Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22664 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22664 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19624/2022 proposto da:
COMUNE DELL’AQUILA , in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dagli avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti; -ricorrente-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t; -controricorrente-
avverso la sentenza resa dalla Cor te dell’Aquila n. 739/2022 pubblicata in data 19/05/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17.06.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione ritualmente notificato la RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE Appaltidestinataria dell’avviso di accertamento COSAP n. 96/2017 emanato dal Comune dell’Aquila Settore Risorse Finanziarie -per la somma di € 6.413,00, conveniva lo stesso Comun e dinanzi al Tribunale dell’Aquila per chiedere l’annullamento del suddetto accertamento notificato in data 19.10.2017 o, comunque, per sentire dichiarare l’intervenuta prescrizione del diritto alla riscossione da parte dell’Ente.
Al riguardo, l ‘attrice assumeva: di aver ottenuto dal Comune dell’Aquila, dietro sua istanza ed in funzione dell’esecuzione di lavori edili presso un condominio immobiliare sito a L’Aquila in INDIRIZZO la concessione di porzioni della pubblica via ivi posta, per mq 208, per il periodo 27.8.2012 -24.12.2012; che la concessione venne dal Comune assentita a titolo oneroso, in applicazione del canone disciplinato dal D.lgs. 507/1993 e norme correlate, secondo la tariffa approvata con apposito regolamento comunale COSAP, depositato nel corso del giudizio; una volta ottenuta la concessione del suolo pubblico la stessa attrice aveva omesso di effettuare il pagamento del canone ritenendo di non essere obbligata in ragione della mancata occupazione del suolo pubblico concessole, avendo trovato il modo di collocare le attrezzature de l cantiere su un’ area di proprietà privata; che, pertanto, non doveva pagare quanto ad essa richiesto dal Comune mediante l’avviso di accertamento che veniva, per l’effetto, opposto con l’atto di citazione; di aver eccepito l’ intervenuta prescrizione quinquennale del canone.
Con comparsa di costituzione e rispost a si costituiva il Comune dell’ Aquila contestando i due motivi proposti dall’attrice.
Con sentenza emessa nel 2020, i l Tribunale disattendeva l’eccezione di prescrizione del credito sollevata dal Comune, ma reputava fondata la
domanda quanto all’insussistenza dei presupposti applicativi del canone Cosap, osservando che: ‘ il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dalla L. n. 448 del 1998, art. 31, è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), per cui il presupposto applicativo del COSAP è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica, tanto più che, come sottolineato anche dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico ‘ ( cfr. Cass. civ., Sez. I, 19.01.2018, n. 1435, nella specie la S.C. ha cassato la sentenza nella quale il giudice di seconde cure, pur non ritenendo esclusa l’occupazione di suolo pubblico da parte di un condominio, aveva fondato la ritenuta non debenza del canone in questione esclusivamente sulla mancanza di una specifica concessione, laddove, invece, il presupposto applicativo della Cosap è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica, essendo irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico) ; ne conseguiva che, anche nel caso in cui il Comune avesse rilasciato l’autorizzazion e all’occupazione ma non vi fosse stato l’effettivo utilizzo particolare da parte del concessionario -e conseguentemente nemmeno una limitazione della fruizione del suolo pubblico da parte della collettività -non sarebbe stato integrato il requisito oggettivo per il pagamento del canone, anche in considerazione della sua natura giuridica di corrispettivo.
