Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33779 Anno 2024
Oggetto: Tributi
Regime del perfezionamento
attivo- oli di oliva
vergini-
Prova organolettica- procedura rigidamente tipizzata dal legislatore comunitario
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33779 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al numero n. 18748 del ruolo generale dell’anno 20 22, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale su foglio separato allegato al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 176/06/2022, depositata in data 3 febbraio 2022, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20 novembre 2024 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Udita per la società ricorrente l’Avv.to NOME COGNOME e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli l’Avv.to dello Stato NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE, nel corso del 2015, effettuò quattro distinte operazioni doganali di importazione dalla Tunisia di merce dichiarata come ‘olio extravergine d’oliva”, olio scortato da documenti commerciali e certificatori che ne attestavano la corrispondenza alla categoria di “olio di oliva extravergine” secondo le norme COI (Consiglio oleicolo internazionale al quale aderisce anche l’unione europea). L’olio venne vincolato al regime di traffico di perfezionamento attivo (T.P.A.) ex artt. 114 e ss. del Reg. CEE n. 2913/1992 (C.D.C.), con sospensione dei diritti doganali fino alla successiva riesportazione verso Paesi extra UE, come da autorizzazioni dell’Ufficio delle Dogane di Pisa, sezione Operativa di Lucca, secondo cui il prodotto importato doveva essere confezionato in Italia per essere riesportato ‘per identità’ verso Paesi terzi .
1.1.A seguito di controlli effettuati su campioni prelevati al momento della riesportazione, mediante analisi di assaggio (c.d. panel test presso il Laboratorio Chimico di Verona), l’Ufficio ritenne la merce riesportata – pur presentante caratteri chimici propri della categoria olio extravergine d’oliva – non conforme
al dichiarato con conseguente declassamento dalla categoria doganale di olio extravergine d’oliva a quella di olio vergine d’oliva. A seguito di richiesta di RAGIONE_SOCIALE, vennero effettuate due controanalisi (presso il Laboratorio RAGIONE_SOCIALE di Città Sant’Angelo , Pescara e il Laboratorio RAGIONE_SOCIALE di Roma) che confermarono il giudizio delle analisi di prima istanza di non conformità delle caratteristiche del prodotto riesportato a quello dichiarato, pur rilevando nei campioni analizzati tipologie eterogenee di difetti (‘rancido’ , in un caso, e ‘riscaldo/morchia’ nell’altro) . Pertanto, sul presupposto della minore qualità della merce riesportata rispetto a quella importata, in contrasto con quanto autorizzato, la società venne ritenuta inadempiente al regime di perfezionamento attivo, con conseguente nascita dell’obbligazione doganale, ex art. 204 C.D.C.
1.2.Vennero, quindi, emesse dall’Ufficio delle Dogane di Pisa quattro determinazioni di qualificazione della merce come olio di oliva vergine in luogo del dichiarato olio extravergine di oliva, con conseguenziali atti di invito al pagamento di dazi doganali, Iva all’importazione , diritti per la relativa Stazione Sperimentale, interessi e atti di irrogazione delle relative sanzioni.
2.Avverso le suddette determinazioni e gli atti impositivi, la società propose ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pisa che, previa riunione, li accolse, con sentenza n. 32/03/2020, ri tenendo l’erroneità della riclassificazione doganale stante l’inattendibilità delle analisi organolettiche ( panel test ) compiute dall’Autorità doganale , essendo inficiate, da un lato, dai risultati delle analisi commissionate privatamente dalla società e, dall’altro, dagli esiti delle controanalisi che, sebbene concordi nel confermare il giudizio di non conformità del prodotto riesportato alla dichiarata categoria di olio extravergine di oliva, avevano rilevato difetti, di tipologia eterogenea, nei campioni verificati.
3. Avverso la sentenza di primo grado, l’Agenzia delle dogane propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana che, con sentenza n. 176/06/2022, depositata in data 3 febbraio 2022, lo accolse.
4. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR (richiamando i principi di diritto enunciati da Cass. n. 13081/2020; 18748/2020; 18749/2020; 33314/2019) ha osservato che: 1) era fondato il motivo di appello dell’Ufficio con cui si denunciava la non corretta interpretazione da parte della CTP dell’art. 2 del Reg. CEE n. 2568/91 atteso che il giudice di primo grado – a fronte del Reg. CEE n. 2568/91 (art. 2, par.2, collegato al par. 1, lett. i), che, ai fini della classificazione dell’olio come extravergine di oliva, dava pari rilievo, oltre alle caratteristiche chimiche di cui all’allegato 1, anche a quelle organolettiche accertate attraverso il c.d. panel test di cui all’allegato 12 – aveva ritenuto la prevalenza delle caratteristiche chimiche svalutando la rilevanza di quelle organolettiche in ragione di una asserita pregiudiziale valutazione di inattendibilità del metodo del panel test sebbene, come affermato da Cass. n. 1308 1 del 2020, nella definizione dell’olio di oliva extravergine n on potesse prescindersi da ‘ una valutazione sensoriale demandata al fattore umano ‘; in particolare, la CTP aveva ritenuto inattendibili le risultanze delle analisi organolettiche espletate dall’Ufficio ‘ per non avere potuto operare un accertamento diretto sulla qualità dell’olio d’oliva nemmeno mediante consulenza tecnica, per mancanza della materia prima oggetto d’indagine ‘ laddove, a fronte di un procedimento tecnico-amministrativo di verifica organolettica dell’olio d’oliva , in contraddittorio con la parte, rigidamente predeterminato nei tempi, nelle forme e nei contenuti, avrebbe dovuto solo valutare la legittimità dell’accertamento tecnico, come presupposto degli atti impositivi conseguenziali; né il panel test rappresentava -come rilevato dalla società una sorta di prova legale rimanendo fermo l’obbligo del giudice di valutazione critica anche alla luce dei risultati delle controanalisi; 2) era fondato anche il motivo di appello circa l’erronea interpretazione dell’art. 2, par. 3 del Reg. CEE relativo alla procedura di perfezionamento attivo, in quanto la CTP aveva ritenuto, con un’affermazione poco chiara ed erronea rispettato il regime di TPA ( ‘ il perno della regolamentazione in esame era la certezza che, dopo l’importazione, avvenisse l’esportazione previo perfezionamento attivo e non era dubitato che tutta la procedura fosse stata seguita ‘ ) laddove, a fronte di
un’autorizzazione dello stesso ‘per identità’, essendo sostanzialmente incontestata la caratteristica di olio extravergine d’oliva importato, il consolidamento della sospensione daziaria era subordinato alla circostanza della riesportazione, all’esito del perfezionamento e nei limiti dell’autorizzazione, della medesima merce avente detta qualità; nella specie, difettavano le condizioni affinché l’importazione avvenisse in regime di perfezionamento attivo atteso che non poteva essere importato olio di oliva vergine in TPA, essendo stato tale regime autorizzato esclusivamente per l’importazione di olio extravergine di oliva, per cui l’operazione avrebbe dovuto considerarsi, come emerso a posteriori , una importazione vera e propria; 2) era erronea la statuizione della CTP in ordine all’inattendibilità delle risultanze del panel test per essere emerse, in sede di controanalisi, tipologie eterogenee di difetti nei campioni analizzati (di ‘rancido’ in un caso e di ‘riscaldo/morchia’ nell’altro), atteso che , sulla base del regolamento comunitario , le caratteristiche del prodotto erano ‘ considerate conformi a quelle dichiarate ‘ se le due controanalisi ne confermavano la classificazione dichiarata (sono richiamate Cass. n. 18748 e n. 18749 del 2020 e 33314 del 2019), senza che assumesse rilievo la diversità dei difetti emersi in tale sede; 3) alcuna rilevanza assumeva la circostanza che le analisi commissionate dalla società avessero dato risultati diversi confermando la qualità di olio extravergine del prodotto riesportato in quanto la procedura prevista dal Regolamento prevedeva in tutte le fasi il contraddittorio con la parte interessata che solo in tale sede poteva esercitare il proprio diritto di difesa e, inoltre, le analisi commissionate dalla parte erano solo di natura chimica e non organolettica per cui non potevano essere confrontate; 4) quanto agli altri motivi di ricorso ritenuti assorbiti dalla CTP, relativi ad assunte irregolarità nella procedura di prelievo e analisi dei campioni, nel relativo verbale si dava atto espressamente che il rappresentante della società non aveva sollevato alcuna eccezione sulla metodologia del prelievo e sulla strumentazione utilizzata; oltretutto le asserite irregolarità non avrebbero determinato, in assenza di una espressa previsione di legge, la nullità degli accertamenti tecnici; assolutamente generiche erano le eccezioni circa la violazione della normativa sulle tempistiche
prescritte per l’invio /consegna del campione al Laboratorio di analisi (in ordine alle quali l’Ufficio aveva , comunque, controdedotto con argomentazioni pienamente condivisibili, risultando il campione inviato al laboratorio il 27.4.2015, data del prelievo, e pervenuto ivi il 7.5.2015) e sulla corretta conservazione e gestione del medesimo, non avendo la contribuente assolto al l’onere di provare specifiche circostanze denotanti l’ errata conservazione dei campioni; infondata era l’eccezione relativa al mancato accreditamento del Laboratorio chimico delle Dogane di Venezia essendo stato riconosciuto, all’epoca dei fatti, dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) e dal C.O.I. (Consiglio oleicolo internazionale); 5) l’eccezione relativa alla buona fede era inammissibile in quanto proposta soltanto con le memorie aggiuntive ex art. 32 del d.lgs. n. 546/92, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 24 del medesimo decreto, e, comunque, infondata essendo erroneo il richiamo all’art. 220 Reg. 2913/1992 afferente alla diversa fattispecie della mancata contabilizzazione dei dazi per errore dell’autorità doganale; 6) quanto alle sanzioni era sufficiente che la contribuente non avesse posto in essere, con la dovuta diligenza, comportamenti atti ad accertare le effettive caratteristiche della merce.
