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Operazioni soggettivamente inesistenti: prova e oneri

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19307/2024, ha cassato una sentenza che negava la detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha chiarito che l’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria, la quale deve dimostrare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente. Non è sufficiente basarsi su mere discrasie tra gli interlocutori commerciali e gli amministratori risultanti dal Registro delle Imprese.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: L’Onere della Prova grava sul Fisco

Nell’ambito del diritto tributario, le operazioni soggettivamente inesistenti rappresentano una delle fattispecie più complesse e dibattute. Si tratta di operazioni commerciali che sono state effettivamente eseguite, ma in cui uno dei soggetti indicati in fattura è fittizio, interposto al fine di consentire a terzi una detrazione IVA indebita. Con l’ordinanza n. 19307 del 12 luglio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui principi che regolano l’onere della prova in questi casi, stabilendo paletti precisi per l’azione dell’Amministrazione Finanziaria.

I Fatti di Causa: Un Accertamento Basato su Indizi Formali

Il caso trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava l’IVA indebitamente detratta da una società per l’anno 2010. L’Amministrazione Finanziaria contestava la natura soggettivamente inesistente di alcune operazioni di acquisto, basando le proprie conclusioni su diversi elementi: le dichiarazioni del legale rappresentante della società acquirente, la breve durata delle società fornitrici, l’assenza di personale dipendente e una generale mancanza di diligenza da parte dell’acquirente, che non avrebbe effettuato le dovute verifiche consultando il Registro delle Imprese. In particolare, emergeva che le trattative commerciali erano state condotte con soggetti diversi dagli amministratori di diritto delle società cedenti.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale (CTR) avevano dato ragione al Fisco, ritenendo che le anomalie riscontrate fossero sufficienti a presumere che le operazioni fossero viziate da evasione IVA e che il contribuente, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto esserne consapevole.

Il Ricorso in Cassazione e l’onere probatorio

La società contribuente ha impugnato la decisione della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la violazione delle norme sulla ripartizione dell’onere della prova in tema di operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo la difesa, i giudici di merito avevano fondato la loro decisione su un unico elemento – la discrasia tra gli interlocutori di fatto e gli amministratori di diritto – senza che l’Agenzia avesse provato né l’effettiva inesistenza delle società fornitrici né la mancata disponibilità della merce.

La Prova della Frode IVA: Due Pilastri Fondamentali

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella loro giurisprudenza: quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la detraibilità dell’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, ha il preciso onere di provare due elementi distinti:

1. La fittizietà del fornitore: Deve dimostrare, anche tramite presunzioni, che il soggetto indicato in fattura è una mera ‘cartiera’, un’entità interposta priva di una reale struttura operativa.
2. La consapevolezza dell’acquirente: Deve provare che l’acquirente sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, di essere parte di un’operazione fraudolenta. Occorre fornire indizi idonei a porre sull’avviso un imprenditore onesto e mediamente esperto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha censurato la sentenza della CTR per non aver fatto buon governo di questi principi. I giudici di merito si erano limitati a un confronto tra le dichiarazioni del cessionario e le risultanze camerali, fondendo i due profili probatori in un giudizio unitario basato sulla sola discrasia tra le persone con cui si era trattato e i legali rappresentanti. Questo approccio è stato ritenuto errato. La Cassazione ha sottolineato che il fatto di trattare con un preposto o un incaricato, anziché direttamente con l’amministratore, non è di per sé un elemento anomalo tale da far sorgere il sospetto di una frode. Inoltre, la sentenza impugnata non aveva considerato elementi di segno contrario portati dalla società, come il fatto che le società cedenti disponessero di locali aziendali, un dato che deponeva a favore della loro effettiva ‘esistenza’ e della ‘normalità’ delle operazioni. In sostanza, la CTR ha dato un rilievo decisivo a un dato formale (le risultanze camerali) senza svolgere alcun accertamento sulla situazione effettiva dei fornitori e senza valutare tutti gli elementi a disposizione.

Le Conclusioni

La pronuncia in esame rafforza la tutela del contribuente in buona fede e chiarisce i confini dell’azione accertatrice del Fisco. Per negare la detrazione IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, non basta all’Amministrazione Finanziaria evidenziare delle discrepanze formali o presunte mancanze di diligenza generiche. È necessario fornire un quadro probatorio solido, che dimostri con elementi concreti e specifici sia la natura fittizia del cedente, sia la colpevole consapevolezza del cessionario. L’onere della diligenza richiesto all’imprenditore non può tradursi in un’attività di investigazione che esula dalla normale pratica commerciale. La decisione della Cassazione, cassando con rinvio la sentenza, impone un nuovo esame del merito che tenga conto di questi imprescindibili principi.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la frode?
L’onere della prova grava sull’Amministrazione Finanziaria, che deve dimostrare, anche tramite presunzioni, sia la natura fittizia del fornitore sia il fatto che l’acquirente fosse o potesse essere consapevole della frode, disponendo di indizi idonei a mettere in allarme un imprenditore mediamente esperto.

È sufficiente dimostrare che l’acquirente ha trattato con persone diverse dagli amministratori legali per negare la detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, questa circostanza da sola non è sufficiente per affermare la fittizietà del fornitore o la consapevolezza della frode da parte dell’acquirente, specialmente in presenza di elementi contrari, come la disponibilità di locali aziendali da parte del fornitore. Trattare con un preposto o un incaricato non è di per sé un’anomalia.

Quale livello di diligenza è richiesto all’acquirente per non essere coinvolto in una frode IVA?
L’acquirente deve adoperare la diligenza di un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza. La Corte chiarisce che ciò non implica il dovere di svolgere complesse indagini investigative sull’organizzazione interna dei propri fornitori, ma di prestare attenzione a evidenti indizi di irregolarità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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