Con sentenza del 18.5.2022 la Corte territoriale rigettava l’appe llo del Comune dell’Aquila, osserv ando che: il COSAP, il cui presupposto applicativo era costituito dall’uso del bene di proprietà pubblica , era stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo
strettamente giuridico, dalla tassa per l’occupazione di spaz i ed aree pubbliche (TOSAP); infatti, TOSAP e COSAP avevano natura e presupposti impositivi differenti in quanto la prima era un tributo, che trovava la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituiva il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non era circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiedeva la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico; il soggetto obbligato a corrispondere il COSAP era, dunque, chi poneva in essere l’occupazione, titolata su atto di concessione o abusiva, degli spazi e delle aree del demanio, il che presupponeva che l’occupazione v i fosse stata, non che fosse soltanto stata autorizzata; nel caso in esame, avendo il Comune rilasciato l’autorizzazione all’occupazione, cui non era seguito il concreto utilizzo particolare da parte del concessionario – del che avevano dato prova i tre testimoni assunti in primo grado – non si era verificata alcuna limitazione della fruizione del suolo pubblico da parte della collettività e, quindi, non poteva ritenersi integrato il requisito oggettivo per il pagamento del canone, poiché non era la messa a disposizione ad essere retribuita, ma l’utilizzo del suolo pubblico mediante occupazione; agli enti locali era stato concesso di istituire il canone COSAP, quale prestazione di natura patrimoniale, in alternativa alla TOSAP, configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico; al riguardo, il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, aveva istituito il COSAP, disponendo all’art. 63, primo comma, come
modificato dalla legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, che: ” i comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo 2^ del d.lgs. 15 novembre 1993, n.507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggetta in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa ‘ ; né a diversa decisione poteva portar e l’art. 3 8 del regolamento comunale COSAP laddove stabiliva che ‘ l’autorizzazione o la concessione di suolo pubblico non ritirata dal richiedente fa scaturi re l’obbligo al versamento del canone avendo comunque l’atto autorizzatorio determinato una sottrazione di suolo pubblico per un interesse privato e specifico ‘, perché la norma sembrava presupporre in ogni caso l’utilizzo del suolo a prescindere dal ritiro dell’atto autorizzativo; inoltre , l’art. 57 , comma III, del regolamento comunale CIMP, pubbliche affissioni e COSAP del Comune di L’Aquila prevedeva espressamente che ‘ Il canone per le occupazioni temporanee va versato entro 10 giorni dall’inizio delle occupazioni, prima del termine delle medesime e comunque prima del ritiro delle autorizzazioni ‘; sul punto, il Comune convenuto non ha fornito alcuna prova circa l’effettiva occupazione del suolo da parte del concessionario, né ha allegato la concessione su cui si fonda, o ha indicato la data dell’eventuale ritiro dell’autorizzazione da parte della SEA; l ‘istruttoria espletata, invece, ha consentito di riscontrare la versione offerta dalla società attrice per cui non vi è stato effettivo utilizzo del su olo pubblico sito in L’Aquila, alla INDIRIZZO in quanto il cantiere
ed i suoi impianti erano stati effettivamente posizionati completamente all ‘interno dell’area privata del c ondominio, durante il periodo oggetto della concessione COSAP; sul punto in appello non sono state svolte censure, a parte l’irrilevante contestazione sulla allegazione della conc essione, la cui esistenza non era in discussione.
Il Comune dell ‘Aquila ricorre in cassazione , avverso la suddetta sentenza d’appello, con un unico motivo. Non si è costituita la parte intimata, alla quale il ricorso è stato regolarmente notificato.
RITENUTO CHE
L’unico motivo denunzia violazione dell’art. 360, c. 1°, n. 3, c.p.c. in relazione all’ art. 63 del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ed all’art. 38, commi 7 e 9 del regolamento Comunale CIMP, Pubbliche Affissioni e COSAP, approvato con deliberazione consiliare n. 71 del 29 maggio 2006.