Avverso la suddetta sentenza, RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
6 .Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, par. 2, del Reg. CEE 2568/91 e S.M.I., in combinato disposto con gli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c., nonché con i principi in materia di autocontrollo del settore alimentare di cui al Reg. CE 178/2002 e del Reg. CE 852/2004 per avere la CTR introdotto una sorta di presunzione assoluta nella valutazione del panel test trasformando il panel test
in una prova legale, i cui risultati sarebbero ex adverso inattaccabili (‘ nessun rilievo, infine, ha la circostanza che le analisi commissionate dalla società abbiano dato risultati diversi confermando la qualità di olio extravergine, in primo luogo, per il rilievo che la procedura prevista dal Regolamento prevede in tutte le fasi il contraddittorio con la parte interessata che solo in questa sede può esercitare il proprio diritto di difesa. Inoltre, le analisi commissionate dalla parte sono di natura chimica e non organolettica ‘) . Diversamente, ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe dovuto apprezzare prudentemente le risultanze del panel test , trattandosi di un metodo (come confermato anche nel Reg. CE 1638/1998) affetto da una criticità insita connaturata al carattere soggettivo della prova di assaggio, e non escludere, in violazione del criterio di riparto dell’onere della prova, che la società potesse offrire la controprova attraverso certificazioni organolettiche effettuate in sede di autocontrollo (è richiamata la sentenza del C.d.S. n. 7566 del 2020). Inoltre, il giudice di appello avrebbe, incorrendo in error in iudicando , ritenuto irrilevante l’avvenuto riscontro, in sede di controanalisi, di difetti diversi all’assaggio, sebbene la modifica da parte del Reg. UE 1604/2019 dell’art. 2 del Reg. CEE 2568/91 secondo cui il risultato delle controanalisi va verificato ‘ a prescindere dal tipo di difetti constatati durante le controanalisi ‘ – si applicasse a decorrere dal 20.10.2019 (laddove i fatti in oggetto risalivano al 2015) e il legislatore medesimo si fosse espresso non già in termini di declassamento ma di risultato ‘incoerente’; peraltro, una interpretazione di irrilevanza dei diversi difetti contrasterebbe con il sistem a previsto dall’Allegato XII del Reg. CEE 2568/1991 che distingue tra le diverse difettosità riscontrate dall’assaggiatore e, in ogni caso, la staratura di giudizio non potrebbe che essere- in base ad un prudente apprezzamento- sintomatica di scarsa attendibilità dei risultati delle analisi.
1.1.Il primo motivo si profila in parte inammissibile e in parte infondato.
1.2.Preliminarmente si osserva che il ricorso in esame è fondato, su uno specifico presupposto fattuale, ossia che la merce importata dalla Tunisia in regime di T.P.A. e quella riesportata fossero coincidenti anche dopo il trattamento
autorizzato, laddove, l’assunto della coincidenza della merce è contestato dall’Agenzia delle Dogane, essendo emersa – a seguito di controlli effettuati su campioni prelevati al momento della riesportazione, mediante c.d. panel test , anche all’esito di due controanalisi – la non conformità della merce riesportata al dichiarato, con conseguente declassamento della stessa dalla categoria doganale di olio extravergine d’oliva a quella olio vergine d’oliva.
1.3.Ciò posto, va premesso che l’art. 2, par. 2, cit., nel testo vigente ratione temporis , introdotto dal Regolamento esecutivo (UE) n. 1348/2013, stabilisce che “2. La verifica delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini da parte delle autorità nazionali o dei loro rappresentanti è effettuata da panel di assaggiatori riconosciuti dagli Stati membri. Le caratteristiche organolettiche di un olio, ai sensi del primo comma, si considerano conformi alla categoria di olio di oliva dichiarata se il panel di assaggiatori riconosciuto dallo Stato membro ne conferma la classificazione. Qualora il panel non confermi la categoria dichiarata, sotto il profilo delle sue caratteristiche organolettiche, a richiesta dell’interessato le autorità nazionali o i loro rappresentanti incaricano altri panel riconosciuti di effettuare quanto prima due controanalisi, di cui almeno una deve essere effettuata da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio. Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata . In caso contrario il costo delle controanalisi è a carico dell’interessato”.
1.4.L’art. 1, par. 1, del Reg. citato, nel testo introdotto dal Reg. (CE) n. 1989/2003, stabilisce che “Sono considerati oli di oliva vergini ai sensi del punto 1, lettere a) e b), dell’allegato del regolamento n. 136/66/CEE gli oli le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate rispettivamente nei punti 1 e 2 dell’allegato I del presente regolamento”. Il citato punto 1 dell’Allegato I descrive esattamente le caratteristiche fisico-chimiche (da accertarsi mediante analisi chimiche di laboratorio), nonché quelle organolettiche (mediana del difetto =0, mediana del fruttato >0) che la partita di olio in considerazione deve possedere per essere catalogata come extravergine.
1.5. Il metodo del panel test, utilizzato per la verifica delle qualità organolettiche dell’olio, è disciplinato dall’art. 2, par. 2, del Regolamento (e dall’Allegato XII), ed è stato introdotto nella vigente conformazione (ossia, con la costituzione di un panel di assaggiatori, competendo tale valutazione, in precedenza, ad un solo analista, almeno in prima battuta) dal Reg. (CE) n. 796/2002. Ciò perché, come si evince dal quinto considerando, “In base alle esperienze maturate, il Consiglio oleicolo internazionale ha elaborato un nuovo metodo per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini. Questo metodo si è rivelato più attendibile e semplice di quello attualmente previsto dall’allegato XII del regolamento (CEE) n. 2568/91. È opportuno quindi sostituire il metodo previsto all’allegato XII con il nuovo metodo per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini”. Inoltre (sesto considerando) “Ai fini dell’applicazione del nuovo metodo di valutazione organolettica è necessario prevedere una procedura di arbitrato in caso di contrasto tra la categoria dichiarata e quella attribuita dal panel riconosciuto che esegue la valutazione”.
