Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6575 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6575 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15460/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente e controricorrente incidentale-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Firenze INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME
(GNNSMN78M31F656B);
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PERUGIA n. 54/2023 depositata il 23/01/2023
e
sul ricorso iscritto al n. 15634/2023 R.G. proposto da:
COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in FIRENZE INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PERUGIA n. 52/2023 depositata il 23/01/2023.
Udita la relazione svolta nella udienza pubblica del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso, nel proc. RG 1546 0/2023, per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti l’ altro motivo e il ricorso incidentale e, nel proc. n. 15634/2023, per l’accoglimento del ricorso.
Sentiti l’avv. dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia e gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME per la società.
FATTI DEL PROCESSO
Con bollette doganali in data 13.3.2018 la NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE importava olio extravergine d’oliva di origine tunisina, scortato da documentazione del Paese di provenienza, che, introdotto in deposito doganale, veniva successivamente vincolato al regime di traffico di perfezionamento attivo (T.P.A.) in sospensione di dazi, sulla base di autorizzazione del l’Ufficio delle Dogane di Perugia che
prevedeva la manipolazione usuale del prodotto e la sua riesportazione, a condizione che il prodotto importato e quello riesportato fosse di qualità extravergine .
In data 16.4.2018 veniva prelevato un campione e, a seguito di controllo e analisi presso il Laboratorio Chimico delle Dogane di Roma, l’olio, classificato come extravergine di oliva, risultava non conforme, in quanto in base alla valutazione organolettica (c.d. panel test ) del campione, il prodotto doveva essere ascritto alla qualità olio d’oliva vergine, piuttosto che come extravergine. Richieste ed effettuate le controanalisi, ai sensi dell’art. 2 par. 2 Reg. CEE 2568/1991, da parte di laboratori accreditati dal C.O.I., veniva confermato, sempre sulla base della valutazione organolettica, il giudizio di non conformità dell’olio al dichiarato, da classificarsi come olio di oliva vergine.
Con separatati ricorsi la RAGIONE_SOCIALE ha impugnato sia il provvedimento di decisione n. 22559/RU del Direttore dell’Ufficio delle Dogane di Perugia, confermato in via definitiva dalla determina del Direttore Interregionale per la Toscana, la Sardegna e l’Umbria, con il quale l’Agenzia delle Dogane ha proceduto alla riclassificazione qualitativa del prodotto come olio d’oliva vergine sia il conseguente l’avviso di pagamento prot. n. 11731/RU per dazi e il correlato provvedimento di irrogazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 310 T.U.L.D..
Con riguardo all’impugnazione dell’ atto di classificazione doganale la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Perugia ha rigettato il ricorso della contribuente e la Corte di giustizia tributaria (CGT) di secondo grado dell’Umbria, con sentenza n. 52/2023, ha respinto l’appello.
Per quel che ancora interessa in questa sede, sulle questioni procedurali oggetto di gravame, la CGT ha osservato che non è prevista la consegna dei verbali relativi ai controlli e alle operazioni svolte – atti interni del procedimento amministrativo che la parte
comunque può sempre richiedere – e comunque il procedimento di accertamento doganale si era concluso con la sottoscrizione del c.d. verbale di controversia, ai sensi art. 65 d.P.R. n. 43/1973 (T.U.L.D.), consegnato alla parte, con indicazione degli elementi e documenti utilizzati nel giudizio di accertamento con, in allegato, i completi report di analisi; né può essere applicato l’art. 2 par. 2 del Reg. Cee 2568/1991, che dispone che almeno una delle due controanalisi, svolte a richiesta della parte, «deve essere effettuata da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio», perché il Paese produttore non fa parte dell’Unione Europea.
6. Quanto alle contestazioni del risultato e l’erroneità della classificazione della merce, ha respinto le critiche a priori sull’attendibilità dell’esame organolettico, valutazione già svolta dal legislatore comunitario nel momento in cui ha inserito tale analisi fra quelle necessarie per la classificazione della merce. Ha osservato, quindi, che gli elementi forniti dalla ricorrente non potevano inficiare le risultanze del panel : non le analisi eseguite prima dell’importazione da un laboratorio tunisino, essendo possibile una alterazione o modificazione del prodotto, successivamente all’analisi, nel corso del trasporto o a seguito delle operazioni di miscelazione consentite, né quelle eseguite per conto della parte, che avevano classificato l’olio come extravergine, perché secondo la norma di riferimento (art. 2, par. 2 e segg. del Reg. Ce 2568 citato) sono ‘le autorità nazionali’ (nel caso, l’Agenzia delle Dogane) e non le singole ditte ad individuare i panel di riferimento e ad incaricarli del test che va svolto secondo la procedura prevista dalla legge, che prevede la possibilità di difesa dalle richieste della p.a., considerato che -da un lato -tale possibilità viene riconosciuta al contribuente con lo stesso meccanismo delle due controanalisi di prova e -dall’altro lato che le controanalisi vengono svolte con procedura rigidamente
procedimentalizzate, a garanzia del contraddittorio, con la partecipazione del contribuente attraverso suoi esperti e la possibilità di sollevare obiezioni nel corso dell’effettuazione dell’analisi.
Con riferimento al ricorso contro l’avviso di pagamento e l’atto di irrogazione sanzioni, la CTP di Perugia ha accolto parzialmente il ricorso ed ha annullato il provvedimento di irrogazione delle sanzioni.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, con sentenza n. 54/2023, ha respinto sia l’appello principale della contribuente sia quello incidentale dell’Agenzia. Con riferimento all’appello principale, ha escluso l’ esimente per il pagamento dei dazi doganali, ai sensi dell’art. 119 Reg. UE 952/2013, perché non ricorreva un ‘errore’ delle autorità competenti: nella fattispecie il presunto errore non sarebbe stato compiuto né dall’autorità doganale italiana, né da quella tunisina, ma dal laboratorio che aveva effettuato le analisi nel paese di origine mentre il ‘certificato amministrativo di verifica della qualità emesso dalla Dogana tunisina’, che accompagnava la merce non era stato tradotto in lingua italiana, essendo presente un documento in arabo e parzialmente in francese che non risultava comprensibile e valutabile. Inoltre, non era stato nemmeno accertato che le analisi del prodotto effettuate prima della partenza non fossero corrette, e quindi che ci fosse stato un errore, dato che le analisi in Italia erano state effettuate a distanza di tempo dall’importazione, dopo che l’olio aveva subito manipolazioni autorizzate in regime di perfezionamento attivo. La Corte ha respinto anche i successivi motivi d’appello con cui la società contribuente aveva riproposto le censure relative alla legittimità dell’atto presupposto di riclassificazione dell’olio.
La Corte ha respinto anche l’appello incidentale con cui l’Agenzia delle Dogane ha chiesto la riforma della sentenza nella
parte in cui erano state annullate le sanzioni, ritenendo che nel caso in esame la società ricorrente avesse provato di avere fatto quanto era nelle sue possibilità, anche tenuto conto della sua capacità professionale e del grado di diligenza esigibile, per ritenere corretta al momento della importazione la corrispondenza dell’olio importato alla categoria dichiarata di olio extra vergine di oliva.
Con ricorso n. 15460/23 RG l’Agenzia delle dogane ha impugnato per cassazione la sentenza n. 54/2023 affidandosi a due motivi, ha resistito con controricorso la società che propone ricorso incidentale fondato su tredici motivi, al quale l’Agenzia ha resistito con controricorso.
