Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 194 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 194 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8547 -201 6 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8722/48/2015 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 06/10/2015;
Oggetto: Tributi – operazioni soggettivamente inesistenti – deducibilità costi
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/10/2023 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La controversia ha ad oggetto l’ impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate , sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. della G.d.F. del 17/11/2020, aveva contestato a lla RAGIONE_SOCIALE l’indebita deduzione di costi e la detrazione dell’IVA riferite a fatture ritenute soggettivamente inesistenti in quanto relative ad operazioni commerciali intercorse nell’anno d’imposta 2006 con le fornitrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ma realmente riconducibili alla società di fatto ‘RAGIONE_SOCIALE, formata dai titolari di dette società, che invece erano risultate prive di idonee strutture, di personale dipendente e di automezzi.
2. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR campana rigettava l’appello dell’ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo non provata la consapevolezza della società contribuente di partecipare ad un’evasione fiscale. Al riguardo precisava che «gli elementi presuntivi utilizzati dall’amministrazione finanziaria al fine di dedurre la conoscenza da parte della società RAGIONE_SOCIALE del carattere fittizio delle operazioni compiute, costituiti dall’operatività delle società in questione nello stesso comprensorio, oltre che dal generico riferimento ad un precedente utilizzo di fatturazione fittizia e dei rapporti con interlocutori commerciali infedeli, non appaiono caratterizzati dai necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza». Sosteneva, inoltre, che i costi erano comunque deducibili ai sensi dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, norma applicabile retroattivamente, sia perché era mancato un accertamento giudiziale definitivo sul carattere illecito dell’operazione, sia perché la società contribuente aveva provato l’effettività dell’operazione
commerciale, regolarmente pagata, e l’inerenza della stessa all’attività di impresa svolta.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui replica l’intimata con controricorso.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte ex art. 380 bis1 cod. proc. civ. chiedendo di rigettare il ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, e 40 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 e 2697 cod. civ.
1.1. Sostiene la ricorrente che l’immediatezza dei rapporti tra cedente e cessionario e la conclamata inidoneità delle società fornitrici allo svolgimento dell’attività economica in quanto sforniti della pur minima dotazione personale e strumentale, costituivano elementi sintomatici dell ‘assenza di buona fede in capo alla società contribuente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, «l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla
qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 15/05/2018; Cass. n. 17619 del 05/07/2018; Cass. n. 21104 del 24/08/2018; Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018; Cass. n. 5873 del 28/02/2019; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; nonché, ancora più recentemente, Cass. n. 24471 del 2022).
Grava, invece, sul contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo (anche in questo caso) tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 28628 del 2021e Cass. n. 24471 del 2022, cit.).
Applicando i superiori principi di diritto al caso di specie va osservato che, nel pieno rispetto del principio di autosufficienza, l’Amministrazione finanziaria ha fornito elementi indiziari ulteriori e diversi da quelli presi in esame dai giudici di appello, concernenti la sostanziale inesistenza dei soggetti con i quali la società contribuente ha intrattenuto rapporti commerciali, essendo emerso che le stesse
fossero prive di strutture idonee allo svolgimento dell’attività, nonché di personale dipendente e di automezzi. La CTR dà espressamente atto in sentenza del fatto che l’Agenzia delle entrate aveva dedotto anche tali elementi presuntivi (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) ma di essi non tiene in alcun conto limitandosi a dare rilievo al altri elementi, ovvero all’operatività della società contribuente nel medesimo comprensorio di quelle fittizie, ad un precedente utilizzo di fatturazione fittizia e ai rapporti con interlocutori commerciali infedeli, che in ogni caso andavano valutati congiuntamente con quelli erroneamente del tutto obliterati.
Operando nel modo sopra indicato, ovvero trascurando la rilevanza degli elementi probatori sopra indicati, i giudici di appello hanno sostanzialmente ed illegittimamente invertito l’onere della prova violando le disposizioni censurate, sicché il motivo, oltre ad essere ammissibile, prospettando correttamente un error in iudicando , è anche fondato.
L’intero impianto probatorio va, dunque, riesaminato dal giudice del rinvio alla luce dei principi di diritto più sopra menzionati.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ. per avere la CTR «del tutto ignorato le puntuali deduzioni formulate dall’uffic io nell’atto di appello, nelle quali si evidenziava che, sul punto» relativo alla deducibilità dei costi, riconosciuto dai giudici di appello, «le affermazioni della CTP erano irrilevanti ai fini del decidere», omettendo di pronunciare sul punto e «quale conseguenza della citata omissione, ha motivato la propria decisione con una argomentazione del tutto irrilevante, perché non decisiva per stabilire se i costi ritenuti non deducibili fossero inerenti o meno all’attività di impresa ».
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
In estrema sintesi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 18/10/2023