1.6.Dal sistema sommariamente delineato emerge che il combinato disposto del punto 1, lett. a), dell’Allegato al Regolamento (CEE) n. 136/1966, nonché degli artt. 1 e 2 del Regolamento (CEE) n. 2568/1991 e s.m.i., nonché dell’Allegato XII a quest’ultimo, delinea normativamente le caratteristiche dell’olio di oliva extravergine, stabilendo che esso deve rispondere a determinati requisiti fisicochimici ed organolettici, ossia, quanto a questi ultimi, a specifiche caratteristiche apprezzabili dall’uomo per via sensoriale e, perciò, non oggettivamente certificabili. In altre parole, affinché in ambito UE una partita di olio d’oliva possa fregiarsi della qualità extravergine, occorre non soltanto che essa rispetti i parametri fisico-chimici di cui all’Allegato I, punto 1, del Regolamento in discorso, ma che essa superi anche l’analisi organolettica di cui all’Allegato XII dello stesso. L’esito negativo anche solo di tale ultima indagine è sufficiente a catalogare il prodotto come “non conforme alla categoria dichiarata” Quanto precede, peraltro, è del tutto in linea con la nozione commerciale di olio di oliva extravergine, attualmente tratteggiata dalla norma COI/T.15/NC n. 3/Rev. 12,
emessa dal Consiglio Oleicolo Internazionale (C.O.I.), organizzazione intergovernativa nata sotto il patrocinio dell’O.N.U. nel 1959, i cui membri – tra cui la UE e la stessa Tunisia – sono i Paesi produttori di olio di oliva su scala mondiale. Non è affatto casuale che proprio al fine di rendere più efficaci e attendibili le valutazioni sensoriali in discorso, l’art. 2, par. 2, cit. è stato modificato dal Reg. (CE) n. 796/2002, che al quinto considerando (come s’è già detto) fa esplicito riferimento al “nuovo metodo per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini” elaborato proprio dal C.O.I. In definitiva, la congiunta valutazione chimica ed organolettica dell’olio, ai fini che interessano, è indefettibile non solo nell’ottica normativa eurounitaria, ma prima ancora su base convenzionale, nel contesto internazionale del settore oleicolo. (Cass. n. Sez. 5, Ordinanza n. 13081 del 2020). Pertanto, non può prescindersi, nella definizione dell’olio di oliva extravergine, da una valutazione sensoriale, ovviamente demandata al fattore umano.
1.7.Ciò premesso, la censura nella parte in cui denuncia l’introduzion e da parte della CTR di una sorta di presunzione assoluta nella valutazione del panel test , i cui risultati non sarebbero superabili con prova contraria -non è conforme al decisum e, comunque, non è fondata in quanto muove da un erroneo presupposto interpretativo.
Invero, nella sentenza impugnata, il giudice di appello – dopo avere evidenziato, nella sostanza, l’eguale valore ponderale attribuito dal legislatore eurounitario alle analisi chimiche ed organolettiche, nel senso che le risultanze di entrambi gli esami devono ritenersi convergenti, al fine di attribuire all’olio valutato la qualità superiore -nell’accogliere il primo motivo di gravame in ordine all’erronea interpretazione dell’art. 2, par. 2, del Reg. CEE cit., ha ritenuto l’erroneità della valutazione della CTP circa l’inattendibilità dell’analisi organolettica ‘ per non avere potuto operare un accertamento diretto sulla qualità dell’olio d’oliva, nemmeno mediante consulenza tecnica, per mancanza della materia prima oggetto d’indagine ‘ atteso che -espressamente disattendendo l’eccezione di parte contribuente circa la valenza del panel test
come prova legale (‘ non coglie nel segno il rilievo dell’appellata che così opinando il panel test rappresenterebbe una sorta di prova legale rimanendo fermo l’obbligo del giudice di valutazione critica come tutti i mezzi di prova alla luce dei risultati delle controanalisi ‘) -‘ la Commissione, a fronte di un procedimento tecnicoamministrativo di verifica organolettica dell’olio d’oliva in contraddittorio con la parte e rigidamente predeterminato nei tempi, nelle forme e nei contenuti, avrebbe dovuto solo valutare la legittimità dell’accertamento tecnico, come presupposto degli atti impositivi conseguenziali ‘. Ne è conseguita una valutazione da parte del giudice di appello del procedimento espletato di analisi organolettica del prodotto con esclusione -nel rigettare gli altri motivi di ricorso ritenuti assorbiti dalla CTP dell’esistenza di irregolarità nelle analisi dei campioni prelevati al momento del riesportazione, e, nelle successive controanalisi, ritenendo irrilevante il riscontro in tale sede di tipologie di difetti tra loro eterogenee (‘ Non ha alcun rilievo la circostanza che le due controanalisi abbiano rilevato difetti diversi … Ciò che rileva è che entrambe le controanalisi siano confermative dell’analisi di prima istanza quanto alla classificazione dell’olio come vergine d’oliva ‘). In particolare, la C.T.R. – nel quadro normativo richiamato e, in particolare, dopo avere evidenziato il rigore con cui lo stesso Regolamento (CEE) n. 2568/1991 disciplina il panel test , all’Allegato XII – ha apprezzato, in concreto, il procedimento espletato di analisi organolettica del prodotto riesportato (in relazione al quale ‘le operazioni di prelievo erano state eseguite alla costante presenza del rappresentante della società… Nel verbale si dava espressamente atto che il rappresentante della società non aveva sollevato alcuna eccezione sulla metodologia del prelievo e sulla strumentazione utilizzata ‘…) , il cui risultato, anche all’esito delle due controanalisi, aveva confermato che l’olio riesportato non era conforme al dichiarato. Pertanto, il giudice di appello non ha fatto assurgere le analisi effettuate al panel test a prova legale e/o presunzione assoluta (e quindi incontestabile), come dedotto dalla ricorrente, ma ne ha valutato liberamente le risultanze, anche alla luce delle controanalisi effettuate, sicchè neppure può configurarsi la dedotta violazione della normativa nazionale e comunitaria; quanto alla controprova, il giudice di
appello, ha affermato che ‘ Nessun rilievo, infine, ha la circostanza che le analisi commissionate dalla società abbiano dato risultati diversi confermando la qualità di olio extravergine, in primo luogo, per il rilievo che la procedura prevista dal Regolamento prevede in tutte le fasi il contraddittorio con la parte interessata che solo in questa sede può esercitare il proprio diritto di difesa. Inoltre, le analisi commissionate dalla parte sono di natura chimica e non organolettica e, quindi, non potevano essere confrontate ‘ . Con ciò la CTR -senza, peraltro, incorrere nella denunciata violazione del criterio di riparto dell’onere della prova ha correttamente escluso la valenza di prova a contrario delle certificazioni relative alle analisi commissionate dalla parte contribuente atteso che la esatta corrispondenza della qualità del prodotto importato e di quello riesportato poteva essere certificata – in forza della normativa comunitaria – solo da laboratori siti negli stati membri (v. nello stesso senso, Cass., sez. 5, sentenza n. 18748 del 2020), incaricati dalle ‘Autorità nazionali’ in base alla procedura, nel contraddittorio con la parte interessata, puntualmente disciplinata dall’art. 2, par. 2, del Regolamento e dall’Allegato XII, che prevede, al suo interno, in primo luogo, qualora il panel di prima istanza non confermi la categoria dichiarata, l’incarico da parte delle autorità nazionali ( o di loro rappresentanti), a richiesta dell’interessato, di altri panel riconosciuti per l’effettuazione di due controanalisi e, in ogni caso, la possibilità da parte dell’operatore, sempre a ll’interno della procedura tipizzata, di sindacare le modalità di svolgimento della prova medesima.
