Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19142 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 11725-2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende Ricorrente
CONTRO
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE , cf 06363391001, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato –
Resistente
Avverso la sentenza n. 733/19/2018 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, depositata l’8 febbraio 2018 ; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Alla RAGIONE_SOCIALE l’Agenzia delle entrate notificò l’ avviso d’accertamento con cui, ai fini Iva e relativamente a ll’ anno d’imposta 201 0,
Iva – Op. sogg. inesistenti – Prova
recuperò ad imponibile € 76.758,00, ritenut e detrazioni indebite perché riconducibili ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Avverso l’atto impositivo la società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina, che con sentenza n. 1419/06/2016, a nnullò l’avviso solo con riguardo alle sanzioni, confermando il recupero d’imposta. La contribuente appellò la decisione dinan zi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, che con sentenza n. 733/19/2018 respinse l’impugnazione.
Il giudice regionale, ripercorrendo le argomentazioni per le quali già il collegio di prime cure aveva confermato le contestazioni erariali, ha prima respinto i motivi d’appello con cui la società insisteva sui vizi formali dell’atto (difetto di sottoscrizione) e sul suo difetto di motivazione; quindi ha evidenziato gli elementi, allegati dall’Amministrazione finanziaria a sostegno della natura frodatoria delle operazioni d’acquisto di beni , intervenute tra la ricorrente, cessionaria, e la (formale) cedente, RAGIONE_SOCIALE Ha dunque concluso per la soggettiva inesistenza delle operazioni fatturate.
La società ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con un a irrituale comparsa, al solo fine dell ‘eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
All’esito dell’adunanza camerale del 14 maggio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ha lamentato la «Motivazione insufficiente. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546/1992, dell’art. 118 disp. Att. Cpc e dell’art. 111 Costituzione (art. 360 n. 4 c.p.c.)» in merito alla delega per la sottoscrizione dell’accertamento , erroneamente riconosciuta come valida dalla Commissione regionale.
Con il secondo motivo ha denunciato la « violazione dell’art. 42, 1 ° e 3° comma, D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 17, comma 1 -bis, D.Lgs. n. 165/2001 (art. 360 n. 3 c.p.c.)», sempre in merito alla delega di sottoscrizione dell’avviso d’accertamento, che erroneamente è stata ritenuta motivata.
Con essi la ricorrente sostiene che la decisione della Commissione regionale, secondo cui l’avviso d’accertamento doveva considerarsi correttamente sottoscritto dal funzionario, avrebbe violato le norme
richiamate, sia perché generica, limitandosi a dichiararne l’idoneit à, sia perché non spiegava quali fossero le ragioni della delega, né la sua durata temporale. Sostiene che, al contrario, la sua regolarità non poteva prescindere dalla nominatività, dalle specifiche ragioni di servizio che giustificavano la delega medesima, dalla sua temporaneità. La sentenza nulla aveva chiarito in merito.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per essere tra loro connessi, sono infondati.
Questa Corte, con interpretazione ormai consolidata, ha affermato che, per gli accertamenti delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’atto impositivo, a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, (che richiama implicitamente il cit. art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto “agenzie fiscali” da un funzionario di terza area, per la quale non è richiesta la qualifica di dirigente (Cass., 19 dicembre 2019, n. 32172; 30 settembre 2019, n. 24271). Peraltro, si è chiarito che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante. Per conseguenza, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., 19 aprile 2019, n. 11013; 8 novembre 2019, n. 28850).
Ebbene, nel rigettare l’appello in merito, la Commissione regionale ha evidenziato che l’avviso d’accertamento risultava sottoscritto da funzionario della terza Area (dott. COGNOME, delegato dal direttore provinciale protempore, in coerenza con la documentazione allegata alle controdeduzioni e re lativa alle disposizioni dell’Agenzia n. 34 del 27.07.2015 e quelle in essa richiamate.
Nel riportare quei dati la Commissione regionale ha deciso nel rispetto dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza.
Di contro, le critiche sollevate dalla ricorrente sono innanzitutto inammissibili per difetto di specificità, non essendo stato riprodotto il contenuto delle deleghe. Ma in ogni caso, anche volendo trascurare questo limite, pur assorbente, quelle deleghe, dalla lettura dei passaggi del ricorso, risultano sostenute da una motivazione, il cui contenuto era già più che sufficiente. Quanto alla denunciata omissione del termine di efficacia delle proroghe di conferimento della delega, che secondo la difesa, almeno per una di esse, risulterebbe inesistente, si tratta di una critica assolutamente confusa, riportando una progressione numerica inversa delle disposizioni di servizio (prima la n. 27/2015 e dopo la n. 20/2015 -cfr. pag. 11 del ricorso) che rende del tutto illogico il ragionamento stesso. A fronte di ciò resta dunque esaustiva la motivazione della sentenza, che costituisce anche un accertamento in fatto.
