Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4759 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 22727/2022 proposto da:
Agenzia delle Dogane, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, con facoltà anche disgiunte, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, INDIRIZZO, giusta procura in calce al ricorso per cassazione
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LIGURIA n. 342/2022, depositata in data 21 marzo 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello principale e l’appello incidentale , proposti avverso la sentenza di primo grado, che aveva, in parziale accoglimento dei ricorsi, riuniti, annullato tutte le sanzioni irrogate (per euro 570.000,00), confermando, per il resto, gli accertamenti relativi all’evasione dei dazi antidumping, Iva ed interessi per euro 1.292.147,62.
I giudici di secondo grado, sulla premessa che l’elemento essenziale della vertenza era costituito dalle risultanze dell’indagine COGNOME cui entrambe le parti si richiamavano per trarne conclusioni diametralmente opposte, ha ritenuto che l’Olaf era stata in grado di identificare che una serie di importazioni dalla RPC in India di merci della voce SA7304 corrispondevano alle esportazioni dello stesso prodotto dall’India verso l’Unione Europea, in quanto la relazione era pervenuta alla conclusione che poteva essere escluso che la merce importata potesse essere tubi di profilo vuoto e che il trattamento effettuato da RAGIONE_SOCIALE non soddisfaceva la regola di origine e riteneva chiaro che i tubi importati in regime di sospensione erano già prodotti finiti; gli accertamenti erano, dunque, validi, né si perveniva ad una diversa conclusione a seguito della procedura d’inchiesta avviata dalla Commissione Europea per il periodo 10 aprile 2009 -30 settembre 2016, che riguardava solo marginalmente il periodo agosto 2010dicembre 2018 oggetto dell’Indagine RAGIONE_SOCIALE.
I giudici di appello, poi, ritenevano che l’accertamento non difettava di motivazione, disponendo degli elementi sufficienti per approntare le
difese, compreso il contenuto degli allegati di cui erano riportate le parti essenziali; che l’Ufficio aveva dato conto dei rilievi della società e che non trovava applicazione l’art. 119 Codice Doganale Unionale in quanto l’Agenzia aveva rilevato che non risultava allegato alcun certificato di origine alle operazioni contestate, l’Agenzia si era semplicemente attenuta alle direttive impartite dall’Olaf, né poteva essere invocata la buona fede da parte di un importatore abituale del settore.
La Commissione tributaria regionale ha, poi, rigettato l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate sull’annullamento delle sanzioni, ritenendo che la società RAGIONE_SOCIALE aveva tratto il convincimento di operare regolarmente dall’esito dell’inchiesta della Commissione Europea, che aveva appurato la capacità della RAGIONE_SOCIALE di effettuare le lavorazioni sui tubi importati tali da comportarne la natura di origine indiana e la circostanza che tale indagine era quasi totalmente precedente alle importazioni in esame portava a concludere che tale elemento fosse sufficiente ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio dell’assenza di colpa in capo alla società.
L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un motivo.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e ricorso incidentale fondato su quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo ed unico m otivo dell’Agenzia delle Entrate deduce l’illegittimità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e dell’art. 2 697 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 11, comma 2, del
Regolamento dell’unione europea del Parlamento e del Consiglio n. 883 del 2013. I giudici di merito avevano ritenuto che alla società RAGIONE_SOCIALE non poteva essere rimproverato un comportamento negligente o di scarsa diligenza nella effettuazione delle operazioni doganali, in quanto la società avrebbe posto in essere tutte le attività di informazione concretamente esigibili. L’ erroneità della dichiarazione d’origine da cui era scaturito l’accertamento in discussione era stata contestata dall’Ufficio a seguito di controlli a posteriori svolti dall’O laf, il quale, in effetti, aveva accertato che la società indiana fornitrice della RAGIONE_SOCIALE (la RAGIONE_SOCIALE) aveva importato dalla Repubblica popolare cinese le partite in discussione rispedendole, successivamente, verso l’Unione Europea senza praticare ulteriori lavorazioni sulle stesse, ovvero dopo averle sottoposte a trattamenti insufficienti ai fini dell’acquisizione dell’origine indiana e l’er rata indicazione in bolletta dell’origine della merce era condizione sufficiente a determinare il perfezionamento della violazione, sia nel suo elemento oggettivo sia in quello soggettivo. La Commissione tributaria regionale aveva valutato positivamente, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio del contribuente, sia le attestazioni e certificazioni di qualità ricevute dalla fornitrice indiana, sia l’esito dell’inchiesta svolta dalla Commissione Europea, quasi totalmente precedente alle importazioni, ma con riferimento a quest’u ltimo punto, il giudice di secondo grado era incorso in un errore di diritto nel ritenere che l’inchiesta della Commissione Europea era idonea ad appurare la capacità della RAGIONE_SOCIALE ad effettuare le lavorazioni sui tubi importati, tale da conferire loro l’origine indiana , in quanto la Commissione era giunta a tale conclusione, non sulla base delle disposizioni particolari relative ai criteri di acquisizione del carattere originario, ma in ragione di quelle in materia antidumping e la chiusura dell’inchiesta non elideva l’applicazione delle norme sull’origine delle merci, che, se originarie della Repubblica popolare cinese non sarebbero state soggette a un
dazio nullo ma a un dazio antidumping del 71,9% . Inoltre, la sentenza impugnata non aveva esaminato il rapporto finale dell’Olaf, che aveva accertato che tutti i tubi di acciaio inossidabile senza giunture esportati tra le tre compagnie indiane avevano origine nella Repubblica popolare cinese ed erano stati in primo luogo portati dalla Cina in India e in secondo luogo riesportati nell’Unione europea e che, anche si vi era stato un qualche procedimento produttivo in India, questi non era stato sostanziale. La Commissione tributaria regionale aveva omesso in toto di tradurre e valutare il rapporto finale dell’Olaf che costituiva prova ai sensi dell’articolo 11, comma 2, lett. a, del Regolamento UE n. 883 del 2013 violando gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e l’art. 2697 cod. civ. civile, da cui risultava il pieno coinvolgimento e la colpa dell’esportatore indiano che doveva essere riconosciuta dall’importatore italiano in ossequio agli elevatissimi standard di diligenza che gli incombevano. I giudici di appello avevano perso di vista il fatto che la trasformazione sostanziale che dava diritto al cambio dell’origine si verifica va solo nel caso in cui ai prodotti importati dalla Cina fosse stata attribuita la voce tariffaria 7304 e ai prodotti esportati verso l’UE fosse stata attribuita una voce diversa dalla 7304 (regola del cambio dell’origine) e non l’astratta possibilità che la società RAGIONE_SOCIALE fosse stata astrattamente in grado di formare a freddo i tubi. Inoltre gli accertamenti dell’Olaf avevano dimostrato come RAGIONE_SOCIALE, nel periodo di riferimento, importasse in India tubi già finiti, senza effettuare la lavorazione di formatura a freddo e aveva, quindi, violato il regolamento antidumping, poiché la merce riesportata nella UE aveva mantenuto l’origine cinese. Con riferimento poi alle certificazioni di qualità fornite dalla società RAGIONE_SOCIALE e ai controlli dalla stessa svolti presso il proprio fornitore estero, gli stessi attestavano soltanto la conformità alla normativa internazionale di qualità e di sicurezza del sistema di gestione dei processi produttivi impiegato dal predetto fornitore extraunionale, ma nulla dimostravano in ordine alla corretta
applicazione delle norme doganali in materia di origine da parte dei soggetti coinvolti nelle transazioni, ovvero all’assenza in capo all’autore della condotta illecita dell’elemento soggettivo, che, nella vicenda in trattazione, era, quindi, da ritenere presente.
2. Il primo motivo del ricorso incidentale deduce, in via pregiudiziale, l’o messo esame di fatti decisivi per la risoluzione della controversia e la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c od. proc. civ., avendo la sentenza impugnata statuito in maniera del tutto avulsa sia dalle circostanze fattuali, pacifiche e non controverse, che dalle risultanze probatorie in atti. I giudici di secondo grado non avevano attribuito alcun rilievo alla copiosa documentazione prodotta dalla quale si evinceva che i prodotti acquistati e importati dalla società erano di origine indiana e che non erano stati oggetto di un mero trasbordo. I prodotti importati erano stati scortati da regolare certificato di origine, rilasciato dalla Camera di Commercio indiana, e che NOME COGNOME era in possesso di numerose certificazioni di Enti internazionalmente riconosciuti che testimoniavano la capacità produttiva dell’impianto sito in India, occupante oltre 700 addetti, come confermato anche dalla stessa Commissione europea con il Reg. UE 2017/2093, anche attraverso accessi sul posto. La sentenza impugnata aveva operato un travisamento dei fatti e delle circostanze del caso attribuendo valore probatorio unicamente alle conclusioni dell’Ola f. In assenza di elementi che consentissero di riferire i risultati dell’indagine (svolta «a tavolino») alle operazioni contestate, basandosi su dati statistici aggregati, riferiti ad una pluralità di operatori e a centinaia di operazioni doganali.