1.8.Invero, la tipicità del procedimento di analisi organolettica e la possibilità di sindacare la corretta formazione della prova è evidenziata anche nella richiamata sentenza del C.d.S. n. 7566 del 2020 in cui si osserva che ‘Benché l’analisi organolettica risenta della soggettività del suo autore, essendo fondata su esperienze sensoriali provocate dall’assaggio del prodotto, la normativa di riferimento limita la discrezionalità dell’organo accertatore, prevedendo: a) metodi di valutazione comuni (incentrati su un comune vocabolario specifico, nonché su previsioni tecniche regolanti il bicchiere per l’assaggio, la sala di assaggio e le condizioni della prova – cfr. all. XII reg. n. 2568 del 1991 cit. ), b)
una qualificata formazione di comitati di assaggiatori selezionati ed esperti (art. 4 reg. n. 2568 del 1991 cit.), c) lo svolgimento di controanalisi per assicurare la convergenza dei risultati della relativa prova organolettica (art. 2, par. 2, reg. n. 2568 del 1991 cit .).Alla stregua del quadro regolatorio di riferimento, la valutazione organolettica, dunque:- da un lato, è essenziale per la corretta classificazione dell’olio e, come tale, non può prescindersi dal suo svolgimento quando occorra verificare (come nella specie) se un olio pubblicizzato come extravergine di oliva possieda effettivamente la qualità e la purezza vantate (cfr. Cass., Sez. V, 2 luglio 2020, n. 13474);- dall’altro, non si traduce in decisioni arbitrarie, non verificabili, ma implica l’esercizio di una discrezionalità tecnica limitata, governata da stringenti parametri normativi predeterminati, suscettibili di sindacato giurisdizionale. La possibilità di sindacare la corretta formazione della prova sulla base di parametri predefiniti, riguardanti – sotto il profilo soggettivo – la competenza ed esperienza del gruppo degli assaggiatori concretamente incaricati, nonché – sotto il profilo oggettivo – la metodologia osservata (con specifico riferimento alle modalità di svolgimento della prova), consente di considerare la prova organolettica un elemento istruttorio verificabile e, quindi, attendibile, come tale idoneo a fondare anche una responsabilità del professionista a titolo di pratica commerciale scorretta …’
1.9. Anche la sentenza della Corte di cassazione, V sezione penale, n. 17938 ( rectius : n. 17839) del 2023, depositata in data 28 aprile 2023- richiamata dalla ricorrente in memoriaconferma l’orientamento di questa Corte affermando che ‘ in casi di concreta applicazione degli esiti del panel test in relazione alla disciplina doganale, la natura di prova legale è stata esclusa anche da questa Corte in sede civile, e con essa si è affermata la impossibilità di configurare violazione di legge (Sez. 5 Civ., n. 18749 del 2020; Sez. 5 Civ., n. 18748 del 2020; Sez. 5 Civ., n. 13474 del 2020; Sez. 5, n. 33314 del 2019) .’
1.10 .Ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: « Dal combinato disposto degli artt. 1 e 2 del Regolamento (CEE) n. 2568/1991 e s.m.i., nonché dell’Allegato XII si evince la previsione da
parte del legislatore comunitario di una procedura tipizzata per la verifica della corrispondenza della qualità del prodotto importato e di quello riesportato valevole ai fini della corretta applicazione dei regimi agevolativi, come quello del perfezionamento attivo; in particolare, premesso che – affinché in ambito UE una partita di olio d’oliva possa fregiarsi della qualità extravergine, occorre non soltanto che essa rispetti i parametri fisico-chimici di cui all’Allegato I, punto 1, del Regolamento in discorso, ma che essa superi anche l’analisi organolettica di cui all’Allegato XII dello stesso sicchè l’esito negativo anche solo di tale ultima indagine è sufficiente a catalogare il prodotto come non conforme alla categoria dichiarata -il legislatore comunitario ha disciplinato puntualmente il procedimento di analisi organolettica dell’olio importato con la previsione della relativa certificazione da parte di laboratori siti negli Stati membri incaricati dalle ‘Autorità nazionali’ attraverso il c.d. pane l test (prova di assaggio), nel rispetto del contraddittorio con la parte interessata, con la prevista possibilità, al suo interno, in primo luogo, qualora il panel di prima istanza non confermi la categoria dichiarata, dell’incarico da parte delle auto rità nazionali (o di loro rappresentanti), a richiesta dell’interessato, di altri panel riconosciuti per l’effettuazione di due controanalisi e, in ogni caso, della possibilità da parte dell’operatore, sempre all’interno della procedura tipizzata, di sindacare la competenza ed esperienza del gruppo degli assaggiatori concretamente incaricati e/o le modalità di svolgimento della prova medesima; ne consegue che la formazione della prova organolettica, lungi dal concretare una presunzione assoluta, è l’esito di una rigida procedura tipizzata dal legislatore comunitario, nel rispetto del principio del contraddittorio, che vincola il giudice di merito qualora quest’ultima sia svolta in ossequio ai parametri predefiniti dal legislatore ».
1.11.Nella sentenza impugnata, per quanto sopra precisato, il giudice di appello si è pienamente conformato.
1.12. Alla luce di quanto sopra precisato, non è dato quindi riscontrare, nella specie, né la violazione dell’art. 2697 c.c., né dell’art. 116 c.p.c.: non del primo, perché la C.T.R. non ha affatto invertito l’onere probatorio, addossandolo ad una parte diversa da quella tenutavi per legge (Cass. n. 26769/2018); ma neanche del secondo, in quanto ” La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
1.13. Il motivo nella parte in cui denuncia l’ error in iudicando della CTR quanto all’ass erita irrilevanza dell’avvenuto riscontro, in sede di controanalisi, di difetti diversi all’assaggio (‘di rancido’ in un caso e di ‘riscaldo/morchia’ nell’altro) è infondato.
Invero, in disparte la novella dell’art. 2 Reg. CE n. 2568/91 per effetto dell’art. 1, par. 1, punto 1, lettera b), del Reg. 27 settembre 2019, n. 2019/1604/UE, che a decorrere dal 20 ottobre 2019, ha inserito nell’ultima parte dell’art. 2, par.2 l’inciso ‘ a prescindere dal tipo di difetti constatati durante le controanalisi, la classificazione è dichiarata incoerente con le caratteristiche ‘ si osserva che la diversa difettosità dell’olio nelle due controanalisi (il cui risultato è stato posto in discussione dalla ricorrente con considerazioni meramente astratte), piuttosto che ostare al declassamento del prodotto, va riguardata alla luce del reg Cee 2568/91 (nel testo vigente ratione temporis , introdotto dal Regolamento esecutivo (UE) n. 1348/2013) che pone
un principio affatto diverso stabilendo che “Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi ne confermano la classificazione”, il che nella specie non è avvenuto (‘ Non ha alcun rilievo la circostanza che le due controanalisi abbiano rilevato difetti diversi … Ciò che rileva è che entrambe le controanalisi siano confermative dell’analisi di prima istanza quanto alla classificazione dell’olio come vergine d’oliva ‘).
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio e comunque una motivazione apparente/inesistente ( in connessione con quanto illustrato nel primo motivo) per avere la CTR affermato apoditticamente che ‘ le analisi commissionate dalla parte erano solo di natura chimica e non organolettica e quindi non potevano essere confrontate ‘ omettendo di considerare come documentato nei gradi di merito l’esistenza d i certificazioni di analisi organolettiche prodotte dalla società contribuente (certificati del panel test dell’Autorità tunisina, attraverso il laboratorio dell’O.N.H., preventivi rispetto all’importazione in Italia; certificati delle analisi organolettiche espletate dal Laboratorio delle dogane di Palermo e di quello di RAGIONE_SOCIALE, in date coeve al prelievo doganale).
2.1. In disparte l’avere evocato, in maniera cumulata ed indistinta, vizi eterogenei (omesso esame di fatti decisivi e controversi e motivazione apparente/inesistente), i il motivo si profila inammissibile quanto al vizio di omesso esame e infondato quanto all’assunta motivazione inesistente.
