 31/01/2018, n. 2382; Cass. del 24/02/2022, n. 6289).
Va, difatti, precisato che, come più volte osservato da questa Corte di legittimità (Cass.del 29/10/2008, n. 25909; Cass. del 28.06.2012, n. 10806; Cass. del 27/06/2019, n. 17231; Cass. del 23/07/2020, n. 15730; Cass. del 26.02.2020, n. 5160 ed altre), il processo tributario è strutturato sull’impugnazione di uno degli atti specificamente indicati dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ed il suo oggetto è rigorosamente circoscritto al controllo di legittimità formale e sostanziale dell’atto impugnato; sicchè l’indagine sul rapporto tributario non è a tutto campo, ma necessariamente perimetrata dal riscontro della consistenza della pretesa fatta valere dall’Amministrazione Finanziaria con l’atto impositivo impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso enunciati, e nei soli limiti RAGIONE_SOCIALE contestazioni sollevate dal contribuente con i motivi dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado. Petitum e causa petendi del giudizio tributario vengono quindi delineati, per un verso, dalla verifica degli elementi in fatto e diritto posti a fondamento della pretesa impositiva e, per altro, dal tenore dei motivi di impugnazione; è entro questi limiti invalicabili che il giudice tributario valuta la legittimità dell’atto e, in assenza di vizi formali che lo invalidino, attinge al merito della lite. Da ciò consegue la rilevanza, anche ai fini di delimitazione dell’oggetto del giudizio, della motivazione dell’atto impositivo, il cui richiamo ai presupposti della pretesa non può essere dall’Amministrazione variato, integrato o sostituito in corso di causa, pena l’evidente pregiudizio che un simile contegno arrecherebbe al diritto di difesa del contribuente, il quale è a sua volta tenuto a cristallizzare nel ricorso originario le proprie doglianze (Cass. del 31/10/2014, n. 23248; Cass. del 11/05/2017, n. 11623; Cass. n. del 21/05/2018, n. 12400;
Cass. del 12/10/2018, n. 25450 ed altre). E’ dunque precluso, tanto al contribuente di introdurre in giudizio domande e motivi impugnatori nuovi rispetto a quelli inizialmente dedotti (salvo che nei limiti dei ‘motivi aggiunti’ ex art.24 d.lgs 546/92) così come di far valere in giudizio cause agevolative diverse da quelle inizialmente avanzate, quanto all’ente impositore di basare la pretesa su motivi giustificativi nuovi e diversi da quelli posti a fondamento dell’atto impugnato. Nessun dubbio di deducibilità da parte dell’Amministrazione, per la prima volta in giudizio, di nuovi motivi a sostegno della pretesa impositiva potrebbe porsi se l’Amministrazione stessa non fosse in ipotesi vincolata al dovere motivazionale iniziale, ma così non è. La motivazione dell’atto impositivo, infatti, non si limita a definire l’oggetto del giudizio tributario ma, ancor più in radice, costituisce un requisito di validità dell’atto stesso, secondo quanto stabilito in via generale dall’art.7 legge 27 luglio 2000, n. 212 (oltre che dalle singole leggi di imposta); norma, questa, che richiama, da un lato, i requisiti motivazionali propri degli atti amministrativi ex art.3 legge 7 agosto 1990, n. 241 e prescrive, dall’altro, che l’imposizione sia sempre sostenuta dalla indicazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione. La finalità essenziale dell’obbligo motivazionale, data dal porre il contribuente inciso in condizione di cogliere con immediatezza tutti gli elementi della pretesa tributaria e di, eventualmente, compiutamente contestarli nell’espletamento pieno del diritto di difesa in sede giurisdizionale, si atteggia alla stessa maniera indipendentemente dal fatto che l’imposizione derivi, in ipotesi, dall’affermazione della legittimazione tributaria passiva, dalla rideterminazione della base imponibile (ad esempio attraverso una rettifica di valore o l’emersione di una ulteriore posta tassabile), oppure appunto dalla confutazione (che deve perciò anch’essa venire esplicitata in maniera adeguata) dei
presupposti esonerativi o agevolativi fatti valere dal contribuente. In definitiva, si tratta di riaffermare la necessità ex art.7 legge 212/2000, cit., (già evidenziata da Cass. del 31.01.18, n. 2382 che ha fatto applicazione del principio in materia di revoca dell’agevolazione ex art. 33, comma 3, della legge n. 388 del 2000), che la motivazione dell’atto dell’amministrazione finanziaria indichi adeguatamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche dell’imposizione quand’anche questa scaturisca dal disconoscimento di un’agevolazione o di un’esenzione. Orbene, discende da questi principi che l’RAGIONE_SOCIALE è in effetti qui incorsa, come ritenuto dalla società contribuente, in inammissibile integrazione successiva RAGIONE_SOCIALE ragioni impositive indicate nella motivazione dell’atto opposto, atteso che, come risulta dagli atti attingibili da questa Corte la motivazione della esclusione dei debiti risultanti dalle scritture si fonda sulla maggiore entità RAGIONE_SOCIALE passività rispetto all’attivo.
