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Operazioni soggettivamente inesistenti: onere prova

La Corte di Cassazione interviene sul tema delle operazioni soggettivamente inesistenti, specificando la ripartizione dell’onere della prova. Un’azienda del settore informatico aveva ottenuto l’annullamento di un avviso di accertamento per l’anno 2015. L’Agenzia Fiscale ha impugnato la decisione, sostenendo che la società contribuente fosse consapevole di partecipare a una frode IVA, data l’assenza di struttura aziendale dei suoi fornitori. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello. Ha ribadito che l’Amministrazione Finanziaria può dimostrare la consapevolezza della frode anche tramite presunzioni (indizi gravi, precisi e concordanti). Una volta fornita tale prova indiziaria, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e di aver usato la massima diligenza per verificare la legittimità dei fornitori.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: La Cassazione e l’Onere della Prova

In materia di frodi IVA, la questione delle operazioni soggettivamente inesistenti rappresenta un campo di battaglia costante tra Fisco e contribuenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi cardine che governano l’onere della prova, chiarendo quali elementi l’Amministrazione Finanziaria deve fornire e quando la palla passa al contribuente per dimostrare la propria buona fede. L’analisi di questa decisione è fondamentale per comprendere come le imprese possano tutelarsi dal rischio di essere coinvolte, anche inconsapevolmente, in meccanismi fraudolenti.

I Fatti del Caso

Una società operante nel commercio di computer e software si vedeva recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia Fiscale recuperava l’IVA e contestava costi indeducibili per l’anno 2015. L’accusa era di aver utilizzato fatture emesse da fornitori considerati meri interposti fittizi, ovvero società “cartiere” prive di una reale struttura operativa. Queste operazioni, sebbene la merce fosse stata effettivamente scambiata, venivano classificate come soggettivamente inesistenti.

La società contribuente impugnava l’atto e otteneva ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito ritenevano che l’Ufficio non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare la consapevolezza della società acquirente riguardo alla frode perpetrata dai suoi fornitori. Secondo la Corte d’Appello Tributaria, gli elementi portati dall’Agenzia (come la mancanza di magazzini o dipendenti dei fornitori) non erano sufficienti a superare la presunzione di buona fede dell’acquirente.

Le Operazioni Soggettivamente Inesistenti e i motivi del ricorso

L’Amministrazione Finanziaria non si è arresa e ha presentato ricorso in Cassazione. Il motivo principale del ricorso si basava sulla violazione delle norme che regolano l’onere della prova (art. 2697 c.c.) e le presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.).

L’Agenzia sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non dare il giusto peso agli indizi forniti, i quali, nel loro complesso, erano più che sufficienti a far sorgere un forte sospetto sulla reale natura dei fornitori. Tra questi elementi figuravano:

* L’assenza di una idonea struttura aziendale dei fornitori.
* La mancanza di personale dipendente.
* L’indisponibilità di mezzi di trasporto propri.

Secondo l’Ufficio, un imprenditore diligente, di fronte a tali segnali, avrebbe dovuto dubitare della legittimità del proprio partner commerciale e astenersi dal concludere l’affare. La Corte d’Appello, invece, aveva liquidato questi elementi come irrilevanti, focalizzandosi unicamente sulla necessità, per l’Agenzia, di provare direttamente l’intenzionalità della negligenza del contribuente.

Le Motivazioni della Decisione della Corte

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando con rinvio la sentenza impugnata. I giudici hanno chiarito che l’approccio della Corte d’Appello era in contrasto con i principi consolidati sia a livello nazionale che europeo.

La Cassazione ha ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere della prova dell’Amministrazione Finanziaria non si esaurisce nel dimostrare la natura fittizia del fornitore, ma si estende alla prova che il cessionario (l’acquirente) sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’IVA.

Tuttavia, questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, ovvero indizi gravi, precisi e concordanti. Gli elementi indicati dall’Agenzia (mancanza di struttura, personale, ecc.) costituiscono proprio quel quadro indiziario che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare nel suo complesso. Invece, la Corte d’Appello li ha ignorati, commettendo un errore di diritto.

Una volta che l’Amministrazione ha assolto al suo onere probatorio, anche per presunzioni, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo fornire la prova contraria: dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, adottando tutte le cautele necessarie per verificare l’affidabilità del fornitore. La mera regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente a scagionarlo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza è un monito importante per tutte le imprese. Non basta assicurarsi che le fatture siano formalmente corrette e che i pagamenti siano tracciabili. È necessario adottare un approccio proattivo nella verifica dei propri partner commerciali, specialmente se nuovi o se propongono condizioni particolarmente vantaggiose.

La diligenza richiesta non è un concetto astratto: si traduce in controlli concreti sulla struttura aziendale del fornitore, sulla sua iscrizione alla Camera di Commercio, sulla sua reputazione sul mercato. Ignorare segnali di allarme evidenti, come l’assenza di una sede fisica o di personale, espone l’azienda al rischio di vedersi contestare la detrazione dell’IVA e la deducibilità dei costi, con gravi conseguenze economiche e legali. In sintesi, la buona fede non si presume, ma si deve costruire e, all’occorrenza, dimostrare con fatti concreti.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare non solo la fittizietà del fornitore (la società interposta), ma anche che il destinatario della fattura sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione faceva parte di una frode IVA. Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni basate su elementi oggettivi e specifici.

Una volta che l’Agenzia fornisce indizi sulla consapevolezza della frode, cosa deve fare il contribuente?
Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce indizi gravi, precisi e concordanti, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare la propria buona fede, provando di aver adottato la massima diligenza possibile per un operatore accorto per verificare la reale natura del fornitore e per evitare di essere coinvolto nell’evasione.

La regolarità della contabilità e dei pagamenti è sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente?
No. Secondo la Corte, la mera regolarità formale della contabilità e l’avvenuto pagamento delle fatture non sono elementi sufficienti, da soli, a dimostrare la buona fede del contribuente e a esonerarlo da responsabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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