Con ricorso n. 15634/23 RG la RAGIONE_SOCIALE ha impugnato per cassazione la sentenza n. 52/2023, affidandosi a sette motivi; ha resistito con controricorso l’Agenzia .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve disporsi, per evidenti ragioni di connessione, la riunione del procedimento n. 15634/23 RG al procedimento n. 15460/23 RG e deve trattarsi prioritariamente l’impugnazione contro la sentenza n. 52/2023.
RICORSO n. 15634/23 RG
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, comma 1ter.5, del D.L. n. 83/2012, nonché dell’Allegato XII del Regolamento C.E. n. 2568/1991, anche in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 115 c.p.c., laddove, con riferimento al rilievo che le analisi organolettiche di prima istanza svoltesi presso il Laboratorio delle Dogane di Roma erano prive di qualsivoglia verbalizzazione delle operazioni di analisi, circostanza denunziata dalla parte all’Amministrazione sin dalla fase dei controlli e delle analisi, i Giudici di secondo grado hanno statuito che non sarebbe previsto l’obbligo di consegnare alla parte il verbale redatto dal ‘capo panel ‘ durante lo svolgimento dell’analisi organolettica e che sarebbe
semmai onere della parte richiederne copia mediante istanza di accesso agli atti, facendo valere dinanzi al giudice amministrativo eventuali vizi del relativo diniego.
Con il secondo motivo , si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’esistenza di una formale richiesta da parte della Società all’Ufficio delle Dogane di Perugia di produrre il verbale della prova organolettica in prima analisi con esito di declassamento dell’olio . I Giudici d’appello hanno tralasciato di considerare l’esistenza di una esplicita richiesta stragiudiziale della società all’Ufficio delle Dogane di Perugia affinché esso producesse la verbalizzazione completa del panel test effettuato dal Laboratorio delle Dogane di Roma.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, paragrafo 2, del Regolamento C.E. n. 2568/1991 e degli artt. 1, 2, 9, 20, 22 e dell’allegato B, paragrafo I.A.a).i) dell’Accordo internazionale del 2015 sull’olio di oliva e le olive da tavola, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 28 ottobre 2016 (L. n. 293/4) a seguito della Decisione U.E. 2016/1892 del Consiglio del 10 ottobre 2016, relativa alla firma e all’applicazione provvisoria da parte degli Stati membri dell’U.E. del predetto Accordo internazionale a decorrere dal 1° gennaio 2017, laddove i Giudici d’appello hanno escluso la necessità, ai fini della validità dei test di assaggio commissionati dall’Amministrazione doganale, che almeno una delle due controanalisi organolettiche venga affidata allo ‘ Stato membro di produzione dell’olio ‘ (nel nostro caso, la Tunisia). Si osserva che l’Unione Europea (in rappresentanza di tutti i suoi Stati membri produttori di olio d’oliva) e la Tunisia aderiscono entrambe al Consiglio Oleicolo Internazionale e che la normativa promanante da tale organizzazione internazionale -tra cui, per quanto specificamente rileva, la norma C.O.I./T.20/Doc. n.
15/Rev.7 (anche nelle versioni Rev.8 e Rev.9), di tenore pressoché analogo all’art. 2, paragrafo 2, del Regolamento C.E. n. 2568/1991 -vincola i suddetti Stati. Questa normativa all’art. 10.4, ultimo paragrafo, dispone: « Quando il panel non confermi la dichiarazione della categoria di olio di oliva sotto il profilo delle sue caratteristiche organolettiche, a richiesta dell’interessato le Autorità nazionali o i loro rappresentanti incaricano, senza alcun ritardo, altri panel di effettuare due controanalisi, di cui almeno una deve essere eseguita da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio ».
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., con riferimento all’ulteriore vizio procedimentale consistente nell’avvenuto decorso, tra il prelievo dei campioni e quello dell’arrivo degli stessi al laboratorio in cui è stato svolto il primo panel test , di un termine maggiore rispetto a quello di cinque giorni previsto tra la legge. Sin dal ricorso introduttivo, la contribuente aveva evidenziato come la prova organolettica di prima istanza fosse affetta da un ulteriore vizio procedimentale, consistente nel decorso di un termine superiore rispetto a quello che, ai sensi di legge, può intercorrere tra il prelievo del campione e l’arrivo del campione medesimo presso il laboratorio in cui è svolto il test di assaggio. I Giudici d’appello non si sono pronunciati su tale doglianza, con conseguente nullità in parte qua della sentenza di secondo grado.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, paragrafo 2, del Regolamento C.E. n. 2568/1991, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. e con gli artt. 115 e 116 c.p.c., perché la pronuncia d’appello , in violazione delle norme in rubrica, tratta, di fatto, la prova organolettica svolta nel rispetto dello ‘schema procedurale’ delineato dal legislatore comunitario alla stregua di
una vera e propria prova legale, che, come tale, non ammette una prova contraria che esuli dai passaggi ‘rigidamente procedimentalizzati’ dalla stessa disciplina sovranazionale. Ciò si evince tanto dal punto della sentenza dove viene affermato che il contribuente avrebbe potuto sollevare eccezioni durante lo svolgimento delle controanalisi, come se successivamente tale possibilità fosse preclusa, quanto dall’ulteriore passo della pronuncia in cui viene sostenuto che le analisi organolettiche « ai sensi di legge » dovrebbero « necessariamente prevalere » su quelle commissionate privatamente dal contribuente nel tentativo di offrire la prova contraria. Queste ultime sarebbero irrilevanti, solo perché « effettuate … al di fuori dello schema procedurale individuato dal legislatore comunitario ». Così opinando, il Collegio regionale ha però considerato come facenti piena prova elementi probatori soggetti invece a valutazione, recependoli senza un effettivo apprezzamento critico e senza prendere in considerazione gli elementi di segno contrario offerti dalla società.
6.1. Per altro verso, i Giudici d’appello , nella parte in cui sostengono che anche le analisi effettuate dalle Autorità tunisine sul prodotto prima dell’importazione non potrebbero avere rilevanza, « considerato che è senz’altro possibile una alterazione o modificazione del prodotto, successivamente all’analisi, nel corso del trasporto o a seguito delle operazioni di miscelazione », hanno violato pure l’art. 115 c.p.c., dato che tale cenno alla possibile alterazione o modificazione del prodotto si riduce a una mera illazione e si fonda su prove inesistenti.
Con il sesto motivo si deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza perché fornita di motivazione meramente apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del d.lgs. n. 546/1992, degli artt. 112, 132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e dei principi generali
sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, della Costituzione, laddove i Giudici d’appello sostengono che la contribuente non avrebbe « prodotto alcuna prova in grado di inficiare il risultato del panel test », dato che quest’ultimo « è contrastato solo con altre analisi, effettuate però al di fuori dello schema procedurale individuato dal legislatore comunitario ». Così esprimendosi, però, il Collegio regionale non ha esposto alcuna effettiva motivazione circa l’asserita insussistenza di prove in grado di inficiare l’esito del panel test. Aggiunge la contribuente che, oltre alle analisi organolettiche svolte privatamente, erano state addotte a dimostrazione dell’inattendibilità dei test di assaggio effettuati dall’Amministrazione doganale anche altri elementi, tra i quali le risultanze delle analisi chimiche e organolettiche svolte dall’Autorità doganale tunisina al momento dell’esportazione verso l’Italia, la coerenza tra il costo sostenuto dalla Società per l’acquisto dell’olio e il prezzo medio di mercato dell’olio extravergine e, infine, la difformità tra i presunti difetti rilevati nelle due controanalisi. Inoltre, è imperscrutabile la ragione per cui le analisi affidate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli dovrebbero « necessariamente prevalere » su quelle scaturite dall’iniziativa del contribuente. Al contrario, è logicamente irrilevante, ai fini della concreta attitudine dimostrativa della singola prova organolettica, che essa ricada tra quelle rese ‘necessarie’ dalla norma comunitaria in sede di analisi e di eventuale controanalisi oppure che, invece, sia facoltativamente commissionata dal contribuente; oltretutto, come già dedotto con precedente censura, ritenere diversamente equivarrebbe a trattare il procedimento probatorio delineato dalla norma alla stregua di una prova legale, contrariamente al consolidato orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità.