Pertanto, la questione della «non inerenza dei debiti all’impresa» -in particolare dei debiti verso fornitori e corrispondenti – invocata con il ricorso incidentale esorbita dal perimetro motivazionale dell’atto opposto.
Segnatamente, la stessa RAGIONE_SOCIALE con l’avviso di accertamento opposto ha dedotto che i debiti verso le banche, ; -la stessa amministrazione alla pagina cinque dell’avviso deduce che trattasi di debiti utilizzati dalla cedente , assumendo che nel caso in esame l’accollo del debito rappresenta una forma di corresponsione del prezzo di cessione da assoggettare ad imposta di registro; affermando immediatamente dopo – contraddittoriamente – che ; mentre i debiti verso fornitori sono stati espunti dalla base imponibile per la parte eccedente le poste attive e i debiti verso corrispondenti non sono stati ammessi in deduzione in mancanza di idonea documentazione atta a giustificare il loro inserimento nella situazione patrimoniale.
Al fine di comprendere gli elementi che determinano l’esclusione RAGIONE_SOCIALE passività dalla base imponibile, occorre preliminarmente ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità.
Con le ordinanze n. 23873 del 23 novembre 2015 e n. 24081 del 25 novembre 2015, la Corte, attenendosi ad un’interpretazione meramente letterale dell’art. 51, comma 4, ha precisato che, ai fini dell’imposta di registro, per la determinazione della base imponibile, nessuna rilevanza può attribuirsi alle modalità convenute dai contraenti per il pagamento del corrispettivo, quand’anche tali modalità si risolvano nell’accollo dei debiti aziendali da parte del cessionario. Secondo le menzionate ordinanze, l’art. 51 T.U.R., comma 1, esclude che si debbano detrarre dal prezzo indicato nel contratto le eventuali passività trasferite unitamente al cespite, poiché tale operazione è prevista per la specifica ipotesi in cui l’Ufficio finanziario disattenda detto valore e proceda ad autonoma valutazione, nel qual caso soltanto esso dovrà sottrarre le passività al prezzo di mercato del bene. Sennonché, tali pronunce non affermavano un principio di generale irrilevanza RAGIONE_SOCIALE passività perché erano riferite ad ipotesi di determinazione della base imponibile al lordo dei debiti del cedente che il cessionario si era accollato: è solo con riguardo a tale ipotesi che la Cassazione affermava l’irrilevanza RAGIONE_SOCIALE modalità per il pagamento del corrispettivo (la Cassazione rilevava che la sentenza gravata aveva chiarito che nel contratto il corrispettivo “viene indicato al lordo degli accolli di debiti”).