2.2. Il vizio ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.- come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis concerne l’omesso esame di un fatto storico , principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’ art. 369, comma 2, n. 4,
c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto” ma un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. 9637 del 2021). Nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un ‘fatto storico’, ma peraltro -quanto all’assunta mancata valutazione da parte della CTR delle certificazioni relative ad ‘ analisi organolettiche ‘ commissionate dalla società contribuente – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte; peraltro, nella specie, la CTR nell’affermare che ‘ le analisi commissionate dalla parte erano solo di natura chimica e non organolettica, e quindi non potevano essere confrontate ‘ ha evidentemente ritenuto -con una motivazione congrua ed esente da vizi logici-giuridici – le certificazioni relative ad analisi del prodotto fatte espletare dalla società (certificati al panel test dell’Autorità tunisina, attraverso il laboratorio dell’O.RAGIONE_SOCIALE, preventivi rispetto all’importazione in Italia; certificati delle analisi organolettiche espletate dal Laboratorio delle dogane di Palermo e di quello di RAGIONE_SOCIALE, effettuate in date coeve al prelievo doganale) tali da non potere essere incluse nel novero delle risultanze di analisi organolettiche, essendo state svolte al di fuori del procedimento tipico disciplinato dall’art. 2, par. 2, del Regolamento e dall’Allegato XII; il che è confermato dalla precisazione (immediatamente prima nel costrutto argomentativo) secondo cui ‘ Nessun rilievo, infine, ha la circostanza che le analisi commissionate dalla società
abbiano dato risultati diversi confermando la qualità di olio extravergine, in primo luogo, per il rilievo che la procedura prevista dal Regolamento prevede in tutte le fasi il contraddittorio con la parte interessata che solo in questa sede può esercitare il proprio diritto di difesa ‘.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, par. 3, del Reg. CE 2568/1991 e S.M.I., anche in combinato con l’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 43, comma 1ter.5 del d.l. n. 83/2012 e del combinato disposto del punto 7.1. allegato XII e dell’art. 4 del Reg. CEE n. 2568/1991, sotto il profilo degli assunti vizi procedurali, per avere la CTR ritenuto – a fronte di specifiche eccezioni svolte dalla contribuente nei gradi di merito (consegna in ritardo dei campioni al laboratorio di analisi di prima istanza; mancata riparazione degli stessi da fonti di luce e calore; avvolgimento dei campioni in involucri trasparenti e non protettivi) assolutamente generiche le eccezioni circa la violazione della normativa sulle tempistiche prescritte per l’invio del campione al Laboratorio di analisi e sulla corretta conservazione e gestione del medesimo, e, comunque, non perentorio il termine di cinque giorni dal prelievo entro cui inviare/consegnare il campione al laboratorio con ciò svalutando l’importanza della conservazione del campione medesimo e la necessità di ripararlo da agenti esterni (luce e calore) nel caso di mancato rispetto del detto termine (è richiamata in tema di meticolosa conservazione del campione nelle analisi organolettiche dell’olio, la sentenza del C.d.S. n. 7566 del 2020) . Peraltro, la C.T.R. avrebbe affermato, in violazione del criterio distributivo dell’onere probatorio, che ricadeva sulla parte contribuente dimostrare specifiche circostanze denotanti una errata conservazione dei campioni laddove era l’Amministrazione a dovere fornire la prova di avere correttamente provveduto al rispetto delle specifiche tecniche di conservazione delle provette. Inoltre, ad avviso della ricorrente, sarebbe erronea l’affermazione della CTR circa l ‘ir rilevanza – ai fini della validità degli accertamenti tecnici – delle assunte irregolarità procedimentali con riguardo, in particolare, all’eccezione di mancata indicazione nel verbale ex art. 43, comma 1ter.5 di una serie di circostanze
afferenti alla corretta effettuazione dell’analisi e con riguardo all’eccezione di mancata dimostrazione da parte dell’Agenzia della calibrazione periodica del panel richiesta dal COI e dal punto 7.1. dell’Allegato XII del Reg. CE n. 2568/91 .
3.1.Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
3.2. Va ricordato che, ai sensi dell’art. 2, par. 3 del Reg. CEE 2568/1991, nel testo vigente ratione temporis , introdotto dal Regolamento esecutivo (UE) n. 1348/2013 (con decorrenza dal 1° marzo 2014): «3. Per quanto riguarda la verifica delle caratteristiche degli oli da parte delle autorità nazionali o di loro rappresentanti, prevista al paragrafo 1, il prelievo dei campioni si effettua secondo le norme internazionali EN ISO 661 relativa alla preparazione dei campioni per le prove e EN ISO 5555 relativa a l campionamento (…). Fatte salve le disposizioni della norma EN ISO 5555 e del capitolo 6 della norma EN ISO 661, i campioni prelevati sono messi quanto prima al riparo dalla luce e da fonti di calore elevato e sono inviati al laboratorio per le analisi entro il quinto giorno lavorativo successivo a quello del prelievo; altrimenti i campioni sono conservati in modo da evitarne il degrado o il danneggiamento durante il trasporto o lo stoccaggio in attesa di essere inviati al laboratorio .». Risulta evidente che, nella versione vigente ratione temporis , non è prevista la perentorietà del termine entro il quale dovere inviare i campioni prelevati al laboratorio, essendo ‘altrimenti’ (ovvero nel caso di invio dei campioni oltre il detto termine) necessaria la conservazione degli stessi in modo tale da evitarne il degrado o il danneggiamento durante il trasporto o lo stoccaggio in attesa di essere inviati al laboratorio.
3.3.Posto quanto sopra, nella sentenza impugnata la CTR -con un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità -ha ritenuto sostanzialmente inammissibili in quanto ‘ assolutamente generiche ‘ le eccezioni -peraltro neanche trascritte in ricorso in difetto del principio di autosufficienza -‘ circa la violazione della normativa sulle tempistiche prescritte per l’invio del campione al Laboratorio di analisi (di Verona) e sulla corretta conservazione e gestione del medesimo’. In ogni caso, la CTR ha comunque ritenuto infondata –
in ossequio alla normativa di cui all’art. 2, par. 3 del Reg. CE 2568/91 in base alle argomentazioni dell’Agenzia, l’eccezione di violazione della normativa sulle tempistiche di invio del campione al laboratorio osservando che ‘ il campione risultava inviato al laboratorio il giorno del prelievo (27.4.2015) e ivi pervenuto il 7.5.2015 ‘ e specificando che ‘ non risultava prescritto alcun termine perentorio per l’invio e la consegna del campione sulla base dell’art. 2, par. 3, comma 2 del Reg. 2568/91 ‘.
3.4. Né alcuna violazione del criterio distributivo dell’onere probatorio (ex art. 2697 c.c.) è configurabile quanto alla qualificazione da parte della CTR, in termini di ‘ mera congettura ‘ , della eccezione relativa alla non corretta conservazione del prodotto, atteso che, lungi dall’invertire l’onere della prova, addossandolo ad una parte diversa da quella tenutavi per legge, il giudice di appello ha ritenuto che la società ‘ avrebbe avuto l’onere di provare specifiche circostanze atte a dimostrare l’errata conservazione dei campioni ‘ nel senso della necessaria formulazione dell’eccezione osservando il requisito della specificità, tant’è che entrambe le eccezioni (quella concernente la violazione della normativa sulle tempistiche prescritte per l’invio del campione al laboratorio di analisi e quella sulla corretta conservazione e gestione del medesimo) vengono dalla CTR connotate come ‘ assolutamente generiche ‘.
3.5.Infine, quanto alla denunciata erroneità della statuizione del giudice di appello di irrilevanza (sia pure riferita al solo aspetto del prelievo del campione ma indice di una impostazione generalizzata) delle ulteriori irregolarità procedimentali (di incompletezza del verbale, ex art. 43, comma 1ter.5 cit., da parte del Laboratorio di Verona con riguardo ad serie di circostanze di corretta effettuazione dell’analisi e di mancata calibrazione periodica dei panel prevista dall’Allegato XII del Reg. CE n. 2568 del 1991 alla quale condizione è subordinato, tra l’altro, il riconoscimento dei panel di assaggiator i), la censura si profila inammissibile per difetto specificità (non avendo la ricorrente precisato quali elementi non sarebbero stati indicati nel verbale di campionamento né quale conseguenza avrebbe avuto, nel caso di specie, l’asserita mancata
calibrazione periodica del panel, limitandosi ad affermare che ‘il riconoscimento dei panel di assaggiatori da parte degli Stati è subordinato ad alcune condizioni tra cui la calibrazione annuale del panel’) e di autosufficienza in quanto, in mancanza della trascrizione nel ricorso del contenuto, per le parti rilevanti, degli atti difensivi dei gradi di merito, non è dato a questa Corte verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza delle doglianza medesima; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa ( ex multis , Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015; nello stesso senso, Cass. sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019; Cass. sez. 5, n. 40224 del 2021).
