Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13254 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13254 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 8208-2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (P_IVA), in persona del liquidatore giudiziale, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale, unitamente all’AVV_NOTAIO, è rappresentata e difesa –
Controricorrente
AvCOGNOME la sentenza n. 736/02/2021 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 27.09.2021;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 22 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO,
Rilevato che
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE notificò alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso d’accertamento, con cui, relativamente all’anno d’imposta 2012, recuperò € 1.213.278,00 ad imponibile Iva. L’atto impositivo era stato fondato su
Operaz. Sogg. inesistenti – Prova – Configurabilità
elementi, raccolti in sede di verifica, da cui emergeva, secondo la prospettazione erariale, che le fatture emesse nei confronti della ricorrente dalla RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di commercio all’ingrosso di giochi e giocattoli, e coinvolta in una frode carosello, rispondessero ad operazioni soggettivamente inesistenti, di cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto o avrebbe dovuto avere contezza.
Nel contenzioso seguitone la Commissione tributaria provinciale di Novara accolse le ragioni della contribuente con sentenza n. 261/02/2019, confermata dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 736/02/2021, che respinse l’appello dell’ufficio.
Il giudice regionale, dopo essersi diffuso sui fatti e le ragioni addotte dalle parti a sostegno RAGIONE_SOCIALE rispettive difese e ragioni, ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria nulla avesse provato in ordine al coinvolgimento, anche solo colposo, della società.
L’RAGIONE_SOCIALE ha censurato la sentenza, e ne ha chiesto la cassazione, affidandosi a due motivi, cui ha resistito con controricorso la contribuente, nelle more dichiarata in liquidazione giudiziale, come da memoria depositata ritualmente ex art. 380 bis1 cod. proc. civ.
Nell’adunanza camerale del 22 novembre 2023 la causa è stata discussa e decisa.
Considerato che
L ‘RAGIONE_SOCIALE ha dedotto con il primo motivo la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nonché dell’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere insufficiente il quadro indiziario racc olto dall’Amministrazione finanziaria, con ciò mostrando di non fare buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e da quella eurounitaria in materia di prova e riparto dell’onere probatorio in tema di operazioni soggettivamente inesistenti.
Il motivo è fondato.
In tema di operazioni soggettivamente inesistenti, e ai fini Iva, questa Corte ha affermato che quando l’Amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si sia inserita in una
evasione d’imposta. L’ufficio deve dimostrare, anche in via presuntiva ed in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente sia a conoscenza, o debba esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369).
Più nel dettaglio si è affermato che, in ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti, risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diCOGNOME da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione strumentale e di personale adeguato alla sua esecuzione, costituisce un significativo indice presuntivo, un idoneo elemento sintomatico, dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante/cessionario o committente), unitamente agli obblighi informativi che pur gravano sull’operatore economico quando si interfaccia con COGNOME operatore, induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta.
In tal caso sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non era il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; 20 luglio 2020, n. 15369).
Costituendo infatti la neutralità dell’imposta, e con essa il diritto alla detrazione dell’imposta corrisposta in rivalsa, principio cardine del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia UE (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) -, non suscettibile di limitazioni in linea di principio, l’Amministrazione finanziaria, quando ritenga che il diritto debba essere negato, attenendo la fatturazione ad operazioni
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oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore.
Nelle ipotesi più semplici, quali le operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare, nelle quali l’operatore acquista direttamente, solo sul piano formale, da una cartiera, l’onere dell’Amministrazione finanziaria può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale, attesa l’immediatezza dei rapporti.
In quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinte da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) l’ufficio è onerato de ll’allegazione di elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426; 21 aprile 2017, n. 10120; 30 ottobre 2018, n. 27629; 27 febbraio 2020, n. 5339).
Solo ove questa prova sia fornita dall’ufficio, spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l’iva, la prova contraria di aver concluso realmente l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento RAGIONE_SOCIALE operazioni.
Si afferma infatti che il contribuente, ancorché non coscientemente partecipe di una frode, è tenuto ad adottare comunque tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurare la propria estraneità ad operazioni fraudolente, e ciò pertanto richie de non solo l’assenza di una sua consapevole partecipazione, ma anche l’incolpevole ignoranza dell’operazione inesistente (cfr. anche CGCE, causa C -409/04 –RAGIONE_SOCIALE; da ultimo, con un esame approfondito che ricostruisce anche i precedenti della giurisprudenza euro-unitaria, cfr. CGCE, 1 dicembre 2022, in C-512/21, nei § da 26 a 33).
A tal fine non si considera sufficiente che il contribuente rappresenti la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato,
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trattandosi di circostanze non concludenti (Cass., 9 settembre 2016, n. 17818), anzi frequentemente utilizzate proprio a mascheramento dell’attività illecita posta in essere.
È certo, in ogni caso, e salvo la pretesa di un maggior rigore probatorio, a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode -in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti a ll’illecito -che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi RAGIONE_SOCIALE varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo RAGIONE_SOCIALE prove presuntive.
I n questa attività di scernimento l’organo giudicante deve correttamente osservare le regole di riparto della prova.
Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria, come evincibile dai passaggi motivazionali del proprio ricorso in appello, perCOGNOME confermati nella lunga premessa descrittiva del giudice regionale, sul presupposto che le denunciate operazioni frodatorie erano caratterizzate dalla partecipazione di un fornitore comunitario e di una società cartiera, deputata al formale acquisto di merce dal fornitore comunitario, poi ceduta altrettanto formalmente con addebito Iva mai versata all’erario -e con totale omissione della presentazione RAGIONE_SOCIALE relative dichiarazioni-, di una società filtro, ossia la RAGIONE_SOCIALE, che infine cedeva a società interponenti, e tra esse la RAGIONE_SOCIALE, ha indicato quali elementi fossero stati raccolti al fine di dimostrare la consapevolezza, o la colpevole inconsapevolezza, della trama fraudolenta posta in atto. In particolare ha identificato: 1) le operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, 2) l’assenza di una struttura operativa della RAGIONE_SOCIALE (sede legale presso il proprio commercialista, sede operativa presso la residenza del rappresentante fiscale), 3) la dubbia esistenza di tutti i fornitori della RAGIONE_SOCIALE (le società cartiera), 4) la circostanza che la merce proveniva alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da magazzini di società terze, a mezzo di corrieri, il prezzo di acquisto della merce particolarmente vantaggioso perché palesemente inferiore a quello di mercato.
Ebbene, il giudice regionale ha ritenuto insufficienti gli indizi raccolti dall’RAGIONE_SOCIALE . Sennonché a tali conclusioni è giunto per un COGNOME senza dedicare neppure una sola considerazione in ordine ai predetti indizi.
NUMERO_DOCUMENTO AVV_NOTAIO rel. COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME scagionato comunque da ogni responsabilità, anche
colposa, la contribuente, limitandosi ad apprezzare i pagamenti tracciabili eseguiti, la registrazione in contabilità, la tenuta anche di contabilità di magazzino, il lungo rapporto di scambi commerciali tra la contribuente e la RAGIONE_SOCIALE. A rafforzare una motivazione già debole, ha ritenuto corretto enucleare principi di diritto, che risultano del tutto eccentrici rispetto alla più recente e seguita elaborazione giurisprudenziale unionale e di legittimità, pretendendo dall’Amministrazione finanziaria la dimo strazione, evidentemente piena, sia della frode del cedente, sia della ‘connivenza’ del cessionario.
In tal modo la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati in materia e già prima esposti.
Incomprensibile, ai fini RAGIONE_SOCIALE conclusioni raggiunte, appare infine l’osservazione adesiva alle considerazioni espresse dal giudice di primo grado, in ordine alle modalità con cui sarebbe stato stralciato, ed in parte oscurato, il processo verbale di constatazione.
Il motivo va pertanto accolto.
L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE ha denunciato la nullità della sentenza, per violazione degli artt. 61 e 36, comma 1, n. 4), del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ. , per motivazione apparente.
In conclusione, la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Piemonte, che in diversa composizione dovrà riesaminare i motivi d’appello nel rispetto dei principi di diritto enunciati, oltre che liquidare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Piemonte, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 22 novembre 2023