Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7737 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7737 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22047/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LOMBARDIA n. 1186/2023 depositata il 03/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di P.V.C redatto in data 29/04/2016, dalla Guardia di Finanza di Varese, quale epilogo di una verifica avente ad oggetto i periodi d’imposta dal 2011 al 2016, l’Agenzia delle Entrate emetteva a carico della società RAGIONE_SOCIALE l’avviso d’accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno 2015. Veniva segnatamente appurato che varie imprese operanti nel settore del commercio all’ingrosso di computer e software avessero agito alla stregua di soggetti fittiziamente interposti tra l’operatore intracomunitario ed i clienti nazionali, oppure avessero a loro volta ricevuto fatture da imprese risultate essere operatori economici fittizi. Pertanto, l’Agenzia accertava che le fatture emesse da tali fornitori nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sottendevano altrettante operazioni soggettivamente inesistenti, non consentendo il diritto alla detrazione dell’Iva, che pertanto veniva recuperata; nel contempo, mediante l’atto impositivo, si recuperavano importi dovuti a titolo di II.DD., stante l’acclarata, omessa contabilizzazione di ricavi.
Con sentenza n. 33/22, depositata in data 26.1.2022, la CTP di Varese ha accolto l’impugnazione della contribuente.
Con sentenza n. 1186/2023, depositata in data 3.4.2023, la CGT di II grado della Lombardia ha respinto l’appello dell’Ufficio.
Il ricorso per cassazione dell’Agenzia è stato affidato a due motivi. Si è costituita la contribuente con controricorso, illustrato con successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21 e 54 del d.P.R. 633/72 nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., per avere la CTR, nel respingere l’appello, ‘ attribuito
rilevanza a circostanze del tutto irrilevanti ed inidonee a provare l’effettiva regolarità delle prestazioni contestate dall’Ufficio ‘.
Con il secondo motivo si contesta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente omissione di pronuncia/mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avuto riguardo all’omessa registrazione e contabilizzazione di ricavi, per l’anno 2013 e per l’anno 2014.
Il primo motivo è fondato e va accolto.
L’Ufficio, in ossequio al principio di specificità del ricorso, ha evidenziato d’aver dedotto in costanza di giudizio elementi oggettivi, sintomatici della fittizietà soggettiva delle operazioni, segnatamente ponendo in evidenza: l’assenza di idonea struttura aziendale in capo ai fornitori, la mancanza di personale alle loro dipendenze; la mancanza di mezzi di trasporto nella loro disponibilità.
A fronte di questo compendio articolato di circostanze, il giudice di secondo grado stigmatizza il mancato adempimento dell’onere della prova relativo alla conoscenza della frode da parte della società RAGIONE_SOCIALE, valorizzando quello che definisce il ‘modello operativo’ di quest’ultima e reputando insufficiente il ricorso al meccanismo presuntivo incentrato sul carattere fittizio delle società fornitrici Nella pronuncia d’appello è dato, in effetti, leggere: ‘ Gli elementi addotti a fondamento delle presunzioni dell’ufficio attengono … principalmente alla mancanza di struttura organizzativa idonea allo svolgimento delle operazioni fatturate, nonché alle risultanze di bilancio e alle violazioni commesse ‘; ‘ le affermazioni della parte privata … non vengono contestate nel merito, bensì adducendo gli elementi strutturali e fiscali fondanti la presunzione di fittizietà dell’impresa fornitrice e addebitando alla parte privata il non aver dubitato del fornitore per il brusco rialzo del suo giro d’affari ‘; ‘ l’Agenzia delle Entrate, nell’accertamento come nel ricorso in appello, non contesta la verosimiglianza del modus operandi della
società contribuente, ma motiva la propria presunzione sulla base della caratteristiche delle società fornitrici che, di per sé, avrebbero dovuto indurla a ritrarsi dalla relazione d’affari ‘; ‘ pur restando pacifico che il dato psicologico di per sé considerato sia insufficiente a motivare la correttezza della condotta del contribuente che abbia intrattenuto rapporti commerciali con operatori partecipi di un meccanismo fraudolento, per escluderne la buonafede è necessario indicare le circostanze oggettivamente rilevabili dal contribuente di ordinaria diligenza che, ignorandole, prosegua le relazioni d’affari con i soggetti coinvolti nella frode ‘; ‘ nel caso di specie … è proprio la dimostrazione dell’intenzionalità della negligenza del contribuente che viene a mancare, posto che l’ufficio nulla ha trovato da obiettare rispetto alla ricostruzione, da parte della società contribuente, del proprio modello operativo ‘; ‘ la presunzione dell’ufficio è basata unicamente sul carattere fittizio della società, senza che alcun elemento sia stato addotto per dimostrare che la parte privata ne fosse consapevole ‘.
Gli assunti riportati in sentenza appaiono divaricati rispetto ai principi espressi dalla giurisprudenza unionale e da quella interna nomofilattica. Invero, è stato chiarito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA, senza che sia necessaria la prova della partecipazione all’evasione (v. Corte Giust. COGNOME, C-285/11; Corte Giust, Ppuh, C277/14). Detta prova può, peraltro, ritenersi raggiunta -diversamente da quanto opinato dal giudice d’appello anche qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; 8 Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. COGNOME e David, C-80/11 e C142/11). Pertanto, esclusi ogni automatismo probatorio o criterio generale predeterminato, l’onere dell’Amministrazione finanziaria
sulla consapevolezza del cessionario s’incentra proprio nella individuazione, a cura dell’Amministrazione, di elementi obbiettivi e specifici in ordine al fatto che la contribuente-cessionaria dei beni o dei diritti conoscesse o avrebbe dovuto conoscere, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, e tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione, che la realtà documentalmente espressa non corrispondeva a quella effettiva (Cass. n. 24490 del 2015). Una volta che l’Amministrazione abbia provato, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente, passa al contribuente medesimo l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 23560 del 2012; Cass. n. 25575 del 2014).
La corte di secondo grado ha trascurato di valorizzare i plurimi elementi sintomatici della consapevolezza in capo alla società contribuente del meccanismo fraudolento, siccome esposti dall’Ufficio. In questo quadro, essa ha finito per contraddire il sedimentato formante nomofilattico, alla luce del quale ‘In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione
della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 9851 del 2018) . Questa Corte ha anche puntualizzato che in tema di interposizione fittizia di un soggetto ‘ l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta ‘ (Cass., Sez. 5, 10120 del 2017; Cass. n. 27629 del 2018).
In definitiva, benché sia indirizzo consolidato quello per cui, ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria può assolvere all’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici (v. anche Cass. n. 24471 del 2022), il giudice di secondo grado si è posto in urto frontale con il quadro dei principi nomofilattici espressi in tema di operazioni soggettivamente
inesistenti, sorvolando deliberatamente sui profili di matrice presuntiva dedotti dall’Ufficio.
In altri termini, benché la prova dell’inesistenza soggettiva sia suscettibile d’essere raggiunta qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice, come prevede per l’IVA l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; 8 Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. COGNOME e NOME, C-80/11 e C142/11), nell’economia della decisione d’appello il compendio degli elementi indiziari non è stato in alcun modo vagliato e soppesato.
Il secondo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
In ordine alla mancata contabilizzazione dei ricavi la sentenza d’appello si esprime testualmente come segue: ‘Con riferimento all’omessa contabilizzazione dei ricavi, il Collegio osserva che, alla pagina 13 del PVC i verbalizzanti annotano che, per le operazioni per l’anno 2015, non erano scaduti i termini per la presentazione delle dichiarazioni fiscali. La ripresa non trova, dunque, fondamento nelle risultanze del PVC e non può, pertanto, essere confermata’.
Il motivo non aggredisce la statuizione e la correlata ratio decidendi , palesandosi vistosamente divaricato dalla stessa. Ed invero la censura s’indirizza sulle annualità 2013 e 2014, anziché su quella al centro della decisione adottata.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto in relazione al primo mezzo, respinto il secondo. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado competente, cui va demandata anche la regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, rigettando il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la
regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia. Così deciso in Roma, il 16/01/2025.