3.6.In ogni caso, anche tale sub censura è infondata.
3.7. Quanto all’assunta violazione dell’art. 43, comma 1ter5 del d.l. n. 83/2012, va premesso che, sul piano della normativa comunitaria, il punto 7.1. dell’Allegato XII al Reg. CE n. 2568/91 prevede che il capo panel ‘Redige un rendiconto relativo agli aspetti sopra citati, in cui dichiara che la prova si è svolta nel rispetto delle condizioni previste ‘ senza prescrivere specifiche formalità né prevedere un obbligo di consegna dello stesso alla parte, rimanendo i risultati del rapporto di prova a sua disposizione ai sensi dell ‘art. 25, comma 2, della legge 241/90.
Nel diritto interno, l’art. 43, comma 1ter5 del d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134 (nella versione vigente ratione temporis , come modificato dall’art. 18 della legge del 30/10/2014 n. 161):dispone che: ‘ Ai fini della validita’ delle prove organolettiche è redatto un verbale dal quale devono risultare i seguenti elementi: a) numero del verbale; b) data e ora del prelevamento dei campioni; c) descrizione delle partite di olio,
con riferimento al quantitativo, alla provenienza del relativo prodotto, alla tipologia, ai recipienti; d) nominativo del capo del comitato di assaggio responsabile della preparazione e della codificazione dei campioni ai sensi dell’allegato XII in materia di valutazione organolettica dell’olio di oliva vergine, di cui al regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione, dell’11 luglio 1991, e successive modificazioni; e) attestazione dei requisiti dei campioni di cui al comma 1-ter.2; f) nominativi delle persone che partecipano all’accertamento come assaggiatori; g) dichiarazione attestante il rispetto delle condizioni per intervenire in una prova organolettica di cui al comma 1-ter.3; h) orario di inizio e di chiusura della procedura di prova. Tale disposizione si applica con riferimento alle analisi organolettiche effettuate sugli ‘1 bis …oli di oliva extravergini che sono etichettati con la dicitura “Italia” o “italiano”, o che comunque evocano un’origine italiana …’. La norma è, dunque, come da titolazione, volta a tutelare specificamente il Made in Italy. Ai sensi dell’art. 43 1quater: ‘ per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui é avvenuta la trasformazione sostanziale”.
Posto quanto sopra, nella specie, il giudice di appello ha, comunque, accertato con una valutazione in fatto non sindacabile in questa sede -che ‘ il verbale conteneva l’indicazione di tutti gli elementi essenziali relativi alle fasi di prelievo, confezionamento del campione e invio presso il centro di raccolta del Laboratorio chimico di Livorno. Nel verbale si dava espressamente atto che il rappresentante della società non aveva sollevato alcuna eccezione sulla metodologia del prelievo e sulla strumentazione utilizzata ‘ .
3.8. Quanto all’assunta violazione de ll’Allegato XII del Reg. CE n. 2568 del 1991 avuto riguardo alla calibrazione periodica del panel ivi indicata, va osservato che il punto 7.1. dell’Allegato XII prevede che ‘ In ogni caso, il capo panel deve essere sempre in grado di dimostrare che ha il pieno controllo del metodo e degli assaggiatori. Si raccomanda la calibrazione periodica del panel ‘, senza
prescrivere specifiche conseguenze in caso di inadempimento di tale raccomandazione (né tantomeno, nel caso di specie, l’ assunto inadempimento di tale raccomandazione ha comportato l’ipotizzato mancato riconoscimento del Laboratorio chimico di Verona, avendo quest’ultimo ottenuto lo stesso da parte del MIPAAF e in ambito internazionale da parte del C.O.I., v. pag. 11 della sentenza impugnata).
4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del Reg. CE n. 882/2004 , in combinato disposto con le disposizioni del Reg. CE n. 765/2008 (art. 4) e della legge n. 99/2009, nonché dell’art. 2697 c.c. sotto il profilo dell’errore nel procedimento analitico, per avere la CTR rigettato l’eccezione relativa al mancato accreditamento Accredia del Laboratorio delle Dogane di Verona (per la prova in prima istanza del panel test ) richiamando il D.M. 30.7.2003, aggiornato con il D.M. 16.12.2005, in base al quale il Laboratorio di Verona era stato indicato come laboratorio per gli accertamenti doganali, nonché il D.M. n. 1334 del 28.2.2012 ma, nel contempo, contraddicendosi, nel fare riferimento solo ai Laboratori chimici di Palermo, Genova e Roma, quali destinatari di accreditamento da parte di Accredia. In particolare, la ricorrente evidenzia come il ‘ riconoscimento ‘ di Accredia non fosse surrogabile con altri e la sua mancanza comportasse l’inattendibilità de risultati delle analisi organolettiche.
4.1.Il motivo è infondato.
Invero, la censura muove dall’erroneo presupposto che il concetto di riconoscimento coincida con quello di accreditamento.
Premessa la finalità del Reg. CE n. 2568/91/CEE, chiaramente evincibile dal terzo considerando, secondo cui ” è opportuno stabilire in modo uniforme in tutta la Comunità la presenza delle caratteristiche dei vari tipi di olio; che a tal fine occorre stabilire i metodi comunitari di analisi chimica e di valutazione organolettica; che occorre tuttavia autorizzare, durante un periodo transitorio, il ricorso ad altri metodi di analisi applicati negli Stati membri pur prevedendo che,
in caso di divergenza dei risultati, saranno determinanti quelli ottenuti in base al metodo comune’ , a i sensi dell’art. 4 del regolamento in questione: ‘ Ai fini della valutazione e del controllo delle caratteristiche organolettiche da parte delle autorità nazionali o dei loro rappresentanti, gli Stati membri possono procedere al riconoscimento di panel di assaggiatori. Le condizioni del riconoscimento sono stabilite dallo Stato membro in particolare in modo da: – rispondere alle condizioni di cui all’allegato XII, punto 4, – garantire che la formazione del capo del panel si compia presso un organismo riconosciuto e alle condizioni a tal fine stabilite dallo Stato membro, – subordinare la validità del riconoscimento ai risultati ottenuti nell’ambito di un sistema di controllo annuale istituito dallo Stato membro. Ogni Stato membro comunica alla Commissione l’elenco dei panel riconosciuti e le misure adottate conformemente al presente paragrafo ‘ .
In questo quadro, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali con DM 30 luglio 2003 ( poi aggiornato con DM 16 dicembre 2005) ha disciplinato ‘le procedure nazionali relative al riconoscimento dei Panel di assaggiatori, le condizioni per la formazione del capo del Panel di assaggiatori presso un organismo riconosciuto dallo Stato membro e definisce i criteri per la compilazione, la tenuta e l’aggiornamento dell’elenco dei Panel di assaggiatori incaricati dell’accertamento delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini, ai sensi del regolamento (CEE) n. 2568/91 della commissione dell’11 luglio 1991, relativo alle caratteristiche degli oli di oliva e degli oli di sansa, nonché ai metodi ad essi attinenti come modificato dal regolamento (CE) n. 796/2002 della commissione del 6 maggio 2002, di seguito denominato «regolamento».
4.2.Nella specie, con la sentenza impugnata, la CTR ha precisato che con DM del 30.7.2003 (aggiornato con DM 16 dicembre 2005), tra gli altri, il Laboratorio chimico di Verona- utilizzato per la prova in prima istanza del panel test -aveva ottenuto ‘il riconoscimento da parte del MIPAAF e di conseguenza l’autorizzazione a svolgere sul territorio nazionale il controllo ufficiale per la valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli d’oliva vergini e
extravergini’. Il giudice di appello ha, altresì, osservato che ‘i comitati di assaggio riconosciuti ai sensi del DM n. 1334 del 28.2.12, in recepimento della normativa comunitaria, avevano ottenuto il riconoscimento in ambito internazionale da parte del C.O.I …. Tutti i panel delle Dogane operavano in regime di qualità in conformità alla norma Tecnica UNI EN ISO/IEC 17025’.