Il secondo motivo deduce, la violazione e/o errata applicazione dell’art. 2697 c od. civ. e degli artt. 3, 9 e 11 Reg. UE 883/2013, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c od. proc. civ.. La sentenza impugnata era erronea nella parte in cui non aveva riconosciuto la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in quanto la pretesa dell’Ufficio si
fondava unicamente su alcuni riferimenti contenuti in un’indagine Olaf non riconducibili alle operazioni contestate e smentiti dalla più approfondita indagine svolta dalla Commissione europea. La Dogana, per contestare l’origine certificata dalla Camera di Commercio indiana, con certificati d’origine validi ed efficaci, avrebbe dovuto dimostrare, incombendo sulla stessa il relativo onere probatorio, che i beni importati non erano stati realizzati da RAGIONE_SOCIALE in India, ma erano originari della Cina, mentr e l’Ufficio si era limitato a richiamare un’indagine dell’Olaf. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, l’indagine seguita sul posto dalla Commissione europea aveva espressamente convalidato l’origine indiana dei prodotti , stabilendo che dall’inchiesta era risultato che la lavorazione a freddo trasformava il prodotto in modo sostanziale. La sentenza impugnata era illegittima avendo omesso di considerare che nell’ipotesi in cui l’accertamento scaturi va da una indagine Olaf gravava comunque sull’Amministrazione l’onere di provare che le contestazioni dell’Olaf si riferivano direttamente e specificamente ai prodotti sottoposti a rettifica e, in tal senso, rilevava anche il carattere dubitativo della stessa informativa Olaf avendo ipotizzato presunte frodi doganali sulle importazioni di tubi senza saldatura in acciaio inox dichiarati originari dell’India sospettati di essere originari della Cina. In particolare, l’Olaf non aveva identificato eventuali società indiane specificamente coinvolte nella frode, si era limitato a un mero incrocio di dati statistici su decine di operatori indiani rilevati «a tavolino», non avendo l’Olaf mai visitato gli stabilimenti di RAGIONE_SOCIALE. La società RAGIONE_SOCIALE, pur non essendone onerata, aveva dimostrato che il fornitore indiano era un effettivo produttore di tubi di acciaio inossidabile trafilati o laminati a freddo, originari dell’India, in possesso di numerosi certificati e attestazioni di qualità, come confermato anche da due recenti sentenze della Corte fiscale di Düsseldorf e da due recenti provvedimenti adottati dalla Dogana ungherese e dalla Dogana
polacca. Ancora, con riferimento ai tubi di acciaio inossidabile a freddo, era idonea a conferire l’origine indiana la lavorazione sostanziale effettuata in India da RAGIONE_SOCIALE su profilati grezzi (7304 49) importati dalla Cina e che consentiva di trasformarli in tubi di acciaio trafilati o laminati a freddo (7304 41), come riscontrato anche dalla consulenza tecnica del Prof. Ing. NOME COGNOME prodotta nel giudizio di primo grado. Si chiedeva, dunque, la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia per la prospettazione dei seguenti quesiti: 1. Se un report Olaf, privo di riscontri concreti sulle operazioni effettuate da un importatore, sia, di per sé, sufficiente a fondare la rettifica dell’Ufficio o se, al contrario, l’Agenzia delle dogane abbia l’onere di provare che le conclusioni dell’Uf ficio europeo antifrode si riferiscono specificamente alle importazioni contestate; 2) se un regolamento dell’unione europea, dotato di immediata e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, possa considerarsi fonte gerarchicamente sovraordinata rispetto a un Report conclusivo delle indagini Olaf; in caso di risposta affermativa, se le indagini dell’Ufficio europeo antifrode possano giungere a una conclusione opposta rispetto ai risultati di un’inchiesta sull’accertamento dell’origine delle merci eseguita dalla Commissione europea nei confronti di medesimi fornitori (Reg. UE 2017/2093), ovvero se debbano conformarvisi; 4) in subordine, se l’indagine RAGIONE_SOCIALE possa richiamarsi unicamente a dati statistici riconosciuti come ≪ contraddittori ≫ dalla stessa Commissione europea con il Reg. UE 2017/2093.
Il terzo motivo deduce la violazione e/o errata applicazione degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000 e 11, comma 5 bis , del decreto legislativo n. 374 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., non avendo la sentenza impugnata riconosciuto il vizio di motivazione con riferimento ai provvedimenti impugnati, in quanto attraverso il meccanismo di rinvio espresso dai giudici di secondo grado, la motivazione risultava contenuta nelle risultanze di
un rapporto NOME, che, tuttavia, non era stato integralmente allegato ai provvedimenti impugnati.
Il quarto motivo deduce la violazi one e/o errata applicazione dell’art. 119 Reg. UE 952/2013 (CDU), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era errata nella parte in cui aveva escluso l’applicazione dell’esimente di cui alla norma richiamata, posto che per tutte le importazioni contestate la merce era scortata da un regolare certificato di origine e sussistendo tutte le condizioni previste per l’applicazione dell’art. 119 CDU, ovvero l’errore delle autorità co mpetenti, la mancata scoperta dell’importatore di tale errore, il rispetto da parte dell’importatore di tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore, la buona fede dell’debitore.
Ritenuto opportuno che il presente ricorso sia trattato in pubblica udienza, stante le questioni di natura nomofilattica che devono essere esaminate, avuto particolare riguardo all’efficacia scriminante della buona fede, in tema di sanzioni, come codificata dall’art. 220 C.D.C. e al rapporto tra quest’ultima norma e le disposizioni di cui agli artt. 5, 6 e 10 del d.lgs. n. 472 del 1997, che detta i principi generali in materia di sanzioni (cfr. Cass., 4 agosto 2020, n. 16625);
P.Q.M.
La Corte rimette la causa in pubblica udienza. Così deciso in Roma, in data 29 gennaio 2025.