Con il settimo motivo si deduce in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, che, se effettivamente valutati, avrebbero disvelato l’inattendibilità delle prove organolettiche effettuate dall’Agenzia delle Dogane, ossia: i) la congruità, rispetto al prezzo di mercato dell’olio extravergine, del costo sostenuto per l’acquisto dell’olio tunisino; ii) la difformità tra i presunti difetti dell’olio rilevati nelle due controanalisi e la mancata indicazione specifica del presunto difetto in sede di prima analisi; iii) gli esiti delle analisi condotte privatamente da COGNOME presso laboratori di analisi accreditati, nient’affatto valutati dai Giudici d’appello , anche sul falso presupposto giuridico della presunta irrilevanza di dette analisi ‘private’ nell’ambito della procedura dettata dalla legge. La pronuncia d’appello è inficiata dall’omesso esame delle circostanze indicate nella rubrica del presente motivo, deponenti per la natura extravergine dell’olio di oliva importato da COGNOME e per la conseguente inattendibilità delle risultanze dei panel test svolti in sede di prima analisi e di controanalisi. Particolarmente significativo si palesa, soprattutto, l’omesso esame degli esiti delle analisi organolettiche commissionate privatamente dalla contribuente, della cui esistenza i Giudici d’appello danno conto, senza però analizzarne le risultanze, trincerandosi dietro la loro presunta irrilevanza già sotto il profilo giuridico, perché non previste dal regolamento comunitario in tema di panel test.
Va premesso che l’art. 2 par. 1 e 2 del Regolamento n. 2568 del 1991 come modificato dal Regolamento esecutivo (UE) n. 1348/2013 prevede che «1. Le caratteristiche degli oli figuranti nell’allegato I sono determinate in base ai seguenti metodi di analisi: (..) i) per la valutazione delle caratteristiche organolettica degli oli d’oliva vergini, il metodo di cui all’allegato XII (..) 2. La verifica delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini da parte delle autorità nazionali o dei loro rappresentanti è
effettuata da panel di assaggiatori riconosciuti dagli Stati membri. Le caratteristiche organolettiche di un olio, ai sensi del primo comma, si considerano conformi alla categoria di olio di oliva dichiarata se il panel di assaggiatori riconosciuto dallo Stato membro ne conferma la classificazione. Qualora il panel non confermi la categoria dichiarata, sotto il profilo delle sue caratteristiche organolettiche, a richiesta dell’interessato le autorità nazionali o i loro rappresentanti incaricano altri panel riconosciuti di effettuare quanto prima due controanalisi, di cui almeno una deve essere effettuata da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio. Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata. In caso contrario il costo delle controanalisi è a carico dell’interessato» .
9.1. L’art. 1, par. 1, del Reg. citato, nel testo introdotto dal Reg. (CE) n. 1989/2003, stabilisce che « Sono considerati oli di oliva vergini ai sensi del punto 1, lettere a) e b), dell’allegato del regolamento n. 136/66/CEE gli oli le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate rispettivamente nei punti 1 e 2 dell’allegato I del presente regolamento ». Il citato punto 1 dell’Allegato I descrive esattamente le caratteristiche fisico -chimiche (da accertarsi mediante analisi chimiche di laboratorio), nonché quelle organolettiche (mediana del difetto =0, mediana del fruttato >0) che la partita di olio in considerazione deve possedere per essere catalogata come extravergine.
9.2. Il metodo del panel test , utilizzato per la verifica delle qualità organolettiche dell’olio, è disciplinato dall’art. 2, par. 2, del Regolamento (e dall’Allegato XII), ed è stato introdotto nella vigente conformazione (ossia, con la costituzione di un panel di assaggiatori, competendo tale valutazione, in precedenza, ad un solo analista, almeno in prima battuta) dal Reg. (CE) n. 796/2002. Ciò perché, come si evince dal quinto considerando, « In base alle
esperienze maturate, il Consiglio oleicolo internazionale ha elaborato un nuovo metodo per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini. Questo metodo si è rivelato più attendibile e semplice di quello attualmente previsto dall’allegato XII del regolamento (CEE) n. 2568/91. È opportuno quindi sostituire il metodo previsto all’allegato XII con il nuovo metodo per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini ». Inoltre (sesto considerando) « Ai fini dell’applicazione del nuovo metodo di valutazione organolettica è necessario prevedere una procedura di arbitrato in caso di contrasto tra la categoria dichiarata e quella attribuita dal panel riconosciuto che esegue la valutazione ».
9.3. Dal sistema sommariamente delineato emerge che il combinato disposto del punto 1, lett. a), dell’Allegato al Regolamento (CEE) n. 136/1966, degli artt. 1 e 2 del Regolamento (CEE) n. 2568/1991 e successive mod., nonché dell’Allegato XII a quest’ultimo, delinea normativamente le caratteristiche dell’olio di oliva extravergine, stabilendo che esso deve rispondere a determinati requisiti fisico -chimici ed organolettici, ossia, quanto a questi ultimi, a specifiche caratteristiche apprezzabili dall’uomo per via sensoriale e, perciò, non oggettivamente certificabili. In altre parole, affinché in ambito UE una partita di olio d’oliva possa fregiarsi della qualità extravergine, occorre non soltanto che essa rispetti i parametri fisico -chimici di cui all’Allegato I, punto 1, del Regolamento in discorso, ma che essa superi anche l’analisi organolettica di cui all’Allegato XII dello stesso. L’esito negativo anche solo di tale ultima indagine è sufficiente a catalogare il prodotto come « non conforme alla categoria dichiarata ». Quanto precede, peraltro, è del tutto in linea con la nozione commerciale di olio di oliva extravergine, attualmente tratteggiata dalla norma COI/T.15/NC n. 3/Rev. 12, emessa dal Consiglio Oleicolo Internazionale (C.O.I.), organizzazione intergovernativa nata sotto
il patrocinio dell’O.N.U. nel 1959, i cui membri -tra cui la UE e la stessa Tunisia -sono i Paesi produttori di olio di oliva su scala mondiale. Non è affatto casuale che, proprio al fine di rendere più efficaci e attendibili le valutazioni sensoriali in discorso, l’art. 2, par. 2, cit. è stato modificato dal Reg. (CE) n. 796/2002, che al quinto considerando fa esplicito riferimento al « nuovo metodo per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini » elaborato proprio dal C.O.I. In definitiva, la congiunta valutazione chimica ed organolettica dell’olio, ai fini che interessano, è indefettibile non solo nell’ottica normativa eurounitaria, ma prima ancora su base convenzionale, nel contesto internazionale del settore oleicolo (Cass. n. 13081 del 2020). Pertanto, non può prescindersi, nella definizione dell’olio di oliva extravergine, da una valutazione sensoriale, ovviamente demandata al fattore umano.