L’estrapolazione del principio di generale irrilevanza RAGIONE_SOCIALE passività nei limiti individuati va, quindi, contestualizzata nella fattispecie controversa, che aveva ad oggetto« accolli espressi di passività», specificamente individuati come forme di versamento del corrispettivo, sicché tale principio andrebbe ricondotto alla sola ipotesi in cui si sia convenuto che parte del pagamento del prezzo avvenga mediante accollo, da parte dell’acquirente, dei debiti dell’alienante, e che tale accollo, costituisca modalità di adempimento dell’obbligazione dell’acquirente di pagare il prezzo della compravendita.
Nella pronuncia del 18 maggio 2016, n. 10218, la Corte, con riferimento ad un caso in cui non vi era nessun accollo espresso di debiti come parte del corrispettivo, ha adottato un diverso approccio interpretativo, distinguendo tra passività inerenti all’azienda e passività non inerenti ai fini della determinazione della base imponibile: le prime sarebbero deducibili, mentre le seconde, per le quali sia accertata l’estraneità all’azienda, costituirebbero un’ipotesi di accollo da parte del cessionario del debito del cedente, di guisa che tale accollo rappresenterebbe una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato dalle parti. Poiché nella fattispecie esaminata veniva in rilievo una passività collegata ad un’operazione realizzata il giorno prima della cessione, la Corte ha censurato il riconoscimento di tale passività, evidentemente ritenendola funzionale esclusivamente alla diminuzione della base imponibile. L’evidente scopo elusivo ha indotto la Cassazione a ritenere la passività non inerente equivalente ad una passività accollata, pur non essendovi nessun accollo di passività. La pronuncia sottintende che, in tanto dovrà tenersi conto RAGIONE_SOCIALE passività aziendali, in quanto queste ultime risultino dalle scritture contabili obbligatorie (o da altri atti con data certa) e che le passività effettivamente risultanti in contabilità non comportano per ciò solo, in sede di controllo, la diminuzione della
base imponibile dell’imposta di registro, indipendentemente dalla loro comprovata inerenza all’azienda ceduta. Emerge, quindi, l’elemento di novità dell’esclusione dalla determinazione della base imponile di passività non oggetto di accollo specifico, introducendo il requisito dell’inerenza della passività al solo scopo di sottolinearne la diversità rispetto alla mera registrazione contabile: da un lato, si rinviene un’inerenza soltanto contabile e, dall’altro, un’inerenza operativa della posta passiva che assume portata condizionante la deducibilità dell’ammontare, tanto che la contestazione dell’amministrazione finanziaria non riguarda l’esistenza in sé del debito, ma unicamente la sua pertinenza alle esigenze e finalità aziendali. Infine, con le più recenti pronunce del 16 gennaio 2019, n. 888 e 891, la Cassazione è tornata sulla questione, riepilogando sinteticamente le diverse pronunce che si sono succedute nel tempo per chiarire la linea di confine tra passività deducibili e non deducibili, alla luce del concetto di inerenza.
14.Ancorchè il quarto comma dell’art. 51 cit. preveda che l’ufficio, nel caso di atti che abbiano per oggetto aziende o diritti reali su di essi, effettui il controllo del valore dichiarato con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, senza, pertanto, fare riferimento esplicito al requisito di inerenza, deve pur tuttavia ritenersi che il suddetto controllo non possa prescindere dal riscontro altresì di quest’ultimo requisito al fine dell’adeguamento dell’imposizione al valore effettivo del complesso aziendale trasferito. Il richiamo testuale di legge vuole indicare che, in tanto dovrà tenersi conto RAGIONE_SOCIALE passività aziendali, in quanto queste ultime risultino dalle scritture contabili obbligatorie (o da altri atti con data certa); non anche che le passività effettivamente
risultanti in contabilità comportino per ciò solo, in sede di controllo, la diminuzione della base imponibile dell’imposta di registro indipendentemente dalla loro comprovata inerenza all’azienda ceduta.
