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Operazioni soggettivamente inesistenti: prova e IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13254/2024, ha annullato una sentenza di merito che aveva dato ragione a un’azienda in un caso di operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che, di fronte a un quadro indiziario di frode IVA fornito dall’Agenzia delle Entrate, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto, non essendo sufficiente provare la sola regolarità formale dei pagamenti e della contabilità.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione ridefinisce l’onere della prova

Con la recente ordinanza n. 13254 del 14 maggio 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale per le imprese: la detrazione dell’IVA in contesti di operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente, sottolineando che la sola regolarità formale non è sufficiente a dimostrare la buona fede. L’ordinanza rappresenta un monito per tutti gli operatori economici sull’importanza della dovuta diligenza nelle transazioni commerciali.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dei giochi e giocattoli si vedeva notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava oltre 1,2 milioni di euro di IVA per l’anno 2012. Secondo il Fisco, le fatture emesse da un fornitore della società si riferivano a operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto parte di una complessa frode carosello. Il contribuente, secondo l’accusa, era, o avrebbe dovuto essere, a conoscenza della natura fraudolenta dello schema.

Nei primi due gradi di giudizio, le Commissioni Tributarie davano ragione all’azienda, ritenendo che l’Agenzia delle Entrate non avesse fornito prove sufficienti del coinvolgimento, anche solo colposo, della società nella frode. L’Amministrazione Finanziaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme sulla prova presuntiva.

La Decisione della Cassazione sulle operazioni soggettivamente inesistenti

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un’altra sezione della Commissione Tributaria Regionale. Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dei principi che regolano la prova nelle frodi IVA.

La Ripartizione dell’Onere della Prova

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato a livello nazionale ed europeo: in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di dimostrare, anche tramite presunzioni, non solo l’esistenza della frode, ma anche che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Una volta che l’Ufficio fornisce un quadro indiziario sufficiente, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta la ‘prova contraria’, che non può limitarsi alla dimostrazione della regolarità contabile, della tracciabilità dei pagamenti o della consegna della merce. È necessario provare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione fosse legittima.

Gli Indizi Trascurati dal Giudice di Merito

Nel caso specifico, l’Agenzia aveva raccolto diversi elementi indiziari che, secondo la Cassazione, il giudice d’appello aveva colpevolmente ignorato. Tra questi:

1. L’assenza di una reale struttura operativa del fornitore.
2. La dubbia esistenza dei fornitori a monte dello stesso fornitore (società ‘cartiere’).
3. La provenienza della merce da magazzini di terze società.
4. Un prezzo di acquisto particolarmente vantaggioso e palesemente inferiore a quello di mercato.

Il giudice di merito, invece di analizzare questi elementi nel loro complesso, si era limitato a valorizzare la documentazione formale del contribuente, applicando in modo errato i principi sulla prova.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio della neutralità dell’IVA, cardine del sistema comune europeo, il quale non può essere invocato a tutela di operazioni fraudolente. Il diritto alla detrazione dell’IVA non è assoluto, ma è subordinato alla buona fede e alla diligenza dell’operatore economico. Quando un contribuente acquista beni o servizi, ha il dovere di adottare misure ragionevoli per verificare l’affidabilità della controparte e assicurarsi di non partecipare, neanche inconsapevolmente, a una catena fraudolenta. La sentenza impugnata è stata cassata proprio perché ha preteso dall’Amministrazione una prova piena della ‘connivenza’, un onere eccessivo, e ha omesso di valutare il quadro presuntivo che, se considerato, avrebbe dovuto spostare l’onere probatorio sul contribuente.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 13254/2024 ha importanti implicazioni pratiche per le imprese. Ribadisce che la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo da parte degli operatori economici. Non basta pagare regolarmente e registrare le fatture: è fondamentale esercitare una ‘due diligence’ sulla propria catena di fornitura. Verificare la struttura operativa dei partner commerciali, diffidare di prezzi anomali e prestare attenzione a modalità di consegna insolite sono comportamenti necessari non solo per una sana gestione aziendale, ma anche per tutelare il proprio diritto alla detrazione IVA ed evitare di essere coinvolti in complesse e costose vicende fiscali.

Chi deve provare il coinvolgimento in una frode per operazioni soggettivamente inesistenti?
Inizialmente, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscano l’esistenza della frode e la consapevolezza (o la colpevole ignoranza) del contribuente. Una volta fornita questa prova presuntiva, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza.

È sufficiente dimostrare la regolarità contabile e i pagamenti tracciabili per detrarre l’IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in un contesto di sospetta frode, la regolarità formale della documentazione contabile e la prova dei pagamenti non sono sufficienti. Il contribuente deve anche dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione non facesse parte di un’evasione d’imposta.

Quali indizi possono suggerire che un’operazione commerciale fa parte di una frode carosello?
La sentenza evidenzia alcuni ‘campanelli d’allarme’, tra cui: l’assenza di una concreta struttura operativa del fornitore (ad es. sede legale presso un commercialista), prezzi di acquisto palesemente inferiori a quelli di mercato, la provenienza della merce da magazzini di società terze e la dubbia esistenza dei fornitori della controparte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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