9.4. Questa normativa non solo regolamenta la valutazione organolettica secondo un preciso e rigido schema procedimentale ma fissa anche le regole relative alla valutazione del suo risultato:
come si ricava dal paragrafo 1 dell’art. 2, la valutazione organolettica deve avvenire tramite i metodi previsti dall’Allegato XII;
gli esiti della valutazione non lasciano spazio per diversi e ulteriori accertamenti: a) in caso di conferma o, per così dire, di esito positivo del panel test la norma pone una presunzione di conformità (« le caratteristiche organolettiche di un olio, ai sensi del primo comma, si considerano conformi alla categoria di olio di oliva dichiarata se il panel di assaggiatori riconosciuto dallo Stato membro ne conferma la classificazione») che non prevede prova contraria, perché «l’accertamento delle caratteristiche degli oli di cui all’allegato deve avvenire tramite i metodi previsti », con esito, in questo caso, favorevole all’importatore; in caso di esito negativo resta la possibilità delle controanalisi, prevedendosi che « le
caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata». Il che significa, però, che in caso di esito negativo, anche di uno solo dei test di controanalisi, nessuna altra prova può essere fornita per dimostrare la conformità, ponendosi al di fuori dello schema di prova tipizzato, secondo cui solo ‘le due controanalisi’ effettuate, su richiesta dell’interessato, da parte dell’autorità nazionale o dai suoi rappresentanti, non altre, possono accertare la conformità del prodotto alle caratteristiche dichiarate.
Tanto premesso, il primo motivo è inammissibile e comunque infondato.
10.1. La CGT sulla questione ha motivato osservando che la normativa non prevede l’obbligo di consegnare alla parte il verbale redatto dal ‘capo panel ‘ nello svolgimento delle analisi organolettiche, costituente atto interno, che tutti i report delle analisi erano stati consegnati alla parte in sede di sottoscrizione del verbale di controversia doganale e che la Società avrebbe comunque potuto richiedere copia del verbale di analisi mediante istanza di accesso agli atti, impugnando l’eventuale diniego dinanzi al Giudice amministrativo per farne valere eventuali profili di illegittimità.
10.2. La ricorrente, argomentando sulla censura, osserva che in realtà aveva inteso dolersi « non (soltanto) della mancata consegna del verbale di analisi, bensì della stessa inesistenza -o, comunque, della non provata esistenza -del verbale medesimo, dato che quest’ultimo non era stato neppure prodotto in giudizio da controparte, cui spettava l’ onere di dimostrare al Giudice tributario la puntuale e corretta verbalizzazione della prova organolettica da parte del capo panel» , aggiungendo che la mancanza del verbale determinerebbe invalidità del test ai sensi dell’art. 43, comma 1ter .5, del D.L. n. 83/2012. In questo modo, però, la censura, da un lato, devia dal paradigma della violazione di legge per introdurre un
profilo di vizio motivazionale, ponendo u n problema di interpretazione della domanda data dal giudice di merito che non è sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio della motivazione e nei ristretti limiti del vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 34762 del 2024; Cass. n. 2373 del 2008); dall’altro, introduce una questione che ha carattere di novità, non risultando che fosse stata eccepita, tra i motivi del ricorso introduttivo, l’invalidità del test per inesistenza del verbale.
10.3. In ogni caso, la deduzione dell’invalidità del test di prima istanza, in mancanza dell’ostensione del verbale delle operazioni, appare infondato.
10.3.1. Sul piano della normativa comunitaria, il punto 7.1. dell’Allegato XII al Reg. CE n. 2568/91 prevede che il capo panel « Redige un rendiconto relativo agli aspetti sopra citati, in cui dichiara che la prova si è svolta nel rispetto delle condizioni previste » senza prescrivere specifiche formalità né prevedere un obbligo di consegna dello stesso alla parte, rimanendo i risultati del rapporto di prova a sua disposizione, ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge 241/90.
10.3.2. Nel diritto interno, l’art. 43, comma 1 ter.5 del d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134 (nella versione vigente ratione temporis , come modificato dall’art. 18 della legge del 30/10/2014 n. 161), dispone che: « Ai fini della validità delle prove organolettiche è redatto un verbale dal quale devono risultare i seguenti elementi: a) numero del verbale; b) data e ora del prelevamento dei campioni; c) descrizione delle partite di olio, con riferimento al quantitativo, alla provenienza del relativo prodotto, alla tipologia, ai recipienti; d) nominativo del capo del comitato di assaggio responsabile della preparazione e della codificazione dei campioni ai sensi dell’allegato XII in materia di valutazione organolettica dell’olio di oliva vergine, di cui al regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione, dell’11 luglio
1991, e successive modificazioni; e) attestazione dei requisiti dei campioni di cui al comma 1 -ter.2; f) nominativi delle persone che partecipano all’accertamento come assaggiatori; g) dichiarazione attestante il rispetto delle condizioni per intervenire in una prova organolettica di cui al comma 1 -ter.3; h) orario di inizio e di chiusura della procedura di prova ». Tale disposizione però si applica alle analisi organolettiche effettuate sugli « oli di oliva extravergini che sono etichettati con la dicitura “Italia” o “italiano”, o che comunque evocano un’origine italiana …» La norma è, dunque, come da titolazione, volta a tutelare specificamente il Made in Italy. Ai sensi dell’art. 43 1 -quater, poi, «per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale ».
10.4. Posto quanto sopra, il giudice d’appello ha correttamente ritenuto che l’obbligo di consegnare il rendiconto non fosse previsto dal Reg. CE n. 2568 del 1991 né tantomeno sanzionata la mancata consegna dello stesso, fatta salva la facoltà della parte di richiederne copia al Laboratorio di analisi (ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge n. 241/90), richiesta nella specie non effettuata dalla società -secondo quanto affermato dalla sentenza con una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità. In ogni caso, l’invalidità del test di prima istanza sarebbe irrilevante perché non vi è stata conferma della classificazione neppure da parte di una delle due controanalisi, cosicché comunque « le caratteristiche organolettiche dell’olio non possono considerarsi conformi alla categoria di olio di oliva dichiarata».
11. Il secondo motivo è inammissibile.
11.1. Ricorre una c.d. ‘doppia conforme’ – che preclude l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., salva la dimostrazione che le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado siano tra
loro diverse (cfr., tra le ultime, Cass. n. 32019 del 2024) – e, comunque, la circostanza dedotta (secondo cui vi era stata formale richiesta all’Amministrazione del verbale relativo al primo test) non ha carattere di ‘fatto storico decisivo’ (come richiesto in relazione alla censura ex n. 5 dell’art. 360 comma 1 c.p.c., per tutte, Cass. n. 17005 del 2024); infatti, come risulta dalla motivazione della CGT sulla questione, la decisione si regge su una pluralità di argomenti che non hanno omesso l’esame della circostanza evidenziata, in riferimento alla quale si è segnalato che il rimedio era costituito dal ricorso al giudice amministrativo in caso di diniego.