In sede di interpretazione dell’articolo 50 d.P.R. 131/86 in tema di conferimento di aziende -nella formulazione antecedente alla modificazione apportata dalla legge n.488/99, la quale ha comunque mantenuto il criterio secondo cui -questa Corte di legittimità (Cass. 888 e 891 del 16.01.2019; Cass. del 23/02/2022, n. 6035; Cass. dell’11.01.2022, n. 539; Cass. del 18.05.2016, n. 10218; Cass. del 13.11.2015,n. 23234; Cass. del 14.02.2014, n. 3444; 2577/11) ha affermato, in più occasioni, che la deduzione RAGIONE_SOCIALE passività e degli oneri dai beni conferiti è in ogni caso condizionata alla loro inerenza (v. Cass. n.3444/14 cit.) .
Ulteriormente rilevando come tale principio, conformativo dell’ordinamento nazionale alla Dir.CEE n.335/69 in materia di imposte indirette sulla raccolta di capitali, sia ; così da doversi escludere la legittimità di una riduzione dell’imposta nel caso di mutui ipotecari costituiti in funzione di elusione del carico tributario.
Trasponendo questo principio di ordine generale alla cessione aziendale ex articolo 51 d.P.R. cit., rileva dunque come la
presunzione di corrispondenza del valore reale a quello dichiarato dalle parti nell’atto (1^ CO.) possa essere superata dall’amministrazione finanziaria allorquando quest’ultima autonomamente accerti (4″ co.) che il valore dichiarato ha tenuto conto di passività le quali, per quanto iscritte nei libri contabili obbligatori, non presentino alcun collegamento o inerenza con l’azienda trasferita, il che equivale ad affermare che, fiscalmente, la passività non inerisce sempre e comunque all’azienda sol perché risultante dai libri obbligatori. E’ pur vero che in quest’ultima ipotesi sussiste, per il solo fatto che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente dell’azienda ex articolo 2560, 2^ co., cod.civ.; ma, allorquando emerga che tali debiti siano in realtà estranei all’azienda, l’assunzione di tale responsabilità da parte dell’acquirente non può che configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito del cedente (indipendentemente dalla inerenza soltanto contabile, e non operativa, della posta passiva). Senonchè, tale accollo non rappresenta che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al ‘netto’, ma al ‘lordo’ della passività non inerente (Cass.12215/08).Il che trova del resto riscontro nel secondo comma dell’articolo 43, co.2, d.P.R. 131/86, il quale stabilisce che ; tale statuizione specifica che gli oneri e le passività che si accolla il concessionario per effetto della vendita costituiscono parte del corrispettivo, ovvero del vantaggio che il cedente trae dalla cessione aggiunta al prezzo dichiarato. In sostanza, gli oneri e le passività che, per effetto della vendita, saranno caricati al concessionario rappresentano un vantaggio
ulteriore che il cedente consegue dalla cessione (Cass. sez. 5, 15 maggio 2008, n. 12225; Cass. 31.10.2016, n. 22099; Cass. del 31/10/2018, n. 27838).
Le suddette disposizioni vanno lette anche tenendo conto dell’art. 21, comma 3, del d.P.R. n. 131 del 1986, che consente l’esonero espresso da autonoma imposizione di accolli di debiti connessi ad una cessione, in quanto già tassati sotto forma di corrispettivo della cessione, essendo inclusi nel calcolo della base imponibile. Ne consegue che mentre le passività aziendali di cui all’art. 2560 cod. civ., inerenti all’esercizio di attività di impresa, vanno scomputate dal calcolo della base imponibile, gli accolli di debiti diversi vanno, invece, inseriti nel medesimo calcolo.
15. Nel caso di specie, l’ufficio ha disconosciuto l’effettività del debito ceduto verso le banche, assumendone -nella parte conclusiva -la non inerenza all’azienda ceduta, tanto da qualificarlo come accollo di debiti, affermando tuttavia, che trattasi di operazioni relative alla gestione dell’azienda ceduta ed enunciando, peraltro, quale premessa applicabile alla valutazione del passivo in genere, il principio – che non trova riscontro nella normativa che disciplina le cessioni RAGIONE_SOCIALE aziende -che .