Al riguardo, il ricorrente assume che: il Comune aveva regolamentato il canone in modo tale che con il rilascio della concessione sorgeva per l’autorizzato l’obbligo alla corresponsione del ca none; nello specifico il detto regolamento prevedeva all’ art. 38 ( Rilascio dell’atto di concessione o di autorizzazione) , comma 7: L’autorizzazione o la concessione di suolo pubblico non ritirata dal richiedente fa scaturire l’obbligo al versamento del Canone avendo comunque l’atto autorizzatorio determinato una sottrazione del suolo pubblico per un interesse privato e specifico; il successivo comma 9 del medesimo art. 38 disponeva che: Il titolare dell’atto di concessione o autorizzazione che intenda rinunciare all’occupazione, dovrà darne comunicazione scritta al competente ufficio. Nel caso in cui la comunicazione di rinuncia avvenga prima della data di inizio dell’occupazione prevista nel provvedimento concessorio, il titolare del provvedimento restituirà, contestualmente alla comunicazione, l’originale del provvedimento ed avrà diritto al rimborso del canone; l ‘art. 57 del medesimo regolamento
prescriveva inoltre che il canone per le occupazioni temporanee dovesse essere versato comunque prima del ritiro delle autorizzazioni; dai suindicati riferimenti normativi risultava quindi chiaro che la potestà regolamentare comunale era stata precisamente ed esplicitamente orientata a configurare il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubblici quale corrispettivo direttamente conseguente all’atto di concessione , di modo che il credito pecuniario del Comune costituiva una prestazione direttamente inerente alla messa a disposizione del sedime pubblico; il canone era quindi configurato come corrispettivo di una concessione dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed era dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale assentita in favore del singolo; sembrava evidente che il concessionario, una volta conseguita la posizione legittimante l’uso particolare o eccezionale del suolo pubblico, aveva la possibilità di svolgere, come di non svolgere, tale uso particolare; del resto, poiché la concessione si risolveva in un provvedimento amministrativo ampliativo della sfera giuridica del concessionario, la scelta se fruire, o meno, di tale ampliamento era rimessa a quest’ultimo; il regolamento c omunale (art. 38, comma 9) consentiva al concessionario di rinunciare agli effetti della concessione e, se la rinuncia fosse stata anteriore al termine iniziale della concessione, gli avrebbe assicurato l’integrale rimborso del c anone (che nel caso di occupazioni temporanee, quale quella per cui ora è causa, era dovuto in via anticipata); tale ultima norma implicava tuttavia, ed in maniera chiarissima, che nel caso in cui la predetta rinuncia non fosse stata manifestata, la concessione accordata sarebbe rimasta efficace e vincolante sia per il Comune -obbligato a consentire l’uso eccezionale o particolare del suo lo pubblico concesso – sia per il concessionario, che non aveva la possibilità di ottenere il rimborso del canone pagato e non era assolto dal debito per il
canone impag ato; la Corte d’Appello ha fondato la propria motivazione anche sulla circostanza -pacifica -che la RAGIONE_SOCIALE, dopo aver chiesto ed ottenuto la concessione del suolo pubblico in INDIRIZZO non avesse ritirato il documento emesso, affermando infatti che il Comune convenuto non aveva fornito la prova del l’effettiva occupazione del suolo da parte del concessionario, né aveva allegato la concessione su cui si fondava l’avviso di accertamento n. 2017/96 del 11.102017, né aveva indicato la data dell’eventuale ritiro dell’autorizzazione da parte della RAGIONE_SOCIALE, in tal modo mancando di dimostrare l’integrazione del pr esupposto del credito ingiunto; tale argomentazione del la Corte d’Appello era in contraddizione con l’affermazione della medesima Corte, graficamente collocata poche righe più sopra, secondo cui il soggetto obbligato a corrispondere il cosap è chi pone in essere l’ “occupazione”, titolata su atto di concessione o abusiva, degli spazi e delle aree del demanio, il che ha come presupposto che l’occupazione vi sia stata, non che fosse soltanto stata autorizzata ; peraltro, la Corte ha propugnato la tesi che nel concetto di corrispettività del canone rispetto all’atto conce ssorio del suolo pubblico, dovesse essere necessariamente inclusa la fisica e materiale occupazione del suolo pubblico che si contrapponeva alla chiara lettera del regolamento comunale attuativo del disposto de ll’art. 63 del D. Lgs. 446/1997 ; pertanto, la circostanza del mancato fisico ritiro del documento di concessione, come pure la scelta -giammai comunicata all’ente l ocale -di non utilizzare la concessione così ottenuta non avevano inciso sull’esigibilità del canone e sulla potestà del Comune di emettere nei confronti della SEA l’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio, come pure di emanare in danno della medesima la successiva ordinanza di ingiunzione ai sensi dell’art. 2 del R.D. n. 639/1910.