Con il terzo motivo ci si duole della « Violazione dell’art. 56 D.p.r. n. 633/1972 nonché dell’art. 7, comma 1, Legge 27/7/2000 n. 212 (art. 360 n. 3 c.p.c.)», in merito alla eccepita omessa allegazione all’accertamento del processo verbale di constatazione redatto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che erroneamente la Commissione regionale ha ritenuto invece allegato.
Il motivo è inammissibile perché, a fronte dell ‘ affermazione contenuta in sentenza, secondo cui ‘risulta che l’ufficio abbia allegato il predetto pvc all’avviso impugnato’, la negazione di quanto invece il giudice regionale afferma esistente poteva essere oggetto di un diverso rimedio processuale, quale il ricorso per revocazione, per la denuncia di un errore percettivo, ex art. 395, n. 4, c.p.c., ma certamente non di un ricorso compreso nel parametro di critica dell’error iuris in iudicando, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Con il quarto motivo la società lamenta la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. ( art. 360 n. 3 c.p.c.). Insufficiente motivazione . Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546/ 1992, dell’art. 18 disp. att. cpc e dell’art. 111 Costituzione (art. 360 n. 4 cpc)», in merito alla inesistenza delle operazioni di vendita tra la BA
RAGIONE_SOCIALE e la ricorrente.
A parte la formulazione di un motivo con cui si invocano contestualmente i parametri di critica dell’errore di diritto sostanziale e dell’errore di diritto processuale, senza una specifica distinzione delle argomentazioni poste a fondamento d ell’una o d ell’altra ragione d’impugnazione , il motivo è comunque infondato.
In tema di operazioni soggettivamente inesistenti e ai fini Iva, questa Corte ha affermato che, quando l’Amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario -nei termini appresso chiaritiche l’operazione si sia inserita in un meccanismo organizzativo finalizzato alla evasione d’imposta.
L’ufficio deve , cioè, dimostrare, anche in via presuntiva ed in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369).
Più nel dettaglio, si è affermato che in ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti, risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, con conseguente insorgenza del proprio diritto alla detrazione, la prova che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione strumentale e di personale adeguato alla sua esecuzione, costituisce un significativo indice presuntivo, un idoneo elemento sintomatico, dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante/cessionario o committente), unitamente agli obblighi informativi che pur gravano sull’operator e economico quando si interfaccia con altro operatore, induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto
versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta.
In tal caso sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non era il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; 20 luglio 2020, n. 15369).
Costituendo infatti la neutralità dell’imposta, e con essa il diritto alla detrazione dell’imposta corrisposta in rivalsa, principio cardine del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia UE (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) -, non suscettibile di limitazioni in linea di principio, l’Amministrazione finanziaria, quando ritenga che il diritto debba essere negato, attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore.
Nelle ipotesi più semplici, quali appunto le operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare, nelle quali l’operatore acquista direttamente -solo sul piano formale- da una cartiera, attesa l’immediatezza dei rapporti l’onere dell’Amministrazione finanziaria può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale, o su altri elementi di agevole percezione.
In quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinte da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) l’ufficio è onerato dall’allegazione degli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essa da parte del contribuente (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426; 21 aprile 2017, n. 10120; 30 ottobre 2018, n. 27629; 27 febbraio 2020, n. 5339).
RGN 11725/2018 Solo ove questa prova sia fornita dall’ufficio, spetta al contribuente, che ha portato in detrazione l’iva, la prova contraria di aver concluso realmente
l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni.
Si afferma infatti che il contribuente, ancorché non coscientemente partecipe di una frode, è tenuto ad adottare comunque tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurare la propria estraneità ad operazioni fraudolente, e ciò richiede non so lo l’assenza di una sua consapevole partecipazione, ma anche l’incolpevole ignoranza dell’operazione inesistente (cfr. anche CGCE, causa C -409/04 –RAGIONE_SOCIALE; da ultimo, con un esame approfondito che ricostruisce anche i precedenti della giurisprudenza euro-unitaria, cfr. CGCE, 1 dicembre 2022, in C-512/21, nei § da 26 a 33).