L’affermazione, che segue l’accertata inerenza del debito verso gli istituti di credito, per cui dette operazioni non potevano essere considerate deducibili in quanto non inerenti, contraddice la premessa dell’avviso, laddove l’ufficio ha verificato che i debiti, invece, risultavano correlati all’attività aziendale e relativi ai conti intestati alla società cedente.
15.1 In altri termini, la non inerenza dei debiti verso le banche non appare elemento inferibile con certezza dall’atto impositivo opposto, ancorchè confermato dalla CTR che si è limitata ad
aderire alla tesi ambigua della non inerenza di dette passività, smentita dalla rilevazione da parte dello stesso Ufficio che le operazioni relative all’assunzione di detti debiti concernevano l’attività aziendale ed erano riconducibili ai conti correnti intestati all’azienda cedente.
16.Quanto alle altre passività verso fornitori escluse perché eccedenti l’attivo, il d.P.R. 131/1986 non individua l’eccedenza quale parametro per calcolare o meno le passività nella base imponibile, determinando la base imponibile solo sul criterio della inerenza all’attività aziendale RAGIONE_SOCIALE passività.
L’atto impositivo opposto -che si fonda sulla asimmetria numerica tra poste dell’attivo e la posta del passivo relativa ai debiti verso banche e verso fornitori -non risulta fondata su alcun coerente ragionamento argomentativo; l’accertamento operato dall’ufficio e confermato dai giudici di secondo grado consiste in realtà in un disconoscimento di una parte di una posta passiva rispetto all’attivo.
Sennonchè, detta apparente disarmonia, che in realtà non viola alcun criterio ragionieristico o legale, non esclude l’inerenza dei debiti, qualunque valore ad essa voglia attribuirsi (cfr. da ultimo Cass., ord. n. 450 del 2018), né l’inerenza sussiste solo allorquando gli investimenti ovvero le passività siano riferibili a operazione idonee a produrre reddito, poiché la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sé, ma all’oggetto dell’impresa (costante in tal senso la giurisprudenza, anche se con riferimento all’inerenza dei costi: Cass. 12730/2018; Cass. n. 10269/2017; Cass. n. 3746/2015; Cass. n. 21184/2014; Cass. n. 7701/2013).
Diverso sarebbe stato se i giudici di appello avessero escluso l’inerenza RAGIONE_SOCIALE passività in quanto le perdite erano state originate da investimenti o operazioni estranei all’attività imprenditoriale
della società ovvero avessero illustrato le ragioni per le quali hanno ritenuto che le poste passive ( costituite dalle perdite da investimenti) non avessero alcuna correlazione con l’attività aziendale e non fossero pertanto inerenti all’azienda ceduta, perché non funzionalmente né direttamente connesse ad esso. In base al combinato disposto degli artt. 51, comma 4, 43, comma 2 e 21, comma 3, citati, la determinazione della base imponibile è stabilita alla luce del criterio della inerenza dei debiti; tant’è che Cass. del 17 gennaio 2018, n. 979 ha evidenziato, sebbene con riferimento al valore dell’avviamento, «come dall’articolo 51 cit. non possa trarsi alcun decisivo elemento per affermare che l’avviamento incida sul valore dell’azienda trasferita solo se, ed in quanto, di segno positivo. Al contrario, essendo la norma finalizzata a garantire che l’imposta di registro venga applicata su una base imponibile il più possibile conforme al valore dell’azienda in condizioni di libero mercato (chè anche in ciò si attua, e certo non ultimo, il principio di capacità contributiva), si deve ritenere che in essa trovi rilevanza anche quell’avviamento che -avendo segno negativo -sia dalle parti computato a riduzione del prezzo di cessione. Il quale risulterà in tal maniera inferiore -senza con ciò necessariamente rappresentare un valore non rispondente alla realtà ma, anzi, proprio per accostarsi alla più corretta valorizzazione di mercato -alla mera sommatoria algebrica di valore dei cespiti patrimoniali attivi e passivi costituenti l’azienda ceduta».