Il motivo è infondato.
Ai fini della decisione, occorre dar conto degli orientamenti di questa Corte circa la natura del COSAP.
Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche costituisce il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni, sicché la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d’impresa (Cass., n. 16395/2021).
Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dall’art. 63 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall’art. 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presun ta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o ecc ezionale che ne trae il singolo (Cass., n. 1435/2018; nella fattispecie la Corte ha cassato la sentenza nella quale il giudice di secondo grado , pur non ritenendo esclusa l’occupazione di suolo pubblico da parte di un condominio, aveva fondato la ritenuta non debenza del canone in questione esclusivamente sulla mancanza di una specifica concessione, laddove, invece, il presupposto applicativo del COSAP è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica, essendo
irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico).
Dalla giurisprudenza citata si desume che, essendo il presupposto applicativo del COSAP l’effettivo e concreto utilizzo del bene pubblico da parte del singolo, il mancato uso, pur dopo il rilascio della concessione, esclude l’obbligo di pagamento.
Né a diversa conclusione si perviene invocando il predetto regolamento comunale il cui art. 38, comma 9, consente al concessionario di rinunciare agli effetti della concessione e, se la rinuncia è anteriore al termine iniziale della concessione, gli ass icura l’integrale rimborso del c anone (che nel caso di occupazione temporanea, quale quella per cui ora è causa, è dovuto in via anticipata); tale norma implicherebbe, secondo il ricorrente, che nel caso in cui tale rinuncia non sia stata manifestata, la concessione accordata resterebbe efficace e vincolante sia per il Comune -che è obbligato a consentire l’uso eccezionale o particolare del suo pubblico concesso -, sia per il concessionario, che non avrebbe la possibilità di ottenere il rimborso del canone pagato e non sarebbe assolto dal debito per il canone impagato.
Invero, va anzitutto osservato che il regolamento comunale, quale atto di normazione secondaria, non è suscettibile di derogare alla fonte legislativa che disciplina il COSAP in mancanza di una norma che legittimi la delegificazione in materia.
Al riguardo, va osservato che, ai fini della disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo non occorre una pronuncia espressa da parte del giudice ordinario, giacché la relativa statuizione può essere contenuta nella sentenza che, sul presupposto implicito della violazione, ad opera di esso, di diritti soggettivi, consideri l’atto amministrativo tamquam non esset (Cass., n. 24178/2004). Tale orientamento affonda le proprie origini in una risalente, ma ancora attuale, pronuncia delle Sezioni unite a tenore della quale quando
il giudizio di illegittimità dell’atto amministrativo e espresso, in modo esplicito o implicito, ai soli fini della disapplicazione dell’atto illegittimo (od illecito) a tutela del diritto soggettivo dedotto in causa, senza pronunce conseguenziali rivolte a sostituire la volontà del giudice a quella della pubblica amministrazione in ordine all’annullamento, alla modifica o alla revoca dell’atto amministrativo, non sussiste eccesso di potere giurisdizionale (SU, n. 3047/1968).
Nella specie, la statuizione impugnata in ordine alla non debenza del COSAP implica, di fatto, una disapplicazione implicita della citata norma regolamentare in quanto confliggente con le norme di rango superiore dettate dal predetto d.lgs. n. 447/1996, se interpretata nel senso della necessità di una rinuncia espressamente manifestata alla concessione per escludere la debenza del pagamento del canone.
Pertanto , l’interpretazione sosten uta dal ricorrente non è condivisibile, nel senso che la suddetta norma regolamentare, per come letteralmente formulata, non può escludere che anche nel caso di mancanza di un’espressa rinuncia, la mancata utilizzazione dell’area pubblica, o ggetto del COSAP, renda inesigibile il pagamento in questione, non sussistendone i presupposti costitutivi.
Quella oggetto di causa, in altri termini, è una fattispecie che è da intendere implicita nei presupposti normativi della concessione che, per quanto esposto, richiedono il concreto uso del bene pubblico.
Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della I Sezione civile il 17 giugno 2025.