12. Il terzo motivo è inammissibile e comunque infondato.
12.1. Della questione questa Corte si è già occupata, rigettandola con una duplice motivazione: in primo luogo, si è osservato che quando si prevede che delle due controanalisi «almeno una deve essere effettuata da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio», la normativa si riferisce agli Stati membri dell’Unione e tale non è, nel caso di specie, il Paese produttore (la Tunisia), nei confronti della quale non può valere una normativa interna dell’Unione (Cass. n. 18748 del 2020; Cass. n. 13081 del 2020; Cass. n. 24994 del 2023); inoltre, anche nella prospettiva indicata dalla ricorrente, « l’esito non potrebbe comunque essere favorevole alla società, in quanto lo stesso art. 2, par. 2, cit., prevede che «Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata» (Cass. n. 18748 del 2020). Pertanto, la conferma del degradamento proveniente anche da un solo laboratorio non avrebbe comunque consentito il ribaltamento dell’accertamento doganale.
12.2. La questione è riproposta sotto un diverso profilo che non supera la seconda ratio innanzi evidenziata ed è pure infondato perché la norma invocata («….. di cui almeno una deve essere
eseguita da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio ») non prevede che uno dei due panel sia ‘dello’ Stato di produzione dell’olia ma sia riconosciuto ‘dallo’ Stato produttore: la partecipazione tanto dell’Italia quanto della Tunisia al C.O.I. vincola entrambe al riconoscimento dei panel di altro Stato membro accreditati dal C.O.I.
Il quarto motivo è infondato in quanto non ricorre un omesso esame ma un rigetto implicito della questione, essendo la decisione assunta dalla CGT in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, così da comportarne logicamente il rigetto (Cass. n. 12652 del 2020). La questione dell’invalidità della prova per mancato rispetto del termine di cinque giorni è pure infondata nel merito. L’art. 2 par. 3, secondo comma, del Regolamento prevede che « Fatte salve le disposizioni della norma EN ISO 5555 e del capitolo 6 della norma EN ISO 661, i campioni prelevati sono messi quanto prima al riparo dalla luce e da fonti di calore elevato e sono inviati al laboratorio per le analisi entro il quinto giorno lavorativo successivo a quello del prelievo; altrimenti i campioni sono conservati in modo da evitarne il degrado o il danneggiamento durante il trasporto o lo stoccaggio in attesa di essere inviati al laboratorio» . L’avverbio ‘altrimenti’ fa comprendere che il termine di cinque giorni è ordinatorio e non perentorio, e non è condizione di validità della prova, indicandosi le cautele da osservare nel caso in cui il termine non venga rispettato.
Il quinto, il sesto e settimo motivo possono essere trattati unitariamente perché gravitano tutti intorno al medesimo tema, quello del ruolo del giudice rispetto alla valutazione organolettica e della tutela dell’operatore. Essi sono per un verso inammissibili e per altro verso infondati.
14.1. I motivi sono inammissibili in primo luogo perché non colgono il senso del decisum che è conforme al quadro normativo regolamentare sopra esposto.
14.1.1. La CGT ha trattato la valutazione organolettica svolta proprio alla stregua di una prova tipizzata, svolgendo il controllo che la normativa le consente: cioè ha valutato, in concreto, il procedimento espletato, alla luce delle eccezioni sollevate dal ricorrente, e ha concluso per la correttezza del procedimento, così recependo il suo risultato, anche all’esito delle due controanalisi, che avevano confermato la non conformità dello stesso al dichiarato. Correttamente ha escluso la valenza di prova a contrario delle certificazioni relative alle analisi commissionate dalla parte contribuente (per quanto svolte da laboratori ‘pubblici’), atteso che l’esatta corrispondenza della qualità del prodotto importato e di quello riesportato può essere certificata, in forza della normativa comunitaria, solo da laboratori siti negli Stati membri (v. nello stesso senso, Cass., n. 18748 del 2020) incaricati dalle ‘Autorità nazionali’ in base alla procedura, nel contraddittorio con la parte interessata, puntualmente disciplinata dall’art. 2, par. 2, del Regolamento (CEE) n. 2568/1991 e dall’Allegato XII, che prevede, al suo interno qualora il panel di prima istanza non confermi la categoria dichiarata, l’incarico da parte delle autorità nazionali (o di loro rappresentanti), a richiesta dell’interessato, di altri panel riconosciuti per l’effettuazione di due controanalisi e, in ogni caso, la possibilità da parte dell’operatore, sempre all’interno della procedura tipizzata, di sindacare le modalità di svolgimento della prova medesima.
14.1.2. Altrettanto dicasi per gli ulteriori argomenti di prova proposti, che non sono idonei a dimostrare la conformità del prodotto alla categoria dichiarata atteso che « Le caratteristiche organolettiche di un olio, ai sensi del primo comma, si considerano conformi alla categoria di olio di oliva dichiarata se il panel di assaggiatori riconosciuto dallo Stato membro ne conferma la classificazione» ovvero, in caso di mancata conferma, « Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle
dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata».
14.1.3. Il quinto motivo, poi, è inammissibile laddove si censura la decisione con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. perché « In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione » (Cass. n. 1229/2019).
14.1.4. Il settimo motivo è inammissibile perché ricorre una ‘ doppia conforme ‘ e perché le circostanze in fatto evidenziate non costituiscono fatti storici decisivi. L a censura prevista dal novellato art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017); non possono considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base
delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022).
14.2. Il sesto motivo è pure infondato , atteso che il Giudice, invero, non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito (Cass. n. 12131 del 2023).
RICORSO n. 15460/23 RG
15. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce « violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi del punto 3 comma 1 dell’art. 360 cpc, per essere la Corte incorsa in contrasto con gli artt. 188 e 191 CDU» in quanto erroneamente la CGT aveva riferito l’importazione al deposito doganale in sospensione d’imposta mentre era al momento successivo del vincolo al regime di perfezionamento attivo che doveva essere riferito e verificato il rispetto degli obblighi e delle condizioni previsti per lo specifico regime e doveva essere accertata la qualità della merce dalla dogana italiana; era a quel momento, quindi, che andava verificata la ricorrenza dell’esimente ai fini delle sanzioni secondo la disciplina di cui all’art. 303 del T.U.L.D. e dal d.lgs. n. 471/1997 e dall’art. 10 l. n. 212/2000.
16. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma1 n. 3 c.p.c., « violazione degli articoli 2, par. 2 e segg. del Reg. Ce 2568/91, 119, 120,124 del codice doganale dell’unione 303 T.U.L.D. 6 DLGS 472.97 E 10 L 212.00 e 2697 del codice civile», perché erroneamente la CGT aveva riconosciuto la buona fede sulla base del risultato delle analisi effettuate presso il paese di esportazione; infatti, il regolamento n. 2568/91 impone allo
Stato membro dell’unione europea di verificare la qualità dell’olio in entrata mediante un panel di assaggiatori, sicché nessun effetto dispiega la certificazione dello Stato d’origine, ed incombe sull’operatore economico l’onere di dimostrare i presupposti della propria buona fede, cioè di un errore attivo che nemmeno usando la diligenza esattissima richiesta a un soggetto professionale e imprenditoriale sarebbe stato riconoscibile.
Il primo motivo è ammissibile, non difettando di chiarezza e specificità (come eccepito invece dalla contribuente), ed è pure fondato; il secondo motivo resta assorbito.
17.1. Va premesso che ai sensi dell’art. 79 par.1 lett. c) del reg. n. 952/2013/UE (CDU) sorge una obbligazione doganale all’importazione in seguito all’inosservanza di « una condizione fissata per il vincolo di merci non unionali a un regime doganale o per la concessione, in virtu’ dell’uso finale delle merci, di un’esenzione dai dazi o di un’aliquota ridotta di dazio all’importazione». Ai sensi dell’art. 79 par. 2, lett. b), il momento in cui sorge l’obbligazione doganale è quello in cui: « è stata accettata una dichiarazione in dogana che vincola le merci a un regime doganale, qualora si constati a posteriori che non era soddisfatta una condizione stabilita per il vincolo delle merci al regime in questione ..». Secondo l’art. 79 par. 4, « Nei casi di cui al paragrafo 1, lettera c), il debitore è la persona tenuta a rispettare le condizioni stabilite per il vincolo delle merci a un regime doganale o per la dichiarazione in dogana delle merci vincolate a tale regime doganale o per la concessione, a causa dell’uso finale delle merci, di un’esenzione dai dazi o di un’aliquota di dazio all’importazione ridotta. Quando una dichiarazione in dogana redatta per uno dei regimi doganali di cui al paragrafo 1, lettera c), e i dati richiesti ai sensi della normativa doganale relativa alle condizioni che disciplinano il vincolo delle merci a tale regime doganale forniti alle autorità doganali comportano la mancata riscossione totale o
parziale dei dazi all’importazione, è debitrice anche la persona che ha fornito i dati necessari a redigere la dichiarazione in dogana e che era o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità» .
17.2. In questo caso, l’obbligazione doganale azionata deriva dalla inosservanza di una condizione prevista per l’applicazione del regime doganale speciale del perfezionamento attivo, essendosi accertato che la merce importata non era conforme ai parametri previsti per la classificazione come olio extravergine d’oliva , che rientra tra le « condizioni stabilite per il vincolo delle merci» al regime del perfezionamento attivo.
17.3. Va altresì rammentato che l’ordinamento comunitario in materia doganale, pur armonizzato sul piano sostanziale, non lo è, al contrario, riguardo a quello sanzionatorio, demandato alla legislazione dei singoli Stati membri, comunque tenuti – in linea generale, allorquando manchi una disciplina comune – al rispetto dei principi comunitari di legalità, tassatività, proporzionalità ed effettività. Ciò valeva sotto la vigenza del CDC (reg. n. 2913/1992), che non conteneva alcuna regolamentazione relativa al piano sanzionatorio (Cass. n. 16625 del 2020; per la giurisprudenza unionale, si vedano, in particolare, Corte Giust. 8.5.2008, cause C-95/07 e C-96/07, RAGIONE_SOCIALE; C.G. 12.7.2012, causa C-284/11, RAGIONE_SOCIALE; C.G. 19.7.2012, causa C-263/11, Réollihs, C.G. 20.6.2013, causa C-259/12, Rodopi -M91; C.G. 17.7.2014, causa C- 272/13, RAGIONE_SOCIALE) ma continua a valere sotto la vigenza del CDU (reg. n. 952/2013), con la conseguenza che occorre riferirsi alla disciplina sanzionatoria dettata dagli artt. 302 ss. d.P.R. n. 43/1973 (T.U.L.D.), nonché dal d.lgs. n. 472/1997 e dall’art. 10 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) (v. Cass. n. 16665 del 2020).
17.4. Per l’inquadramento normativo del tema relativo alle sanzoni non può che farsi riferimento agli artt. 5, 6 e 10 del d.lgs.
n. 472/1997, corpus normativo – quest’ultimo – che, come è noto, è ispirato ai principi sanzionatori di matrice penalistica, già codificati nella legge n. 689/1981. Segnatamente, per quanto qui interessa, l’art. 5 introduce il principio di colpevolezza, sicché ciascuno risponde della propria azione o omissione, cosciente e volontaria, a titolo di dolo o colpa grave, che sussiste « quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari »; l’art. 6, poi, prevede quale causa di non punibilità l’errore sul fatto, quando la violazione ne sia conseguenza, sempre che l’errore non derivi da colpa. Occorre che « l’azione o l’omissione indicata dalla fattispecie sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, ma, una volta dimostrata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica, grava sul trasgressore l’onere di prova dell’assenza di colpa, in virtù della presunzione posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 » (Cass. n. 14030 del 2012; Cass. n. 13068 del 2011; Cass. n. 22329 del 2018).
17.5. Tanto premesso, la questione posta con il primo motivo, laddove distingue tra deposito doganale e sottoposizione al vincolo del perfezionamento attivo, quale primo momento in cui si può parlare di ‘importazione’ della merce con verifica delle condizioni per l’applicazione del regime speciale, è fondata dovendosi aver riguardo al regime del perfezionamento attivo a seguito della dichiarazione doganale, che costituisce il presupposto per l’applicazione delle sanzioni applicate ex art. 303 e segg. T.U.L.D.. I Giudici d’appello, invece, si sono limitati a valutare le circostanze esistenti al momento della introduzione della merce in Italia, osservando che la società ricorrente aveva « provato di avere fatto quanto era in lei, anche tenuto conto della sua capacità
professionale e del grado di diligenza esigibile, per ritenere corretta al momento della importazione la corrispondenza dell’olio importato alla categoria dichiarata: olio extra vergine di oliva» ; non solo « le analisi chimico-fisiche effettuate nel paese di produzione (come peraltro quelle poi effettuate in Italia) evidenziavano parametri propri di tale categoria ma anche il Panel Test eseguito nel paese di produzione presso un laboratorio accreditato RAGIONE_SOCIALE (organismo di cui fa parte anche la Tunisia) aveva evidenziato caratteristiche organolettiche proprie dell’olio extravergine» . Da ciò la CGT ha concluso che la società avesse « ragionevoli motivi per ritenere la corrispondenza dell’olio importato a quello dichiarato, tanto più che il prezzo pagato sembra rientrare in quelli praticati sul mercato per olio extravergine di oliva» .
17.6. La Corte non ha correttamente impostato la questione, laddove ha escluso la colpa dell’importatore dichiarante per il solo fatto che si era affidato alla documentazione formata nel Paese di origine, confermata dalle analisi commissionate dallo stesso importatore prima del trasporto in Italia, perché secondo la normativa unionale sopra riportata il dichiarante è tenuto al « rispetto delle condizioni stabilite per il vincolo delle merci» (v. art. 79 cit.), il che implica una responsabilità assai più estesa e una valutazione, ai fini dell’esonero dalla colpa, che non può limitarsi alla considerazione dei fatti precedenti all’introduzione della merce nel Paese perché ad essi sono seguiti sino al l’apertura del regime di perfezionamento una serie di operazioni (trasporto, conservazione e miscelazione) nella diretta responsabilità della NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, come riconosciuto dalla stessa Corte di Giustizia Tributaria che, pur tuttavia, non ne trae le conseguenze logiche e giuridiche corrette -laddove osserva che le difettosità rilevata a distanza di tempo dalle analisi compiute in Tunisia, la cui erroneità non era stata contestata dall’Ufficio né comunque accertata, poteva esser derivata da fatti successivi.
Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nulli tà della sentenza perché inficiata dalla violazione dell’art. 39, comma 1 -bis , del D.Lgs. n. 546/1992 in quanto i Giudici d’appello non hanno disposto la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato della controversia pregiudicante, sorta dall’impugnazione della decisione prot. n. 22559/RU.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c. – « oppure, laddove si ravvisasse una pur sintetica pronuncia, perché fornita di motivazione apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112, 132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, della Costituzione» -, in ordine alle censure, dedotte con il secondo e il terzo motivo d’appello , con le quali la contribuente si doleva dell’illegittimità del presupposto atto di declassamento dell’olio per inosservanza della procedura prevista dalla legge per l’analisi organolettica (c.d. panel test ) e dell’inattendibilità in concreto della medesima prova organolettica. Anche in caso di rigetto del primo motivo, la sentenza sarebbe comunque nulla per omessa pronuncia sulle doglianze con le quali la contribuente lamentava l’illegittimità del presupposto atto di riclassificazione dell’olio di oliva per violazione della procedura prevista dalla legge per lo svolgimento dell’analisi organolettica e l’inattendibilità in concreto della medesima analisi.
20. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, comma 1ter.5, del D.L. n. 83/2012, nonché dell’Allegato XII del Regolamento C.E. n. 2568/1991, anche in relazione all’art. 2697
c.c. e all’art. 115 c.p.c., laddove la CGT ha statuito che il Regolamento C.E. n. 2568/1991 non prevedrebbe l’obbligo di consegnare alla parte il verbale redatto dal ‘capo panel ‘ durante lo svolgimento dell’analisi organolettica e che sarebbe semmai onere della parte richiederne copia mediante istanza di accesso agli atti.
21. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’esistenza di una formale richiesta da parte della Società all’Ufficio delle Dogane di Perugia di produrre il verbale della prova organolettica in prima analisi con esito di declassamento dell’olio .
22. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, paragrafo 2, del Regolamento C.E. n. 2568/1991 e degli artt. 1, 2, 19, 20, 22 e dell’allegato B, paragrafo I.A.a).i) dell’Accordo internazionale del 2015 sull’olio di oliva e le olive da tavola, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 28 ottobre 2016 (L. n. 293/4) a seguito della Decisione U.E. 2016/1892 del Consiglio del 10 ottobre 2016, relativa alla firma e all’applicazione provvisoria da parte degli Stati membri dell’U.E. del predetto Accordo internazionale a decorrere dal 1° gennaio 2017, laddove la CGT ha escluso la necessità, ai fini della validità dei test di assaggio commissionati dall’Amministrazione doganale, che almeno una delle due controanalisi organolettiche venga affidata allo « Stato membro di produzione dell’olio », sulla considerazione che sia l’Unione Europea (in rappresentanza di tutti i suoi Stati membri produttori di olio d’oliva) sia la Tunisia aderiscono entrambe al Consiglio Oleicolo Internazionale e che la normativa promanante da tale organizzazione internazionale -tra cui, per quanto specificamente rileva, la norma C.O.I./T.20/Doc. n. 15/Rev.7 (anche nelle versioni Rev.8 e Rev.9), di tenore pressoché analogo
all’art. 2, paragrafo 2, del Regolamento C.E. n. 2568/1991 vincola i suddetti Stati.
23. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., con riferimento all’ulteriore vizio procedimentale, anch’esso determinante l’invalidità della prova organolettica svolta in sede di prima analisi, consistente nell’avvenuto decorso, tra il prelievo dei campioni e quello dell’arrivo degli stessi al laboratorio in cui è stato svolto il primo panel test , di un periodo superiore a quello massimo di cinque giorni previsto dalla legge.
24. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, paragrafo 2, del Regolamento C.E. n. 2568/1991, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. e con gli artt. 115 e 116 c.p.c., perché la CGT ha trattato, di fatto, la prova organolettica svolta nel rispetto dello ‘schema procedurale’ delineato dal legislatore comunitario alla stregua di una prova legale, che, come tale, non ammette una prova contraria che esuli dai passaggi ‘rigidamente procedimentalizzati’ dalla stessa disciplina sovranazionale, recependo i suoi risultati senza un effettivo apprezzamento critico e senza prendere in considerazione gli elementi di segno contrario offerti dalla società.
25. Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza perché fornita di motivazione meramente apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992, degli artt. 112, 132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, della Costituzione, laddove i Giudici d’appello , motivando per relationem con riferimento alla pronuncia resa nel giudizio sull’atto di declassamento, hanno affermato che la
contribuente non avrebbe « prodotto alcuna prova in grado di inficiare il risultato del panel test » , dato che quest’ultimo « è contrastato solo con altre analisi, effettuate però al di fuori dello schema procedurale individuato dal legislatore comunitario ». Così esprimendosi, però, il Collegio regionale non ha esposto alcuna effettiva motivazione circa l’asserita insussistenza di prove in grado di inficiare l’esito del panel test.
26. Con il nono motivo si deduce, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, che, se effettivamente valutati, avrebbero disvelato l’inattendibilità delle prove organolettiche effettuate dall’Agenzia delle Dogane, ossia: i) la congruità, rispetto al prezzo di mercato dell’olio extravergine, del costo sostenuto per l’acquisto dell’olio tunisino; ii) la mancata indicazione specifica del presunto difetto in sede di prima analisi; iii) gli esiti delle analisi condotte privatamente da COGNOME presso laboratori di analisi accreditati, nient’affatto valutati dai Giudici d’appello , anche sul falso presupposto giuridico della presunta irrilevanza di dette analisi ‘private’ nell’ambito della procedura dettata dalla legge.
27. Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’a rt. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza perché inficiata dalla violazione degli artt. 115, 116 e 122 c.p.c., essendosi i Giudici d’appello sostanzialmente rifiutati di prendere in considerazione le certificazioni rilasciate dalle Autorità -anche doganali -tunisine e attestanti la qualità extravergine dell’olio di oliva importato da Coricelli, sul presupposto che tale documentazione sarebbe stata prodotta in giudizio senza la traduzione in lingua italiana e non risulterebbe quindi ‘ comprensibile e valutabile ‘, siccome redatta ‘ in arabo e parzialmente in francese ‘, così violando le norme processuali censite in rubrica e il principio secondo cui ‘ deve recisamente escludersi che il giudice possa rifiutarsi di esaminare una prova documentale sol perché non tradotta ‘.
28. Con l’undicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), violazione e/o falsa applicazione degli artt. 119 e 120 del Regolamento U.E. n. 952/2013 , per aver negato la ricorrenza di un errore ‘ attivo ‘ da parte delle ‘ autorità competenti ‘, che può essere ‘ qualsiasi autorità ‘ -quindi, addirittura autorità diverse da quella doganale -‘ la quale, nell’ambito delle sue competenze, fornisce elementi rilevanti per la riscossione dei dazi doganali ed è quindi idonea a suscitare il legittimo affidamento del debitore ‘ e, quindi, anche il laboratorio ufficiale del Ministero dell’Agricoltura della Tunisia , accreditato presso il Consiglio Oleicolo Internazionale (di cui fa parte anche la Tunisia).
29. Con il dodicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza perché fornita di motivazione meramente apparente, in violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 del d.lgs. n. 546/1992, degli artt. 112, 132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sanciti dall’art. 111, commi 6 e 7, della Costituzione, laddove la CGT ha sostenuto, s empre con riferimento ai presupposti per l’applicabilità dell’art. 119 del Regolamento U.E. n. 952/2013, che « non risulterebbe accertato » che le analisi organolettiche effettuate sull’olio di oliva prima della partenza dalla Tunisia « non fossero corrette » e, quindi, « che ci sia stato un errore , dato che le analisi in Italia sono state effettuate a distanza di tempo dall’importazione, dopo che l’olio aveva subito manipolazioni autorizzate in regime di perfezionamento attivo », senza indicare gli elementi di prova da cui ha tratto il proprio convincimento circa l’asserita anteriorità delle ‘manipolazioni’ rispetto al campionamento e circa l’idoneità delle stesse a determinare persino una modifica della qualità complessiva dell’olio.
