Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33878 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33878 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 177/2016 proposto da:
COGNOME NOME, titolare della ditta individuale «RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente fra loro, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione.
–
ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della PUGLIA n. 1175/6/15, depositata in data 25 maggio 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto fondato il ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME qual titolare della ditta individuale «RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME», avente ad oggetto l’avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2008 , concernente fatture emesse per acquisti di materie plastiche dalla ditta individuale «RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
I giudici di secondo grado hanno preliminarmente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata sull’assunto che il gravame non fosse stato proposto nei confronti della sentenza nella parte in cui aveva accolto il ricorso per insufficienza dell’unico elemento probatorio addotto rappresentato dal PVC redatto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ritenendolo implicitamente contestato dall’Ufficio , che aveva censurato la sentenza di primo grado laddove aveva ritenuto che la regolare tenuta della contabilità da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE non fosse un elemento determinante per ritenere infondato l’accertamento.
Nel merito, la Commissione tributaria regionale ha affermato che:
-) era emerso che la ditta RAGIONE_SOCIALE era stata attiva solo dal 14 aprile 2008 al 26 gennaio 2009 e non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi, non aveva posto in essere le scritture contabili e aveva omesso la presentazione delle dichiarazioni ai fini Ires, Irap ed Iva per gli anni 2008 e 2009; inoltre, la titolare, NOME NOME, aveva dichiarato di non sapere dove fosse ubicata la sede della ditta e se quest’ultima disponesse di attrezzature o mezzi di trasporto, di non sapere indicare clienti e fornitori e di avere accettato di intestarsi, dietro compenso, una ditta che operava nel settore plastico e che tale NOME COGNOME si era interessato di tutto; era stato pure accertato che l’indirizzo della sede legale e amministrativa della ditta era costituito da un immobile di circa 65 mq con una sola scrivania, una sedia e un telefono e molti dei clienti interpellati, fra i quali il COGNOME, avevano dichiarato di non conoscere NOME e di avere avuto contatti con NOME COGNOME; -) tutti questi elementi portavano a ritenere che la RAGIONE_SOCIALE fosse fatture commerciali, per conto di altri reali cedenti, al fine di omettere il
una società cartiera creata al solo scopo di emettere versamento dell’Iva dovuta;
-) la Guardia di Finanza di Bari aveva accertato che la RAGIONE_SOCIALE aveva emesso 17 fatture nel 2008 per un imponibile di euro 404.914,96 e che le forniture erano state pagate tutte con bonifici bancari sulla base di fatture pro-forma emesse prima delle fatture accompagnatorie; inoltre, il COGNOME aveva dichiarato di non conoscere COGNOME NOME e di avere intrattenuto rapporti commerciali con COGNOME NOME, soggetto che operava nel settore delle materie plastiche e legale rappresentante di diverse società operanti in detto settore;
-) gli elementi oggettivi evidenziati non denotavano la buona fede della ditta RAGIONE_SOCIALE, in quanto il COGNOME, imprenditore operante da anni nel settore, aveva acquistato materiali plastici per rilevanti importi da una società appena entrata nel mercato, pagando in anticipo le forniture, pur non conoscendo il legale rappresentante COGNOME NOME e
tale modo di operare rappresentava una anomalia nell’ambito delle prassi commerciali e poteva trovare spiegazione soltanto nella consapevolezza del COGNOME che la sua controparte contrattuale fosse COGNOME NOMECOGNOME operatore con esperienza nel settore e verosimilmente reale fornitore della merce acquistata;
-) inoltre, era stato accertato che la RAGIONE_SOCIALE vendeva, subito dopo l’acquisto, la merce con ricarichi minimi a terzi, in assenza di autorizzazione per il commercio all’ingrosso di gomma greggia e materie plastiche in forme primarie e semilavorati, così configurando un sistema di fatturazioni di operazioni inesistenti di tipo triangolare con il coinvolgimento di imprese cartiere, imprese filtro e imprese beneficiarie, reali acquirenti.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
L ‘Agenzia delle Entrate si è costituita al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. ed in via pregiudiziale, la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del decreto legislativo n. 546 del 1992 e degli artt. 324, 329, 342 e 100 cod. proc. civ., con riguardo all’inammissibilità dell’appello per omessa esposizione dei motivi. Il ricorrente aveva dedotto , in sede di controdeduzioni, che l’Ufficio non aveva eccepito nulla sul capo della sentenza con cui i giudici di primo grado avevano annullato l’avviso di accertamento, ovvero che esso era carente di motivazione, poiché l’unico elemento p robatorio a carico del COGNOME era costituito dal solo PVC redatto nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE COGNOME Anna e su tale capo di domanda si era formato il giudicato interno. La sentenza impugnata, sul punto, era errata,
stante l’indipendenza dei due capi della motivazione di primo grado (quello che aveva ritenuto che la regolare tenuta della contabilità non fosse un elemento determinante per ritenere infondato l’accertamento e quello che aveva accolto il ricorso ritenendo insufficiente l’unico elemento probatorio costituito dal pvc redatto nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE di Turco Anna), in quanto il primo aveva valutato la prova fornita dal contribuente, ovvero la correttezza della sua contabilità e il secondo aveva esaminato una prova che era a carico dell’Ufficio e che era stata considerata dai giudici insufficiente.