Dalla sentenza impugnata (pag. 11) e dagli atti difensivi delle parti (pag. 19 del controricorso) risulta circostanza incontestata che, all’epoca dei fatti, il Laboratorio chimico di Verona non fosse stato accreditato dall’Ente nazionale Accredia.
Invero, come già precisato da questa Corte (Cass., sez. 5, sentenza n. 5518/2013) l’accreditamento dei laboratori riguarda le procedure di “controllo ufficiale dei prodotti alimentari” in attuazione delle direttive 93/99/CEE e 89/397/CEE, così come emerge dalle rubriche stesse rispettivamente del D.LGS. n. 156 del 1997 e del presupposto D.Lgs. n. 123 del 1993. P. La direttiva “madre” (89/397/CEE, art. 1) stabilisce: “1.-La presente direttiva definisce i principi generali per l’esecuzione del controllo ufficiale dei prodotti alimentari. 2.-Ai fini della presente direttiva si intende per “controllo ufficiale dei prodotti alimentari” – in appresso denominato “controllo” – il controllo, effettuato dalle autorità competenti, della conformità dei prodotti alimentari, degli additivi alimentari, delle vitamine, dei sali minerali, degli oligoelementi e degli altri additivi destinati ad essere venduti in quanto tali, dei materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con tali prodotti alimentari, alle disposizioni miranti a prevenire i rischi per la pubblica sanità, ad assicurare la lealtà delle transazioni commerciali o a proteggere gli interessi dei consumatori, tra cui quelli inerenti all’informazione di questi ultimi. 3.- L’applicazione della presente direttiva non pregiudica le disposizioni adottate nel quadro di regolamentazioni comunitarie più specifiche. 4.- La presente direttiva non si applica ai controlli metrologici”. Dunque, il “controllo ufficiale dei prodotti alimentari” è quello diretto “a prevenire i rischi per la pubblica sanità, ad assicurare la lealtà delle transazioni commerciali
o a proteggere gli interessi dei consumatori”. Resta fuori la materia doganale, che rimane regolata dall’art. 61 TULD secondo cui: “Qualora per esigenze tecniche ovvero per disposizioni legislative od amministrative la dogana non possa determinare i caratteri, la natura o la composizione delle merci che le vengono presentate, si procede … all’invio dei campioni … al Laboratorio chimico delle dogane e delle imposte indirette ovvero ad altro laboratorio di Stato od organo tecnico al quale sia devoluta la specifica competenza in materia”. Rimane esclusa la necessità di particolare accreditamento, bastando la “specifica competenza in materia”.
4.3.Come chiarito dalla Corte di Giustizia, nella sentenza del 6 maggio 2021, causa C-142/20, ‘ Al fine di conseguire gli obiettivi previsti dal regolamento n. 765/2008, ossia che i prodotti soddisfino i requisiti che offrono un grado elevato di protezione degli interessi pubblici , il legislatore dell’Unione ha (…) previsto dispo sizioni disciplinanti l’accreditamento, relative in particolare alla natura e al funzionamento dell’organismo incaricato di tale compito o al rilascio dei certificati di conformità e al loro mutuo riconoscimento, destinate a garantire la fiducia necessaria in questi ultimi ‘ (punto 41).
Chiamata a pronunciarsi, in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE, sull’interpretazione e sulla validità del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93, nell’ambito di una controversia tra la RAGIONE_SOCIALE, laboratorio di analisi che opera quale organismo di valutazione della conformità delle imprese alimentari e che svolge la propria attività in Italia, e la Regione Siciliana, in merito alla validità dell’attestazione di accreditamento rilasciata a tale laboratorio dalla RAGIONE_SOCIALE («PJLA»), organismo con sede negli Stati Uniti, la Corte di Giustizia nella richiamata
sentenza, ha dichiarato che l ‘articolo 4, paragrafi 1 e 5, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all’interpretazione di una legislazione nazionale secondo la quale l’attività di accreditamento può essere svo lta da organismi diversi dall’unico organismo nazionale di accreditamento, ai sensi dello stesso regolamento, aventi sede in uno Stato terzo, quand’anche tali organismi garantiscano il rispetto delle norme internazionali e dimostrino, in particolare mediante accordi di mutuo riconoscimento, di essere in possesso di una qualifica equivalente a quella di detto unico organismo nazionale di accreditamento. Nella detta pronuncia, la CGE ha precisato che ‘ Dal combinato disposto delle disposizioni citate deriva che ciascuno Stato membro è tenuto a designare un unico organismo nazionale di accreditamento e che gli organismi di valutazione della conformità sono tenuti, in linea di principio, a chiedere l’accre ditamento presso tale organismo (…) le disposizioni in questione non consentono quindi a un organismo di valutazione della conformità di presentare una domanda di accreditamento presso un organismo nazionale di accreditamento diverso da quello dello Stato membro in cui esso è stabilito. Queste stesse disposizioni non consentono neppure a un organismo di valutazione della conformità di conseguire un accreditamento presso un organismo stabilito in uno Stato terzo al fine di svolgere la propria attività nel territorio dell’Unione. (p. 32) … il valore particolare dell’accreditamento sta nel fatto che esso fornisce un’attestazione dotata di autorità della competenza tecnica degli organismi cui spetta assicurare la conformità alle norme applicabili (p.38).. l’accreditamento trasparente, garantendo il necessario livello di fiducia nei certificati di conformità, dovrebbe essere considerato lo strumento preferito per dimostrare la competenza tecnica degli organismi di valutazione della conformità da parte delle autorità pubbliche nazionali dell’Unione. Le regole vincolanti alla base del sistema di accreditamento hanno lo scopo di accrescere la fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto alla
competenza degli organismi di valutazione della conformità e, conseguentemente, quanto alla validità dei certificati e dei rapporti di prova da questi rilasciati, rafforzando in tal modo il principio del riconoscimento reciproco (p.39).
4.4. Orbene, l’accreditamento di Accredia di cui la contribuente denuncia l’assenza per quanto riguarda il Laboratorio chimico delle dogane di Verona non è richiesto dall’art. 4 del Reg. CE n. 2568/91 ai fini del riconoscimento dei panel di assaggiatori. In particolare, l’accreditamento è stato individuato dal legislatore europeo che nazionale come strumento di supporto per la protezione di interessi pubblici generali (come la tutela della salute e dell’ambiente, la sicurezza delle persone, dei prodotti e delle informazioni e la qualità agroalimentare ) e la mancanza dello stesso non è in grado di inficiare l’attività svolta dal panel di assaggiatori del Laboratorio di analisi delle dogane di Verona, riconosciuto, all’epoca dei fatti, dal MIPAAF e dal COI .
Né, tantomeno, la necessità dell’accreditamento RAGIONE_SOCIALE ai fini al riconoscimento dei panel di assaggiatori dei Laboratori di analisi delle dogane, preposti alla valutazione e al controllo delle caratteristiche organolettiche delle merci (importate/ riesportate), si può desumere dall’evocato art. 12 del Reg. CEE n. 882/2004 (abrogato dall’art. 146, par. 1, Regolamento 15 marzo 2017, n. 2017/625/UE, con applicazione a decorrere dal 14 dicembre 2019), che disciplina i criteri di designazione dei laboratori di analisi relativi ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. Peraltro, come precisato dal punto 10 del Considerando ‘ Per la verifica della conformità alle norme sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (seminativi, vino, olio d’oliva, ortofrutticoli, luppolo, latte e prodotti a base di latte, carne di manzo e di vitello, carni ovine e caprine e miele) esiste già un sistema collaudato e specifico di controllo. Il presente regolamento non dovrebbe quindi applicarsi a tali ambiti, tanto più che i suoi obiettivi sono diversi da quelli perseguiti dai
meccanismi di controllo relativi all’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli. ‘
5. Con il quinto motivo si denuncia: 1) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 18, 24, 56 e 57 del d.lgs. n. 546/92, nonché dell’art. 345 c.p.c. per avere la CTR, quanto all’eccezione della buona fede -quale affidamento incolpevole ai sensi dell’art. 220, par. 2, lett. b) del Reg. n. 2913/1992 e quale esimente ai fini sanzionatoriritenuto incorrendo, in error in procedendo , che la contribuente aveva sollevato l’eccezione soltanto nelle memorie ex art. 32 del d.lgs. n. 546/92 sebbene la contribuente avesse dedotto espressamente la questione della buona fede nei ricorsi introduttivi (ad eccezione di quello RG 409/2018) e avesse, essendo stata assorbita dalla sentenza di primo grado, riproposto la stessa in sede di appello; 2) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa fatti decisivi e controversi per il giudizio e, comunque, l’inesistenza della motivazione – anche in connessione con quanto esposto nel sesto motivo -per avere la CTR affermato, incorrendo omissioni motivazionali, che erano integrati i requisiti anche sul piano soggettivo per il recupero dei dazi e per la irrogazione delle sanzioni non avendo la società posto in essere comportamenti diligenti atti a controllare le caratteristiche della merce sebbene, come risultava dagli atti, la contribuente si fosse attivata per effettuare controlli organolettici sul prodotto (certificati al panel test dell’Aut orità tunisina, attraverso il laboratorio dell’O.N.H., preventivi rispetto all’importazione in Italia; certificati delle analisi organolettiche espletate dal Laboratorio delle dogane di Palermo e di quello di RAGIONE_SOCIALE, effettuate in date coeve al prelievo doganale).