Con il tredicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c,, nullità della pronuncia per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere i Giudici regionali affermano che l’olio acquistato da COGNOME, che al momento dell’esportazione dalla Tunisia avrebbe potuto essere effettivamente extravergine (con conseguente insussistenza di un ‘errore’ esimente della autorità tunisina), potrebbe aver perso detta qualità e acquistato le deteriori caratteristiche del semplice olio ‘vergine’ a seguito delle miscelazioni con olio comunitario cui la Società era autorizzata; miscelazioni che, sempre secondo il Collegio d’appello , sarebbero avvenute prima che l’olio venisse campionato ed esaminato dall’Ufficio doganale di Perugia, così giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti, atteso che la stessa Amministrazione doganale resistente non ha mai fornito in giudizio alcun riscontro del fatto che le presunte miscelazioni sono avvenute prima del campionamento dell’olio da parte dell’Ufficio delle Dogane di Perugia; tanto meno l’Amministrazione ha chiarito come e perché dette miscelazioni (autorizzate fino all’aggiunta massima di un 3% di olio extravergine di origine comunitaria) potessero comportare il declassamento a ‘vergine’ dell’intero quantitativo risultante dalla miscelazione.
Il primo e il secondo motivo risultano inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse una volta disposta la riunione tra i due giudizi.
I motivi dal terzo al nono riproducono i medesimi motivi di cui al ricorso contro la sentenza n. 52/2023 e, per essi, valgono le motivazioni sopra esposte (parr. 9 -14).
I motivi dal decimo al tredicesimo, possono essere esaminati congiuntamente e sono, per un verso inammissibili, e, per altro verso, infondati.
33.1. Va premesso che anche in tema di perfezionamento attivo l’esimente della buona fede può astrattamente configurarsi,
affermandosi che « In tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220, comma secondo, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913 del 1992 12 N. 9383/17 R.G. (cosiddetto Codice doganale comunitario), ai fini dell’esenzione della contabilizzazione ‘a posteriori’, non ha valenza esimente ‘in re ipsa’, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore » (Cass. n. 33314 del 2019; v. anche Cass. n. 5518 del 2013 e, soprattutto, Cass. n. 4918 del 2013, sempre in tema di perfezionamento attivo).
33.1.1. L’art. 220 del CDC trova la disposizione corrispondente nell’art. 119 del CDU (v. Tavola di corrispondenza allegata al CDU e quella allegata al Reg. 450/2008), secondo cui « 1. In casi diversi da quelli di cui all’articolo 116, paragrafo 1, secondo comma, e diversi da quelli di cui agli articoli 117, 118 e 120 si procede al rimborso o allo sgravio dell’importo del dazio all’importazione o all’esportazione se, per un errore delle autorità competenti, l’importo corrispondente all’obbligazione doganale inizialmente notificata era inferiore all’importo dovuto, purché sussistano le seguenti condizioni: a) l’errore non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore, e b) il debitore ha agito in buona fede»; s econdo lo stesso art. 119 par. 3, poi, « Quando il trattamento preferenziale delle merci è concesso in base a un sistema di cooperazione amministrativa che coinvolge le autorità di un paese o di un territorio non facente parte del territorio doganale dell’Unione, il rilascio da parte di queste ultime di un certificato che si riveli inesatto costituisce un errore che non poteva
ragionevolmente essere scoperto ai sensi del paragrafo 1, lettera a). Il rilascio di un certificato inesatto non costituisce tuttavia un errore se il certificato si basa su una situazione fattuale inesatta riferita dall’esportatore, salvo se è evidente che le autorità che hanno rilasciato il certificato sapevano o avrebbero dovuto ragionevolmente sapere che le merci non soddisfacevano le condizioni per poter beneficiare del trattamento preferenziale. Il debitore è considerato in buona fede se può dimostrare che, per la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con diligenza per assicurarsi che fossero soddisfatte tutte le condizioni per il trattamento preferenziale».
33.2. La CGT ha osservato quanto segue: « la Corte ritiene che non sia dimostrato un errore dell’autorità doganale straniera e ciò a prescindere da ogni considerazione circa l’applicabilità dell’art. 119 reg. cee a paesi non membri. Peraltro non è nemmeno accertato che le analisi del prodotto effettuate prima della partenza non fossero corrette, e quindi che ci sia stato un errore, dato che le analisi in Italia sono state effettuate distanza di tempo dall’importazione, dopo che l’olio aveva subito manipolazioni autorizzate in regime di perfezionamento attivo» .
33.2.1. A fronte di questa motivazione sono inammissibili, perché non colgono la ratio decidendi della sentenza, le doglianze della ricorrente che insiste per la rilevanza della documentazione proveniente dalla Tunisia, attestante la qualità di olio extravergine d’oliva oggetto di importazione, lamentando che la CGT avrebbe rifiutato di esaminare la conforme certificazione dell’Autorità tunisina e avrebbe ritenuto provate le manipolazioni del prodotto, prima del campionamento, che avevano alterato natura e qualità dell’olio.
33.2.2. I Giudici d’appello, più che rifiutarsi di esaminare la certificazione dell’Autorità doganale straniera, ne hanno segnalato l’irrilevanza: anche ragionando sul presupposto che la certificazione
dell’Autorità tunisina asseveri che la merce esportata era olio extravergine d’oliva, correttamente osservano che non sono comunque dimostrati i presupposti dell’esimente. Atteso che quella certificazione si è comunque rivelata inesatta, sulla base delle valutazioni organolettiche svolte dai competenti organi dello Stato importatore per come stabilito dalla normativa comunitaria (reg. Cee n. 2568/91), era onere dell’importatore, da un lato, provare l”errore attivo’ dell’Autorità extra UE (cioè che « le autorità che hanno rilasciato il certificato sapevano o avrebbero dovuto ragionevolmente sapere che le merci non soddisfacevano le condizioni per poter beneficiare del trattamento preferenziale») -rimasto del tutto indimostrato, non essendosi neppure accertato che le analisi svolte in Tunisia non fossero corrette e, dall’altro, dimostrare di aver agito « per la durata delle operazioni commerciali in questione…con diligenza per assicurarsi che fossero soddisfatte tutte le condizioni per il trattamento preferenziale». Prive di rilievo, in questo senso, sono anche le questioni sulla prova circa le manipolazioni del prodotto prima del test , perché era comunque onere dell’importatore, per andare esente da responsabilità, dimostrare di aver agito con diligenza durante tutta la durata delle operazioni.
Conclusivamente, si deve accogliere il primo motivo di ricorso dell’Agenzia, assorbito il secondo, e si devono rigettare i ricorsi della società, cassando di conseguenza la sentenza n. 54/2023 con rinvio al giudice del merito.
p.q.m.
riuniti i giudizi indicati in epigrafe, accoglie il primo motivo di ricorso dell’Agenzia, assorbito il secondo, rigetta i ricorsi della società, cassa di conseguenza la sentenza n. 54/2023 con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 20/11/2024.