Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24614 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24614 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 2009/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’ avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL);
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 1448/05/2015, depositata il 24.06.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Bari rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento, per imposte
Oggetto:
Tributi
dirette ed IVA, con il quale erano stati determinati maggiori ricavi per l’anno 2005, conseguiti da vendite sottofatturate di unità immobiliari; – con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria proposto dalla
Regionale della Puglia accoglieva parzialmente l’appello contribuente osservando, per quanto qui rileva, che:
-l’appello era infondato con riferimento a i maggiori ricavi per euro 170.435,00, accertati con riferimento alle somme corrisposte dagli acquirenti COGNOME Vincenzo e COGNOME Antonio, in quanto le dichiarazioni rese da questi erano ‘altamente attendibili’, anche per le conseguenze negative a cui gli stessi si esponevano;
-dette dichiarazioni erano poi supportate da documentazione extracontabile, quale contratti preliminari, mutui contratti presso istituti di credito, contabili bancarie attestanti i bonifici ed i prelevamenti in contante, nonché l’emersione, a seguito delle indagini di polizia giudiziaria, di un sistematico ed illecito fenomeno del sovrapprezzo ‘ in nero ‘ , applicato sulle vendite delle unità immobiliari, confermato dallo stesso COGNOME in sede di interrogatorio di garanzia davanti al G.I.P. del Tribunale di Trani;
non poteva essere accolta la richiesta di riconoscimento dei costi relativi ai ricavi omessi, formulata solo nel giudizio di appello, essendo presumibile, peraltro, che tali costi, privi di riscontri, fossero già stati esposti in dichiarazione;
era fondata, invece, la censura riguardante i maggiori corrispettivi per euro 26.959,00, che sarebbero stati conseguiti dalla vendita effettuata a COGNOME NOME, in quanto quest’ultimo non aveva mai riferito di aver corrisposto somme ‘in nero’ e non erano stati allegati altri elementi da cui desumere tale circostanza, che non si poteva evincere dalle dichiarazioni rese da altri acquirenti;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
l ‘ Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo la contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ., 24 Cost., 115 e 116 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che le dichiarazioni rese inizialmente da COGNOME alla Guardia di Finanza, riportate nel PVC del 26.07.2010, erano state dalla stessa ritrattate ed erano comunque inattendibili, avendo la predetta COGNOME indicato sia nella missiva inviata alla società contribuente per sottoscrivere l’atto di compravendita definitivo, sia nell’atto di citazione in giudizio innanzi al Tribunale di Trani, sia nell’atto definitivo di vendita, stipulato il 12.01.2011 innanzi al Notaio NOME COGNOME di Bari, che il prezzo corrisposto fosse di euro 135.000,00 e non essendovi altri elementi di riscontro; precisa che, in relazione alle cessioni effettuate al COGNOME e al COGNOME, il corrispettivo pattuito erano congruo ed adeguato al valore degli immobili compravenduti, tanto che i relativi atti di acquisto non sono mai stati oggetto di accertamento da parte dell’Ufficio sul valore dichiarato e comunque mancavano elementi di riscontro; aggiunge che la sentenza è errata nella parte in cui rigetta il gravame in relazione al riconoscimento dei costi relativi ai ricavi omessi;
il motivo è inammissibile sotto plurimi profili;
occorre premettere che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., bensì un errore di valutazione dei fatti,
che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e, dunque, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 ( ex multis , Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 8473 del 2018);
sul punto va richiamato anche il principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale » (Cass., Sez. U., 5 marzo 2024, n. 5792);
-ciò premesso, poiché la ricorrente lamenta la mancata considerazione di fatti sostanziali, occorre verificare se il vizio è stato correttamente dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ;
-la nuova formulazione del vizio di legittimità, introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha sostituito l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate dopo l’11.09.2012), ha limitato il ricorso alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “, con la conseguenza che, al di fuori
dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (Cass. 2.10.2017, n. 23940);
laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazione della provvedimento impugnato, quindi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per contestare la sufficienza della sua argomentazione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit. e Cass. Sez. U. 22.09.2014, n. 19881);
-è stato poi precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); – si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma
1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
la ricorrente si è limitata a censurare l’attendibilità di uno dei soggetti acquirenti degli immobili venduti dalla contribuente e ad evidenziare la congruità dei prezzi dichiarati negli atti di vendita, non denunciando l’omesso esame di un fatto, ma censura ndo, nella sostanza, una motivazione insufficiente della sentenza impugnata; sotto l’apparente censura dell’omesso esame di un fatto decisivo, peraltro, la ricorrente mira, in realtà, ad ottenere una rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso un nuovo apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
il motivo sarebbe in ogni caso infondato, in quanto, come ha evidenziato il giudice di appello, il recupero non si fondava solo sulle dichiarazioni rese dagli acquirenti, ma queste erano supportate da documentazione extracontabile, costituita, ad esempio, da contratti preliminari, mutui contratti presso istituti di credito, contabili bancarie attestanti i bonifici ed i prelevamenti in contante, che ha fatto emergere un sistematico ed illecito fenomeno del sovrapprezzo ‘in nero’, applicato sulle vendite di unità immobiliari, confermato dallo stesso COGNOME in sede di interrogatorio di garanzia davanti al G.I.P. del Tribunale di Trani;
in ordine alla sub-censura sul mancato riconoscimento dei costi relativi ai ricavi non dichiarati, poi, il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha
rigettato la richiesta di riconoscimento di detti costi, in quanto formulata per la prima volta nel giudizio di appello; il giudice del gravame ha comunque accertato, con un giudizio insindacabile in questa sede, che non vi fossero riscontri in ordine all’effettivo sostenimento di tali costi;
in conclusione, il ricorso va rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 5.900,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 giugno 2025.