1.1 Il motivo è inammissibile per difetto del requisito dell’attinenza della censura alla ratio decidendi della sentenza impugnata, laddove i giudici di secondo grado, nel rigettare l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, sollevata dall’appellato, hanno affermato che « In realtà l’Ufficio, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che la regolare tenuta della contabilità da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE non fosse un elemento determinante per ritenere infondato l’accertamento, ha implicitamente contestato – in forza del principio devolutivo – anche l’altro aspetto motivazionale correlato che attiene al fatto che l’unico elemento probatorio addotto dall’ufficio fosse il p.v.c. redatto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE» (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
1.2 Invero, in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2091; Cass., 10 agosto 2017, n. 19989) e, più precisamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi eser cita il diritto d’impugnazione, la decis ione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre
identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ≪ non motivo ≫ , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. (Cass., 14 marzo 2017 n. 6496; Cass., 31 agosto 2015, n. 17330).
1.3 Né si è formato alcun giudicato (interno), dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione» (Cass., 15 dicembre 2021, n. 40276; Cass., 18 settembre 2017, n. 21566).
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi posti dalla Corte di Giustizia UE e dalla Corte di Cassazione in tema di operazioni soggettivamente inesistenti. Il Collegio di secondo grado avrebbe dovuto valutare se l’U fficio avesse fornito o meno la prova dell’interposizione fittizia del soggetto cedente,
oppure la prova della frode realizzata «a monte» dell’operazione eventualmente da altri soggetti e la prova della «conoscenza o conoscibilità» da parte del cessionario della frode commessa dal cedente o da altri soggetti. L’errore di diritto in cui era inc orsa la Commissione tributaria regionale era quello di ritenere che la prova a carico dell’Amministrazione finanziaria potesse esaurirsi nella prova che il soggetto interposto era una cartiera, né era corretto ritenere che doveva essere il cessionario a dovere provare la sua buona fede. Ancora era del tutto inconferente la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato cessioni di materie plastiche pur non avendo all’epoca autorizzazione per il commercio all’ingrosso di gomma greggia e materie plastiche in forme primarie e semilavorati, in quanto non era necessaria alcuna autorizzazione ed anche la Corte di Giustizia aveva affermato che l’autorizzazione non era necessaria per la cartiera e a maggior ragione si doveva ritenere irrilevante anche per il cessionario, né l’autorizzazione poteva assorgere ad elemento oggettivo della «conoscenza o conoscibilità» della frode da parte del cessionario.
2.1 Senza prescindere dal rilievo di inammissibilità della censura, che non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511), il motivo è pure infondato.
2.2 In proposito, deve richiamarsi l’orientamento di questo Corte secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere
di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
2.3 Dunque, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
2.4 Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente
ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
2.5 E’ utile , in ultimo, precisare che l’operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719).
2.6 In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, « l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30
ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229) » (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369, in motivazione).
2.7 Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di recente, in materia di governo delle prove allegate dalle parti in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, ha affermato che: « 26. Come ricordato in più occasioni dalla Corte, la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112. A tale riguardo, la Corte ha stabilito che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e che, pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C439/04 e C440/04, EU:C:2006:446, punti 54 e 55, nonché dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). 27. Per quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante il beneficio del dirit to a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-439/04 e C-440/04, EU:C:2006:446, punto 59; del 21 giugno 2012, COGNOME e COGNOME, C-80/11 e C142/11, EU:C:2012:373, punto 45, nonché dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 46). 28. La Corte ha altresì ripetutamente precisato, con riferimento a casi in cui le condizioni sostanziali del diritto a detrazione erano soddisfatte, che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo soltanto qualora si dimostri, alla luce di elementi
oggettivi, che questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto dei beni e servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, lo stesso partecipava a un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena delle cessioni o prestazioni (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021: 910, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). 29. A tale riguardo, la Corte ha infatti stabilito che non è compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla direttiva 2006/112 sanzionare con il diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornito re, o che un’altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni, anteriore o posteriore a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA, posto che l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). 30. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte, poiché il diniego del diritt o a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). 31. Poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione dell’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’autorità tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). 32. Dalla giurisprudenza rammentata ai punti da 27 a 31 della presente sentenza deriva che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato a tale soggetto passivo solo se, dopo aver proceduto ad una valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, effettuata conformemente alle norme in materia di prova del diritto nazionale, è accertato che quest’ultimo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in una siffatta evasione. Il beneficio del diritto a detrazione può essere negato solo qualora tali fatti siano stati sufficientemente
dimostrati con mezzi che non siano supposizioni (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). 33. Se ne deve dedurre che l’autorità tributaria che intende negare il beneficio del diritto a detrazione deve dimostrare in modo adeguato, conformemente alle norme in materia di prova previste dal diritto nazionale e senza pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione, sia gli elementi oggettivi che provino l’esistenza dell’evasione s tessa dell’IVA, sia quelli che dimostrino che il soggetto passivo ha commesso tale evasione o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in detta evasione » (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C-512/21, paragrafi 26 -33).
2.8 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi siano sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza,
risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza.
2.9 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, peraltro espressamente richiamati, ritenendo sostanzialmente che la ditta RAGIONE_SOCIALE fosse una società cartiera creata al solo scopo di emettere fatture commerciali, per conto di altri reali cedenti, al fine di omettere il versamento dell’Iva dovuta ( e ciò sulla base delle dichiarazioni del legale rappresentante della stessa società, COGNOME NOME che nulla aveva saputo riferire sulla sede, sulle attrezzatture e sui clienti; delle dichiarazioni dei vari clienti, e tra questi, anche COGNOME NOME, che non conoscevano la COGNOME, ma tale COGNOME NOME; del fatto che la società non aveva presentato dichiarazione dei redditi e non aveva tenuto le scritture contabili e che l’indirizzo della sede legale e amministrativa della ditta era costituito da un immobile di circa 65 mq con una sola scrivania, una sedia e un telefono ) e che la RAGIONE_SOCIALE aveva emesso 17 fatture nel 2008 per un imponibile di euro 404.914,96, con forniture pagate con bonifici bancari sulla base di fatture pro-forma emesse prima delle fatture accompagnatorie; inoltre, i giudici di secondo grado hanno ritenuto, ancora una volta con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, che l’Ufficio aveva dato pure la prova della consapevolezza in capo al COGNOME (imprenditore operante da anni nel settore che aveva acquistato materiali plastici per rilevanti importi da una società appena entrata nel mercato, pagando in anticipo le forniture) che la sua controparte contrattuale fosse COGNOME NOMECOGNOME operatore con esperienza nel
settore e verosimilmente reale fornitore della merce acquistata, tenuto conto del modo di operare in concreto che rappresentava un ‘ anomalia nell’ambito delle prassi commerciali e della circostanza che la RAGIONE_SOCIALE vendeva, subito dopo l’acquisto, la merce a terzi con ricarichi minimi, ciò che configurava un sistema di fatturazioni di operazioni inesistenti di tipo triangolare con il coinvolgimento di imprese cartiere, imprese filtro e imprese beneficiarie, reali acquirenti (cfr. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ovvero il prospetto con il quale era stata ricostruita ogni singola operazione compiuta con la RAGIONE_SOCIALE allegato al ricorso introduttivo e in fase di appello che dimostrava che il pagamento della merce era avvenuto, al momento del ritiro, con modalità del tutto normale.
3.1 Il terzo motivo è inammissibile, in quanto la censura formulata esula dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053).
3.2 Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
3.3 Inoltre, nel paradigma di cui all’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. non è inquadrabile la censura concernente l’omessa
valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802), né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato.
4.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese processuali, non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2024.