6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 del d.lgs. n. 472/97 e 10 della legge n. 212/2000 nonché degli artt. 220, par. 2, lett. b) del Reg. n. 2913/1992 e 239 del Reg. CEE n. 2913/1992 per avere la CTR ritenuto erroneamente che: 1) quanto alle contestazioni relative alle sanzioni ex art. 311 TULD, il comportamento della società non era stato sufficientemente diligente da
escludere l’irrogazione dell e medesime, sebbene le prove relative all’autocontrollo dell’operatore (certificati al panel test dell’Autorità tunisina, attraverso il laboratorio dell’O.N.H., preventivi rispetto all’importazione in Italia; certificati delle analisi organolettiche espletate dal Laboratorio delle dogane di Palermo e di quello di RAGIONE_SOCIALE, effettuate in date coeve al prelievo doganale su campione con sigillo doganale) fossero in grado di escludere, in applicazione del principio di buona fede espresso anche dall’art. 10 dello Statuto del contribuente, oltre il profilo oggettivo della violazione anche quello soggettivo, potendo valere per vincere qualsiasi presunzione di colpevolezza;2) quanto agli inviti di pagamento, non fosse applicabile il principio della buona fede di cui all’art. 220, par. 2, lett. b) cit. – né tantomeno (implicitamente) il pur evocato art. 239 Reg. CEE 2913/1992, quale clausola di equità del sistema -sebbene la contribuente, prima di procedere alle importazioni, si fosse giovata del comportamento attivo della Autorità doganale e ministeriale tunisina che, attraverso le certificazioni delle analisi organolettiche conformi dell’O.N.H. (poi confermate dagli accertamenti, in autocontrollo, presso i laboratori delle Dogane di Palermo e di quello di RAGIONE_SOCIALE ) aveva suscitato l’affidamento incolpevole della medesima.
7.I motivi quinto e sesto- da trattare congiuntamente per connessione – sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
7.1.In particolare, quanto alla (sub) censura proposta con il quinto motivo concernente l’ error in procedendo con riguardo alla declaratoria di inammissibilità della eccezione di buona fede della contribuente – premesso che la rilevazione e l’interpretazione del contenuto degli atti difensivi, e cioè della domanda e della eccezione, attività riservata al Giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti in cui: a) l’errore ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del Giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – ipotesi che ricorre anche nel caso in cui la inesatta rilevazione del contenuto della domanda (o della
eccezione) si riverberi sulla individuazione del petitum , con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; b) l’errore coinvolga la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo; c) l’errore consista nella omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo – in tal caso dovendo essere allora proposta la censura con riferimento, rispettivamente, al vizio di error in judicando ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di error facti , nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012 (Cass. sez. 3, n. 6762 del 2021) – nella specie, la società contribuente non ha assolto all’onere di specificità e autosufficienza, avendo riportato in ricorso soltanto i titoli dei ricorsi introduttivi e delle controdeduzioni in appello, rinviando al contenuto degli atti difensivi. Come è stato recentemente osservato da questa Corte, ‘ In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, riferito alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda ai sensi dell’articolo 366, n. 6, c.p.c., anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione ‘ (Cass. 1.03.2022, n. 6769; Cass. n. 24007 del 2022); modulando il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, cod. proc. civ. (alla cui stregua il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa) in conformità alle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo e, dunque, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, occorre pur sempre che all’interno del ricorso siano richiamati, sia pure in termini essenziali e per la parte d’interesse, gli atti ed i documenti sottesi alle censure svolte (Cass, Sez. 3, 14.3.2022, n. 81:17, Rv. 664252-01), non essendo sufficiente a soddisfare il requisito
ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione (fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione), il rinvio – in assenza di (trascrizione integrale o parziale ovvero, quantomeno, di tale) sintesi contenutistica – agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte (Cass., Sez. 1, 1.3.2022, n. 6769, Rv. 664103-01; Cass. n. 26007 del 2022).
7.2.Quanto alla (sub) censura contenuta nel quinto motivo di difetto motivazionale (sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio e comunque della inesistenza della motivazione) e a quella contenuta nel sesto motivo di violazione di legge con riguardo, entrambe, alla pronuncia della CTR di infondatezza del l’eccezione di buona fede della contribuente (per violazione dell’art. 220, par. 2, lett. b cit. ), le stesse sono inammissibili per carenza di interesse, essendosi con la pronuncia di inammissibilità, per tardività, della relativa eccezione, il giudice di appello spogliato della potestas iudicandi . Ciò, in applicazione del principio secondo cui quando il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare queste ultime, perché esse debbono considerarsi tamquam non esset (Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555).
7.3. In ogni caso, le suddette censure sono infondate.
7.4. Invero, del tutto correttamente e senza incorrere in vizi motivazionali la CTR ha escluso l’esistenza dei presupposti dell’esimente di cui all’art. 220 par. 2 lett.b. cit.
7.5. Infatti, posto che la invocazione della esimente in parola da parte della contribuente sottintende l’allegazione di un errore da parte dell’autorità doganale tunisina, le risultanze escludono tuttavia pacificamente che alcun errore sia stato posto in essere da detta autorità: l’olio extravergine dichiarato in entrata era effettivamente tale. Da quanto precede, discende quindi come non possa esservi
spazio per l’invocazione della buona fede da parte dell’odierna ricorrente, presupposto dell’esimente essendo che, per effetto di un errore dell’autorità doganale (anche straniera), l’importatore sia incorso in un affidamento incolpevole: affidamento che non può sussistere ove errore dell’autorità non vi sia (v. nello stesso senso, Cass. n. 13081 del 2020 e Cass. n. 18748 del 2020). Il che è quanto, nella sostanza, ha correttamente ritenuto il giudice d’appello nel rigettare, comunque, nel merito l’eccezione di buona fede ‘essendo erroneo il richiamo all’art. 220… che prevede l’ipotesi affatto diversa della mancata contabilizzazione dei dazi per errore dell’autorità doganale’. Ugualmente, la CTR ha correttamente disatteso l’eccezione di buona fede anche con riguardo all’irrogazione delle sanzioni atteso che ‘era sufficiente per la loro applicazione che la parte non si comportata con la dovuta diligenza ponendo in essere comportamenti atti ad accertare le effettive caratteristiche della merce in temporanea importazione ‘; peraltro, va ricordato che l’art. 220, par. 2, lett. b), del CDC non fa alcun cenno al piano sanzionatorio, posto che l’esimente dallo stesso prevista attiene esclusivamente all’obbligazione doganale relativa ai dazi, potendo la stessa riguardare la sanzione amministrativa solo indirettamente, nella misura in cui, dovendosi escludere la sussistenza dell’obbligazione doganale per la ricorrenza dei relativi presupposti, resti conseguentemente esclusa anche la violazione della norma tributaria (Cass. 4.08.2020, n. 16625; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18473 del 2023).
8.In conclusione, il ricorso va rigettato.
9.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 10.700,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 20 novembre 2024