Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33912 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33912 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 494/2023 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del Curatore dott. NOME COGNOME rappresentata, difesa ed assistita dall’avvocato NOME COGNOME in virtù di procura allegata al controricorso (PECEMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della BASILICATA n. 3/1/2022, depositata in data 4 gennaio 2022, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, pronunciando in sede di rinvio disposto da questa Corte con ordinanza 13 agosto 2020, n. 17002, ha rigettato l’appello dell’Ufficio proposto avverso la sentenza n. 260/3/09 della Commissione tributaria provinciale di Potenza, la quale a sua volta aveva accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto un avviso di accertamento relativo al 2005 per maggiore IVA indebitamente portata in detrazione in dipendenza di operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere nel quadro di frodi carosello.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) dagli atti risultava pacificamente che le società emittenti le fatture avevano personalità giuridica, quindi, non potevano essere considerate inesistenti; che i lavori vennero regolarmente effettuati se pure attraverso un subappalto e che i pagamenti erano stati regolari.
-) su l punto, l’ U fficio pur riconoscendo l’effettiva esistenza delle società emittenti deduceva che le operazioni dovevano considerarsi oggettivamente inesistenti in quanto dette società non avevano la capacità organizzativa necessaria per la realizzazione delle opere pur dando atto della produzione di contratti di subappalto;
-) potevano considerarsi soggettivamente inesistenti quelle operazioni commerciali che pur essendo avvenute e per le quali il prezzo era stato regolarmente pagato vedevano le parti della transazione (acquirente e venditore/fornitore) diverse da quelle indicate nel documento fiscale (fattura);
-) la mancanza di capacità operativa (non capacità organizzativa) non poteva essere il presupposto per definire soggettivamente inesistente l’operazion e;
-) nella specie, sulla base di un accertamento basato sulla presunzione di operazioni soggettivamente inesistenti sarebbe stato onere dell’ufficio non dimostrare la mancanza di capacità organizzativa, come fatto, ma dimostrare che il rapporto commerciale era intervenuto tra soggetti diversi da quelli risultanti dal documento fiscale e una tale prova era mancata;
-) in materia di operazioni soggettivamente inesistenti incombeva all’ U fficio dimostrare che il ricevente era ben consapevole dell’intento elusivo che si andava a porre in esser facendo fatturare le operazioni a soggetto diverso da quello che nella realtà le aveva eseguite;
-) una tale prova era necessaria dal momento che non si contestava alla contribuente che l’operazione era stata eseguita da soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture e cosa diversa era la materiale esecuzione delle opere edili (costruzione di un opificio industriale) che ben potevano avvenire mediante affidamento da parte della società che aveva acquisito il contratto di fornitura a mezzo di ditte subappaltatrici specializzate rimanendo l’operazione commercialmente corretta nel momento in cui, come avvenuto nel caso in esame, le società che avevano acquisito il contratto di esecuzione delle opere risultavano le medesime che avevano emesso le fatture 3. L ‘Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con
atto affidato a tre motivi.
La Curatela del Fallimento resiste con controricorso e memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ. e dell’art. 627 cod. proc. civ.. La sentenza era affetta da vizio di
contraddittoria ed apparente motivazione (come la precedente cassata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17002 del 2020) avendo pronunciato sulla inesistenza oggettiva delle operazioni sottese alle fatture in contestazione, che la stessa Suprema Corte nella predetta pronuncia di rinvio aveva escluso dal perimetro dell’accertamento ed avendo confutato anche la natura soggettivamente inesistente delle operazione sottese alle fatture in contestazione, sebbene la questione fosse stata risolta dalla Corte di Cassazione nel senso della conferma della pretesa fiscale per utilizzo di fatture afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti. Pertanto, era onere del giudice di merito verificare in sede di rinvio il solo assolvimento della prova da parte dell’ufficio e della parte contribuente delle operazioni «soggettivamente» inesistenti, non assumendo alcun rilievo la effettiva esecuzione delle prestazioni, che non erano in contestazione nel caso in esame, così violando il principio di diritto fissato dal giudice della Suprema Corte.
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in combinato disposto con l’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp att. cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale aveva comunque respinto l’appello dell’ U fficio sull’erroneo presupposto che vi fosse stata coincidenza tra la società emittente le fatture e coloro che avevano eseguito i lavori fatturati, ritenendo, altresì, in modo del tutto apodittico, e con affermazioni contraddittorie tra loro, che l’amministrazione non avesse fornito alcuna prova né dell’ «inesistenza soggettiva» della società che aveva emesso le fatture in contestazione, né della buona fede del committente. L’impresa intimata, ricevendo in affidamento la realizzazione di opere, che pure aveva dichiarato che aveva fatto eseguire a terzi, non poteva emettere fatture per opere eseguite da altre società in subappalto, né tali società, che avevano
effettivamente eseguito le opere, potevano a loro volta emettere fattura ad una impresa con cui non avevano avuto rapporti commerciali, avendo eseguito i lavori su richiesta della società originaria affidataria. Ancora il Collegio non aveva riportato alcun esame documentale giustificativo della buona fede del committente, essendo evidente che alcun rapporto commerciale era avvenuto «in concreto» tra la società intimata e le imprese che avevano eseguito le opere. La motivazione confermava che non vi era stata alcuna valutazione critica del reale oggetto del presupposto impositivo, ed in particolare del quadro probatorio offerto dalle parti a sostegno ed a confutazione dei rilievi mossi nell’impugnato atto impositivo.
3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, dell’art.19 e dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 2697 cod. civ.. Il Collegio, al di là del censurato travisamento dei fatti circa la rispondenza tra soggetto emittente la fattura e soggetto che aveva eseguito materialmente la prestazione, che pure riconosceva essere stata società diversa da quella committente, essendo stati i lavori eseguiti in subappalto, aveva ritenuto comunque esistente la società fornitrice perché dotata di personalità giuridica, atteso che « dagli atti risulta pacificamente che le società emittenti delle fatture avevano personalità giuridica e quindi non potevano essere considerate inesistenti», ritenendo che la sola mancanza di una capacità operativa, ritenuta diversa dalla capacità organizzativa, costituiva « il presupposto per definire soggettivamente inesistente l’operazione ». La presenza di personalità giuridica, come l’operatività societaria, l’esecuzione effettiva dei lavori fatturati e la regolarità dei pagamenti erano tutti elementi ininfluenti nella contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto ciò che rilevava era la mancanza di una organizzazione imprenditoriale nella società fornitrice del bene/servizio, confutata sulla base di elementi presuntivi (quali
l’ omesso versamento di imposte, la mancanza di una sede legale, l’ omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, la mancanza di dipendenti) da cui desumere che l’operazione non era stata posta in essere dal soggetto che aveva emesso la fattura contestata. La falsità della fattura per fittizietà del soggetto emittente rendeva l’operazione soggettivamente inesistente, seppure realmente eseguita da un soggetto terzo, come nella specie, in subappalto. Difatti, in conformità con i comuni canoni probatori stabiliti dall’art. 2697 c od. civ., scattava per il contribuente, che aveva effettuato la detrazione di imposta, l’onere di dimostrare, in presenza di sufficienti elementi indiziari forniti dall’ufficio circa la fittizietà del soggetto che aveva eseguito la prestazione sottostante la fattura, la buona fede nell’affidamento dell’incarico e del pagamento del prezzo a soggetto che effettivamente operasse nel mercato come imprenditore serio ed attendibile, soprattutto laddove questi trasferiva a terze imprese la realizzazione dell’opera. Palese era, altresì, la violazione del principio di neutralità fiscale dell’iva desumibile in particolare dall’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, ovverossia il diritto spettante ai soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui erano debitori quella dovuta o assolta per i beni acquistati e per i servizi ricevuti a monte, con chiara evidenza oltre che della palesata frode fiscale, anche del grave danno alla concorrenza di mercato, con il chiaro intento di far operare nei traffici commerciali soggetti che non fatturavano, magari con maggiore competitività nei prezzi attraverso l’evidente evasione d’imposta.
I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
4.1 Deve premettersi che questa Corte, nella ordinanza di rinvio n. 17002 del 13 agosto 2020, ha ritenuto fondato il primo motivo formulato della Curatela del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE (con il quale è stata censurata la sentenza impugnata « ai fini dell’art.360, comma primo, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione dell’art.
112 cod. proc. civ., degli artt. 1, comma 2, 36, comma 2, n. 4) e 62, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, in relazione agli artt. 3, comma 1, 17, comma 1, 18, comma 1, 19, comma 1, del d.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, degli artt.1655 e 1656, cod. civ., dell’art. 1, comma 1, lett. a) del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio ») per contraddittorietà della motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla sussistenza di operazioni soggettivamente inesistenti, nella parte in cui i giudici di secondo grado avevano statuito in materia di riparto dell’onere della prova (« In particolare, la sentenza accerta che le società emittenti le fatture sarebbero state sì dotate di personalità giuridica – e quindi formalmente esistenti -, ma ritiene che le stesse sarebbero state prive delle capacità organizzative e industriali necessarie per la realizzazione delle opere commissionate, e, pur tuttavia, dà anche atto dell’affidamento di gran parte dei lavori a loro, per la realizzazione delle opere mediante subappalti, ossia dell’esistenza dei contratti relativi »). Inoltre, questa Corte ha rilevato che « Con specifico riferimento alla circostanza riscontrata dalla documentazione probatoria offerta in ordine alla esistenza di contratti di subappalto stipulati tra le società emittenti le fatture e altre società subappaltatrici (“terzi”), la sentenza impugnata si limita ad affermare che la contribuente non avrebbe provveduto ad «allegare la relativa contabilità» e, dunque, non avrebbe «fornito prove contrarie dell’esistenza di una sopra fatturazione da parte delle società emittenti rispetto a quanto commissionato», con la conseguente creazione di «un indebito credito IVA». Tuttavia, come correttamente dedotto dalla contribuente in ricorso, e ulteriormente illustrato in memoria, con tale motivazione la CTR conferma la ripresa non più per operazioni soggettivamente inesistenti, ma per operazioni parzialmente oggettivamente inesistenti (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4344 del 14/02/2019), ossia per la differenza della sovrafatturazione cui non ha riscontro alcuna operazione oggettivamente esistente, e per la corrispondente indebita detrazione IVA eccedente la reale operazione economica. Tale contestazione non risulta fosse presente nell’atto impositivo, contenente riprese per sole operazioni soggettivamente inesistenti e, dunque, in questo, analogamente a quanto statuito da questa Corte in altre due controversie rese inter partes (Cass. Sez. 5, Sentenze nn.28327 e 28326 del 2018), la motivazione risulta irrimediabilmente contraddittoria e suscettibile di determinare la nullità della sentenza ai fini dell’art.360, primo comma, n.4 cod. proc. civ., per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto
e pronunciato » (cfr. pagine 3 e 4 della ordinanza di questa Corte n. 17002 del 13 agosto 2020).
4.2 Nella sostanza, la sentenza impugnata è stata cassata per motivazione contraddittoria, avendo dapprima affermato che la contestazione si fondava su operazioni soggettivamente inesistenti e, poi, non avendo applicato correttamente i principi statuiti in tema di onere della prova; tenuto conto, dunque, del petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, rispetto al quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto, deve rilevarsi che il giudice di rinvio non si è uniformato al principio di diritto da essa enunciato; è evidente, infatti, che la Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, doveva accertare la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, avente ad oggetto operazioni soggettivamente inesistenti e nel rispetto dei principi dettati in tema di ripartizione dell’onere della prova, tenuto conto di tutti gli elementi documentali offerti dalle parti nel giudizio, accertamento che è stato pienamente deferito al giudice di rinvio e che, come correttamente rilevato dall’Agenzia ricorrente , non ha ottemperato al compito devolutogli.
4.3 Ancora una volta va ribadito, infatti, che l’avviso di accertamento era stato emesso sul presupposto che la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, società cui la contribuente aveva commissionato l’esecuzione di opere industriali e l’acquisto di macchinari e impianti per la realizzazione di uno stabilimento in zona INDIRIZZO a Melfi, dovevano essere considerate società soggettivamente simulate e che le fatture erano state emesse per operazioni soggettivamente inesistenti , con conseguente indetraibilità dell’IVA.
4.4 In proposito, deve richiamarsi l’orientamento di questo Corte secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere
di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
4.5 Dunque, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
4.6 Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente
ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
4.7 E’ utile, in ultimo, precisare che l ‘operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719).
4.8 In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30
ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229) (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369 e, più di recente, cfr. anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C-512/21, paragrafi 26 -33).
4.9 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei
confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza. Né in campo tributario sono previste limitazioni di efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto, in particolare, che il difensore del contribuente non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso; il contenuto di tale atto, d’altronde, costituisce semplice indizio nel processo tributario, ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, a vantaggio o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese.
4.10 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale non ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, non avendo operato alcun riscontro sul puntuale adempimento dell’onere probatorio gravante sull’Ufficio e avendo omesso di valutare le prove fornite dalla società ricorrente sul proprio stato di consapevolezza di prendere parte ad una frode e sull’impiego della massima esigenza esigibile per sottrarsi a tale eventualità.
4.11 Ed invero, dalla lettura del ricorso per cassazione, che, sul punto, rispetta il principio di autosufficienza, in quanto in parte trascrive e in parte riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in esame, emerge che l’Ufficio aveva fondato il recupero delle imposte, relativamente alle operazioni soggettivamente inesistenti su una serie di circostanze di fatto, quali l’ omesso versamento di imposte, la mancanza di una sede legale, l’omessa presentazione di dichiarazione annuale IVA, la mancanza di dipendenti, da cui desumere che
l’operazione non era stata posta in essere dal soggetto che aveva emesso la fattura contestata e che la falsità della fattura per fittizietà del soggetto emittente rendeva l’operazione soggettivamente inesistente, seppure realmente eseguita da un soggetto terzo, come nella specie, in subappalto.
4.12 Si tratta di elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile; questi elementi, invece, sono stati (illegittimamente) trascurati dalla Commissione tributaria regionale che, piuttosto, ha ritenuto esistente la società emittente le fatture sulla base del solo presupposto che la stessa avesse personalità giuridica e del fatto comunque i lavori fossero stati eseguiti anche se in subappalto e regolarmente pagati; ancora una volta ha affermato (errando e disattendendo il decisum di questa Corte) che l’Ufficio avesse posto a fondamento dell’accertamento impugnato la sussistenza di operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto la mancanza di capacità operativa (e non organizzativa) non poteva essere il presupposto per defin ire soggettivamente inesistente l’operazione; in ultimo, ha evidenziato che l’Ufficio non aveva fornito la prova che il rapporto commerciale fosse intervenuto tra soggetti diversi, disattendendo, tuttavia, gli elementi presuntivi pure dedotti dall’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato, nonché della consapevolezza dell’intento elusivo in capo alla società RAGIONE_SOCIALE. I giudici di secondo grado, nella sostanza, non hanno fatto corretto applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, omettendo di considerare una ulteriore varietà di elementi, introdotti dall’Agenzia in sede di accertamento e riproposti nella sede giudiziaria, sopra indicati, e tali, dunque, da comportare un evidente dubbio sulla regolarità delle operazioni oggetto delle fatture
in contestazione; per contro, la sentenza ha valorizzato elementi privi di rilievo, quali la capacità operativa della società emittente le fatture e la sussistenza di contratti di subappalto con altre società subappaltatrici che avevano eseguito effettivamente le opere edili (nella specie la costruzione di un opificio industriale) e che avevano emesso le fatture, non considerando la circostanza che possono essere ritenute operazioni soggettivamente inesistenti anche quelle operazioni commerciali che sono state realizzate e regolarmente pagate e che, tuttavia, vedono come parti della transazione commerciale soggetti diversi (appaltatore sub appaltante e sub appaltatore) rispetto a quelli indicati nelle fatture (committente e appaltatore).
4.13 È certo, in ogni caso, e salvo la pretesa di un maggior rigore probatorio a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode, in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito , che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive (Cass., 12 luglio 2023, n. 19981) e che il procedimento logico-valutativo seguito dalla Commissione tributaria regionale non è, dunque, coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio come regolato dall’art. 2697 cod. civ. e con le regole di governo delle prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controllare tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541).
5. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2024.