Dirimente è la circostanza che l’articolo 51, 4^ comma cit., preveda -ai fini della stima del valore dell’azienda -la decurtazione RAGIONE_SOCIALE passività già formatesi, e come tali risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa (salvo impegno di estinzione dell’alienante). Ciò perché, una cosa sono le passività già prodottesi, rilevanti quali componenti patrimoniali negative incluse nella sommatoria di valore RAGIONE_SOCIALE singole poste, ed altra le perdite future; invece rilevanti, sul piano tipicamente proiettivo
dell’avviamento, per giustificare la pattuizione di un prezzo di cessione collimante con il valore venale, ancorchè inferiore alla somma algebrica RAGIONE_SOCIALE singole componenti aziendali, comprese le passività già conclamate.
16.1. Vanno dunque affermati i seguenti principi secondo i quali a):«l’inerenza RAGIONE_SOCIALE passività non sussiste solo allorquando gli investimenti ovvero le passività siano riferibili a operazione idonee a produrre reddito, poiché la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sé, ma all’oggetto dell’impresa»; b) -«l’art. 50 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, interpretato alla luce della disciplina comunitaria di cui costituisce attuazione (il riferimento è alla Direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969, ma è estensibile alla Direttiva n. 08/7/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, che costituisce “rifusione” della precedente e RAGIONE_SOCIALE sue modificazioni), impone che la base imponibile vada determinata sulla base del valore dei beni o diritti conferiti al netto RAGIONE_SOCIALE passività e degli oneri “inerenti” al bene o diritto trasferito, con esclusione RAGIONE_SOCIALE passività che non sono collegate all’oggetto del trasferimento».
17. Ne consegue la correttezza della motivazione della CTR nella parte in cui ha incluso dalla base imponibile i debiti verso fornitori, in quanto iscritti regolarmente nella contabilità della società e rispetto ai quali l’ufficio non ne ha contestato l’inerenza all’azienda né nell’atto impositivo opposto né durante il giudizio di merito e laddove ha escluso i debiti verso corrispondenti in quanto non corroborati da idonea documentazione contabile che riscontrasse il loro inserimento nella situazione patrimoniale dell’azienda, ratio decidendi non attinta dalle società.
Merita, peraltro, evidenziare, che, con riferimento a dette ultime passività le società non hanno fornito, nel giudizio di merito, la prova contraria del loro inserimento nelle scritture contabili obbligatorie.
In conclusione, va accolto per quanto di ragione il terzo motivo del ricorso principale, respinti i primi due motivi ed il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata. Inoltre, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., e il ricorso originario della contribuente deve essere accolto limitatamente alla esclusione dalla base imponibile dei debiti verso le banche (i debiti verso i fornitori sono già stati riconosciuti dalla CTR).
Sussistono i presupposti, tenuto conto della parziale reciproca soccombenza per compensare per la metà le spese del presente giudizio, che per la residua metà sono liquidate come da dispositivo secondo il principio della soccombenza. Le peculiarità processuali della vicenda giustificano invece la compensazione RAGIONE_SOCIALE spese relative ai gradi di merito.
La Corte
-accoglie la terza censura del ricorso principale respinti i restanti motivi ed il ricorso incidentale proposto dall’ente finanziario; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso RAGIONE_SOCIALE contribuenti limitatamente alla illegittima esclusione dei debiti verso le banche (i debiti verso i fornitori sono stati già inclusi nella base imponibile dalla CTR con la sentenza gravata) dalla base imponibile per il calcolo del valore del ramo d’azienda ceduto;
-condanna l’RAGIONE_SOCIALE alla refusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore RAGIONE_SOCIALE contribuenti che liquida in euro 3.000,00 (importo già commisurato sulla metà del complessivo compenso professionale), oltre 200,00 euro per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge; compensa la residua metà RAGIONE_SOCIALE spese di lite e le spese del giudizio di merito.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione