Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27071 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27071 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/10/2025
Oggetto: IVA -II.DD. -operazioni inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 878/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (indirizzo PEC: EMAIL, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO (studio legale RAGIONE_SOCIALE -Sanasi d’Arpe) ;
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 1510/3/20, depositata in data 14 aprile 2020 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 17 settembre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 1510/3/20 veniva accolto l’appello principale proposto da ll’Agenzia delle entrate e rigettato l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE proposti avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 1813/7/2015 con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso per II.DD. e IVA relativo al l’anno di imposta 2008 in dipendenza dalla contestazione di operazioni inesistenti, di ricavi non contabilizzati né dichiarati con applicazione di percentuale di ricarico del 23%, disconoscimento di costi, recuperi IVA su più fatture, applicazione dell’art.5 del d.P.R. n.917/86.
Si legge in sentenza che le riprese traevano origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti della società, svolgente l’attività di commercio di autovetture, conclusasi con p.v.c.,
da cui emergeva l’acquisto da parte della contribuente, in evasione di imposta tramite ‘cartiere’ , di autoveicoli provenienti da cedenti infracomunitari.
Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente la prospettazione difensiva, accertando maggiori ricavi per euro 31.500 e compensava le spese di lite. La decisione veniva riformata in secondo grado, con conferma integrale delle riprese ad imposizione.
La contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza d’appello , affidato a quattro motivi, cui replica l ‘Agenzia delle entrate e del territorio con controricorso.
Considerato che:
Preliminarmente, va dato atto dell’eccezione sollevata dall’Agenzia di inammissibilità del ricorso per riproposizione di questioni di fatto precluse in sede di legittimità, scrutinabile unitamente alle singole censure.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso prospettano, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 del d.lgs. n. 546/1992 e vanno affrontati in via preliminare in quanto deducono l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata circa il merito delle riprese (secondo) e l’omessa pronuncia (terzo) e, pertanto, l’accoglimento anche soltanto di uno delle due censure determinerebbe la nullità della sentenza e l’assorbimento delle restanti doglianze sollevate nel ricorso.
3. I motivi sono infondati.
3.1. Si deve ribadire che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a
far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, dev ‘ essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
3.2. Orbene, con il secondo motivo il ricorrente sostiene che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi «sulla sussistenza di indizi idonei a suffragare la soggettiva inesistenza delle operazioni indicate nelle due fatture richiamate dall’Ufficio » ovvero sarebbe incorsa in una «evidente contraddizione» (cfr. p. 24 del ricorso).
La doglianza si appalesa generica e contraddittoria perché, da un lato, non sottopone al giudizio di legittimità alcun concreto riferimento o precisa indicazione in ordine alla quale si sostanzierebbe la contestata omissione motivazionale; da altro lato, viene censurata sia l’omessa motivazione in ordine alla soggettiva inesistenza delle operazioni sia,
nello stesso tempo, la contraddittorietà della stessa ma, su un piano logico, delle due può esistere solo una.
Il giudice di seconde cure, soffermandosi sulla natura di cartiera della ditta COGNOME, svolge una disamina ampia e articolata, innanzitutto in ordine all’oggettiva fittizietà delle ditte interposte, rilevando che «la ditta di COGNOME NOME, nonostante il notevole volume d’affari sviluppato nel corso del periodo oggetto di indagine, era priva di qualsiasi struttura seppur minima organizzazione (non possedendo un locale o altro bene strumentale all’esercizio di impresa commerciale, segnatamente presso l’indirizzo dichiarato quale sede della ditta, i verificatori riscontravano un modesto locale chiuso ed in stato di degrado, reperendo, invece, presso l’abitazione del Levant le fatture di acquisto di beni); tale ditta è risultata priva di dipendenti o collaboratori, di una struttura amministrativa-contabile e di un consulente fiscale; il Levant è risultato nullatenente non disponendo di mezzi economici necessari per pagare i propri fornitori, emergendo, altresì, che la provvista per consentire al Levant di regolare pagamenti con i suoi fornitori in Germania veniva sistematicamente messa a disposizione dagli acquirenti che pagavano la merce prima di riceverla; è emersa l’assenza di scopo del profitto atteso che la ditta RAGIONE_SOCIALE non operava secondo criteri di economicità, risultando che in ordine alla percentuale di ricarico applicata alla rivendita di autovetture applicava margini inferiori a quelli normalmente praticati dagli operatori del medesimo settore ed, in taluni casi, rivendeva le autovetture a un prezzo inferiore a quello di acquisto; è stato accertato che il RAGIONE_SOCIALE ha provveduto ad immatricolare numerose autovetture di provenienza comunitaria anche dopo che la sua attività è risultata cessata (in data 31/12/2007); è emerso che il RAGIONE_SOCIALE non aveva presentato dichiarazione dei redditi, né versato imposte nonostante figurasse quale acquirente di merci da parte di paesi dell’Unione Europea per importi rilevanti di oltre 2 milioni di euro. Ad
analoghe conclusioni, circa la reale natura di cartiera, sono pervenuti, correttamente, l’organismo anti frode e l’amministrazione finanziaria per quanto concerne la ditta RAGIONE_SOCIALE» (cfr. p. 5 della sentenza impugnata).
