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Operazioni soggettivamente inesistenti: prova e IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16361/2024, ha rigettato il ricorso di una società operante nel trading di quote CO2, confermando la non detraibilità dell’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha stabilito che, una volta provato il coinvolgimento in una frode, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: La Cassazione Sulla Prova della Buona Fede

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per le imprese: la detrazione dell’IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione chiarisce i confini dell’onere probatorio a carico del contribuente quando l’amministrazione finanziaria contesta il coinvolgimento, anche inconsapevole, in una frode fiscale. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I fatti del caso

Una società specializzata nel trading di quote di emissione di CO2 si è vista notificare due avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia Fiscale. L’amministrazione contestava il recupero dell’IVA relativa agli anni 2009 e 2010, sostenendo che le operazioni di acquisto delle quote provenissero da fornitori qualificati come ‘società cartiere’.
Secondo l’Agenzia, queste imprese fornitrici erano mere entità fittizie, caratterizzate da assenza di sede sociale, occultamento delle scritture contabili, inadempimenti IVA sistematici e irreperibilità degli amministratori. La contribuente, secondo la tesi accusatoria, era pienamente consapevole di partecipare a un meccanismo fraudolento.
La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’ufficio, ritenendo che la società contribuente non avesse esercitato la dovuta diligenza. Nonostante le procedure di controllo interno prevedessero verifiche sulla compliance fiscale dei fornitori, la società aveva continuato ad operare con questi soggetti anche in assenza di prove sull’assolvimento dell’IVA e persino effettuando pagamenti su conti correnti svizzeri, all’epoca considerati in un Paese ‘black list’.

La decisione della Corte di Cassazione

La società ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sul diritto alla detrazione dell’IVA e l’omesso esame di documenti che, a suo dire, avrebbero dimostrato la sua buona fede (come modelli F24, visure camerali e bilanci dei fornitori).
La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la legittimità degli avvisi di accertamento e la non detraibilità dell’IVA.

Le motivazioni: l’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio consolidato in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che, in caso di frode fiscale, il diritto alla detrazione dell’IVA viene meno se il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’ di partecipare a un’operazione fraudolenta.
Il percorso logico-giuridico delineato è il seguente:
1. Prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria: Spetta all’ufficio dimostrare gli elementi oggettivi della frode (es. la natura di ‘cartiera’ del fornitore) e fornire indizi che suggeriscano il coinvolgimento del contribuente.
2. Inversione dell’onere probatorio: Una volta che l’amministrazione ha fornito tali prove, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la ‘massima diligenza’ esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente applicato questo principio. La contribuente non solo non aveva fornito la prova della sua buona fede, ma le circostanze dimostravano il contrario. L’aver ignorato le proprie stesse procedure di controllo interno e aver continuato ad operare con fornitori palesemente inaffidabili costituiva la prova della sua consapevole partecipazione alla frode, o quantomeno di una grave negligenza che escludeva la buona fede.
I motivi relativi all’omesso esame di specifici documenti sono stati giudicati inammissibili perché non decisivi. La Corte ha spiegato che, di fronte alla prova conclamata che i fornitori erano società fittizie, la raccolta di documentazione formale (come una visura camerale) diventa irrilevante se non accompagnata da un comportamento diligente che tenga conto di tutti gli indizi di anomalia.

Conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

Questa ordinanza rafforza un messaggio fondamentale per tutte le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo e una diligenza che va oltre la semplice raccolta di documenti. Per tutelare il proprio diritto alla detrazione IVA, un’azienda deve implementare e, soprattutto, applicare scrupolosamente procedure di controllo sui propri partner commerciali. Ignorare segnali di allarme (‘red flags’), come l’inadempienza fiscale di un fornitore o richieste di pagamento anomale, può costare caro, portando alla perdita dell’IVA e a pesanti sanzioni. La buona fede non si presume, ma si dimostra con comportamenti concreti e prudenti.

Quando è possibile detrarre l’IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
La detrazione dell’IVA è ammessa solo se il contribuente riesce a provare di non aver saputo, o di non aver potuto sapere usando la massima diligenza, di essere parte di un’operazione fraudolenta.

Su chi ricade l’onere della prova della buona fede del contribuente?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha dimostrato gli elementi della frode e ha fornito indizi del coinvolgimento del contribuente, l’onere della prova si sposta su quest’ultimo, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per evitare di essere coinvolto.

Quali elementi possono indicare la consapevolezza del contribuente in una frode IVA?
La consapevolezza può essere desunta da vari elementi, come continuare ad operare con fornitori che non dimostrano il versamento dell’IVA, ignorare le procedure di controllo interno, effettuare pagamenti anomali (es. su conti esteri in paesi black-list) e, in generale, non adottare le cautele che un operatore economico accorto avrebbe adottato in circostanze simili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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