Non si considera dunque sufficiente che il contribuente rappresenti la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti (Cass., 9 settembre 2016, n. 17818), anzi frequentemente utilizzate proprio a mascheramento dell’attività illecita posta in essere.
In ogni caso, salva la pretesa di un maggior rigore probatorio, è certo che a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode -in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito -l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive.
I n questa attività di scernimento l’organo giudicante deve correttamente osservare le regole di riparto della prova.
Nel caso concreto, la fattispecie non solo rientrava nella più semplice delle ipotesi, quella del rapporto diretto tra società cartiera e contribuente, ma, nella ricostruzione dei fatti riportati in sentenza, erano stati allegati dall’Amministrazione finanziaria , secondo quanto già evidenziato in primo grado e riportato nella pronuncia d’appello, elementi indiziari atti a dimostrare la struttura fittizia della RAGIONE_SOCIALE, quali: a) il cedente era la RAGIONE_SOCIALE costituita mediante il conferimento della Del Prete
RAGIONE_SOCIALE, controllata dalla COGNOME NOME, coniuge del Bianchi Agostino
RGN 11725/2018
e madre di NOMECOGNOME NOME e NOME, tutti soci della predetta società, poi ceduta il 28.12.2009 a tale signor COGNOME mantenendo tuttavia -sempre la COGNOME– la carica di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE; b) tale società e la RAGIONE_SOCIALE avevano lo stesso domicilio fiscale, in Cisterna di Latina, INDIRIZZO e lo stesso luogo di esercizio dell’attività (di autotrasporto); c) la totale assenza di documentazione da cui evincere i rapporti, contrattuali ed extracontrattuali tra le due società; d) gli ingenti debiti erariali della RAGIONE_SOCIALE come risultanti dalle dichiarazioni presentate.
Il giudice regionale , nel riconoscere le ragioni dell’atto impositivo, ha valorizzato che -nel l’intento di svuotare il patrimonio della B.A Distribuzione, escludendo anche ogni responsabilità dei componenti della famiglia COGNOME– tale società aveva omesso del tutto il versamento all’erario dell’Iva indicata nelle fatture emesse per le cessioni di beni alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME, laddove quest’ultima -cessionaria- detraeva la medesima Iva, formalmente versata alla cedente; la cessione dalla famiglia COGNOMECOGNOME delle quote della RAGIONE_SOCIALE Pomenti, avvenuta con atto del 28.12.2009, era simulata, trattandosi di un prestanome, come evincibile dalla qualità di rappresentante legale di 52 società, tutte oberate di debiti tributari, nonché sottoscrittore di acquisto, nel corso degli anni 2008, 2009 e 2010, delle quote di 36 società, tutte nella titolarità di soggetti risultanti evasori totali, non più attive e svuotate di beni mobili e immobili, prive di documentazione contabile.
In sentenza è stata inoltre apprezzata la circostanza che della vendita dell ‘intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 90.000,00 il prezzo non era stato mai effettivamente pagato, come ammesso in sede di informazioni dalla COGNOME e da NOME. Il medesimo COGNOME NOME, alla richiesta di produrre un prospetto di riconciliazione dei pagamenti con le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, aveva dichiarato di non essere in grado di predisporre il suddetto prospetto. La B.RAGIONE_SOCIALE ometteva totalmente il versamento delle imposte dal 2006, accumulando cartelle esattoriali per l’importo di oltre € 800.000,00. Nell’acquisto , da parte della F.RAGIONE_SOCIALE Bianchi di tutti i beni strumentali della RAGIONE_SOCIALE, e dell’intero complesso dei fatto ri produttivi, la cessionaria aveva continuato a svolgere la medesima attività d’impresa nello stesso immobile, con operazioni la cui regia era con evidenza riconducibile agli
stessi componenti della famiglia COGNOME e in tale contesto risultando la B.A Distribuzione una mera cartiera.
Il quadro rappresentato diffusamente dalla sentenza è pienamente coerente con i principi enunciati in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, così come è coerente con le regole di distribuzione dell’onere probatorio, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, emergendo, nel caso di specie, non solo una negligenza nella individuazione della condotta frodatoria di terzi, ma una piena partecipazione alla stessa.
Ne discende che le critiche con le quali la ricorrente si affanna a negare la collocazione della fattispecie nella categoria delle operazioni contestate dall’ufficio e riconosciute nella sentenza impugnata sono prive di pregio e vanno rigettate.
In definitiva, il ricorso va rigettato. All’ esito del giudizio nulla va liquidato per le spese di causa, stante la mancata rituale costituzione dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio del 14 maggio 2025