Viene poi svolta un’articolata argomentazione anche in merito al requisito della consapevolezza che l’operazione si inserisce in una evasione dell’imposta, in ordine alla quale il giudice di seconde cure ha ritenuto accertato il fatto che «la frode in questione ha ricevuto una serie di significativi riscontri sulla base delle dichiarazioni di soggetti terzi resisi acquirenti delle autovetture in questione acquisite dalla Guardia di Finanza e richiamate nel PVC in atti» ( ibidem , p. 6).
Logicamente il giudice ha, quindi, escluso la buona fede della ricorrente «tenuto conto che vi sono molteplici elementi che inducono a ritenere la compartecipazione a detto meccanismo fraudolento ad opera della predetta società anche sulla scorta di quanto dichiarato dai soggetti sentiti dalla Guardia di Finanza i quali hanno riferito di avere pagato il prezzo delle vetture alla società stessa» ( ibidem , p. 8).
Tale ricco e logico apparato argomentativo, fondato su precisi riferimenti al quadro istruttorio, certamente rispetta il minimo costituzionale.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione de « l’ indeducibilità di costi per euro 3.400,00 in quanto direttamente sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE per l’acquisto in Italia da privati ritenuti presunti interposti fittizi tra la medesima e il venditore comunitario» (cfr. p. 25 del ricorso).
Nel prosieguo dell’illustrazione del motivo il ricorrente non deduce un vizio motivazionale, bensì ripropone la contestazione già avanzata nel
merito circa « l’illegittimità del procedimento di acquisizione di tali dichiarazioni, in quanto assunte ex adverso in difetto di qualsivoglia contraddittorio, nonché della successiva utilizzazione» e « l’efficacia probatoria di tali dichiarazioni» (v. p. 26 ricorso).
3.4. La doglianza è infondata perché sulla questione vi è una precisa motivazione del giudice di seconde cure, il quale ha accertato a pag.8 della sentenza che «un soggetto privato (tale COGNOME Maurizio) ha dichiarato di non avere mai effettuato l’acquisto, trattandosi di soggetto interposto. Con conseguente impossibilità di assoggettare l’operazione al regime del margine, trattandosi di un acquisto effettuato direttamente all’estero. Peraltro, sarebbe stato onere della Società comprovare l’assoggettabilità a tale regime (Cass. n. 26852 del 18/12/2014)». Anche tali passaggi motivazionali sono argomentati, contengono riferimenti circostanziati al quadro istruttorio in relazione ai profili di contestazione e rispettano il minimo costituzionale.
Riprendendo l’ordine naturale di esame delle censure, con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 37, comma terzo, del d.P.R. n. 600/1973 e degli articoli 2727 e 2697 del codice civile, dolendosi per l’accertamento di maggiori ricavi attribuiti alla ricorrente quale pretesa interponente di due ditte, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, qualificate presunte cartiere e come tali fittiziamente interposte nelle operazioni di acquisto nel mercato UE e di successiva rivendita nel mercato italiano di autovetture, che taluni acquirenti finali avrebbero dichiarato di aver acquistato presso la sede della ricorrente, la quale si lamenta, inoltre, per il fatto che è stata disconosciuta la deducibilità, per la natura interposta dell’acquisto effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE, del costo di una vettura acquistata sul mercato italiano.
4.1. La ricorrente, riportando estratti del ricorso introduttivo e delle controdeduzioni e appello incidentale, adduce di avere sempre negato l’esistenza di una interposizione fittizia, avendo contestato che fosse stata dimostrata la natura di cartiere dei due soggetti interposti ed avendo affermato di essere inconsapevole della natura fraudolenta dell’attività posta in essere dalle ditte interposte.
4.2. Sostiene, altresì, che la CTR avrebbe fatto malgoverno della richiamata disposizione perché ha applicato a una fattispecie di interposizione fittizia, nella quale è stata contestata al presunto interponente l’imputazione di ricavi fatturati dal presunto interposto, il regime delle prove stabilito dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia di costi afferenti operazioni soggettivamente inesistenti. La diversità del regime probatorio è evidente e discende dalla radicale differenza tra le due fattispecie (cfr. p. 22 del ricorso). Inoltre, dopo aver richiamato la sentenza della Suprema Corte n. 15830/2016, afferma che gli elementi indiziari allegati dall’Ufficio «nulla valgono al fine di supportare la tesi della presunta interposizione fittizia, poiché a tale scopo l’Ufficio avrebbe dovuto fornire indizi idonei a dimostrare l’imputabilità alla Golden Car’s dei redditi prodotti dalle due cartiere, laddove invece ha allegato indizi volti soltanto a rappresentare l’inesistenza soggettiva delle cartiere» ( ibidem , p. 23).
La doglianza è inammissibile in parte poiché inconferente e, in parte, perché il ricorrente chiede un riesame del merito della lite.
5.1. L’invocato articolo 37 del d.P.R. n. 600/1973, stabilisce che «in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona». La norma colpisce ogni uso improprio o ingiustificato di strumenti giuridici, pur di
per sé legittimi, quando l’uso che se ne fa è volto a realizzare l’elusione e considera, quindi, elusive le operazioni, simulate o reali che siano, che costituiscano il mezzo per aggirare l’applicazione della normativa fiscale sfavorevole.
La giurisprudenza interpreta tale norma precisando che «in tema di accertamento rettificativo dei redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dall’art. 37, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta; ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali» (cfr. Cass. n. 25671/2013; Cass. n. 21794/2014; Cass. n.21952/2015).
5.2. Nel caso che ci occupa dalla sentenza emerge che l’Amministrazione finanziaria non ha affatto contestato la natura elusiva delle operazioni, bensì che le stesse fossero soggettivamente inesistenti e la sentenza della CTR, proprio con riferimento all’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate cui afferisce il motivo, ha stabilito che «appare corretta la ricostruzione dell’amministrazione tributaria a tenore della quale le fatture emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE dovevano ritenersi fittizie» (cfr. p. 5 della sentenza impugnata).
5.3 Dunque, il motivo di ricorso è innanzitutto inconferente perché le contestazioni della ricorrente attengono alla diversa questione, della quale si occupa la citata sentenza n. 15830/2016 della Suprema Corte,
riferita alla categoria dell’elusione, che non risulta veicolata nell’avviso impugnato.
5.4 Il motivo è, inoltre, inammissibile, come eccepito in controricorso, anche perché viene surrettiziamente richiesto un nuovo apprezzamento dei fatti già valutati dal giudice di merito.
Qualora vengano contestate operazioni soggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, l’amministrazione «ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittiziet à del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualit à professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalit à in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, n é la regolarit à della contabilit à e dei pagamenti, n é la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (cfr. Sentenza n. 9851 del 20/04/2018, poi sempre confermata).
5.5. Ebbene, nel caso di specie la CTR ha ritenuto corretta la ricostruzione dell’Ufficio e, con motivazione ampia e articolata, ha preso in esame e posto in evidenza riferimenti circostanziati che emergono dal quadro istruttorio, sia in ordine all’oggettiva fittizietà delle ditte interposte sia in merito al requisito della consapevolezza della ricorrente che l’operazione si inserisce in una evasione dell’imposta.
5.6. Le doglianze sollevate dal ricorrente nel motivo in disamina non solo non sottopongono al giudizio della Corte circostanze contrarie che
la ricorrente avrebbe addotto nei gradi di merito, consistente nell’avere adoperato la diligenza massima esigibile, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalit à , in rapporto alle circostanze del caso concreto, ma si risolvono in una mera contestazione della valorizzazione degli elementi indiziari necessari per l’imputazione in capo alla ricorrente di ricavi delle ditte interposte, ossia in una richiesta di revisione delle valutazioni di merito confermate dal giudice di seconde cure. A fronte all’accertamento che in giudizio non sono stati introdotti elementi contrari decisivi, la ricorrente non contesta in modo specifico tale accertamento, ma chiede in questa sede un riesame del materiale probatorio già prodotto in fase amministrativa, riesame estraneo alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.
Va ribadito, infatti, che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (cfr. Cass. sentenza del 28/11/2014 n. 25332).
6. Il quarto e ultimo motivo, numerato VI per mero errore materiale a pag.26 del ricorso, prospetta, in rapporto all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 12 e 17 del d.lgs. n. 472/1997 e, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 36 comma 2 n. 4 del d.lgs. n. 546/1992 e 112 cod. proc. civ., poiché il giudice di seconde cure ha ritenuto legittima l’applicazione delle sanzioni nonostante l’annullamento dei rilievi contestati e perché avrebbe omesso la pronuncia in ordine alla violazione del principio del cumulo giuridico.
La doglianza non può trovare ingresso. La CTR ha accolto l’appello principale dell’Agenzia e rigettato l’appello incidentale del contribuente, pertanto la deduzione sulla caducazione delle sanzioni, formulata sul presupposto del parziale accoglimento del ricorso introduttivo, non coglie nel segno.
Parimenti inammissibile è la prospettazione dell’omessa pronuncia in ordine all’applicazione del cumulo giuridico, stante la sua genericità. A fronte della valutazione del giudice di seconde cure, il quale ha ritenuto l’avviso impugnato correttamente motivato ed oggetto di censure generiche, il ricorrente si limita a contestare genericamente che la questione devoluta all’esame della C.T.R. «non sia stata da questa assolutamente delibata, incorrendo così in un evidente vizio di omessa pronuncia sul punto» (cfr. pag. 27 del ricorso), senza offrire alcun elemento che possa far ritenere che la domanda sia stata formulata nei gradi di merito in maniera specifica, completa ed esaustiva.
Le argomentazioni del dissenso che la parte intende sollevare nei riguardi della decisione impugnata debbono essere formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato. Il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4 (cfr. al riguardo Cass. n. 359/2005).
8. Il ricorso dev’essere in ultima analisi rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate e del Territorio, liquidate in euro 8.200 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME