LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Operazioni soggettivamente inesistenti: onere prova

Una società si è vista negare la detrazione IVA per fatture ricevute da un’altra impresa, ritenuta dall’Agenzia delle Entrate una mera società ‘cartiera’. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di merito. L’ordinanza chiarisce i principi sull’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti: spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare, anche tramite presunzioni, la natura fittizia del fornitore e la consapevolezza del cessionario. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare la propria buona fede e la massima diligenza per evitare di essere coinvolto nella frode. Nel caso specifico, i forti legami tra le due società e altri indizi hanno dimostrato la piena partecipazione del contribuente allo schema fraudolento.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: Onere della Prova e Diligenza del Contribuente

Le operazioni soggettivamente inesistenti rappresentano una delle più insidiose frodi fiscali, in cui un’impresa si trova a detrarsi l’IVA per acquisti documentati da fatture emesse da una società ‘cartiera’, ovvero un soggetto fittizio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente e il livello di diligenza richiesto a quest’ultimo per non perdere il diritto alla detrazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società del settore dei trasporti che ha ricevuto un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava oltre 76.000 euro di IVA, ritenendo indetraibile l’imposta assolta su fatture relative ad acquisti da un’altra società. Secondo l’Amministrazione finanziaria, la società fornitrice era una mera ‘cartiera’, creata ad arte per scopi fraudolenti, e le operazioni erano quindi soggettivamente inesistenti.

La contribuente ha impugnato l’atto, sostenendo sia vizi formali (relativi alla delega di firma del funzionario che ha sottoscritto l’accertamento) sia, nel merito, la reale esistenza delle operazioni. Tuttavia, i giudici di primo e secondo grado hanno dato ragione al Fisco, evidenziando una serie di elementi che provavano non solo la natura fittizia della fornitrice, ma anche la piena consapevolezza e partecipazione della società acquirente alla frode.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova nelle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la sentenza d’appello e fornendo importanti chiarimenti. In primo luogo, ha respinto i motivi procedurali, ribadendo il suo orientamento consolidato secondo cui la delega di firma per un avviso di accertamento è un atto organizzativo interno e non necessita di indicazioni nominative o temporali specifiche, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica del funzionario firmatario.

Il cuore della pronuncia riguarda però l’onere della prova. La Corte ha spiegato che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha il compito di dimostrare due elementi:
1. La natura fittizia del fornitore (la ‘cartiera’).
2. La consapevolezza dell’acquirente di essere parte di un’evasione fiscale, o il fatto che avrebbe dovuto saperlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

Questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti. Una volta che il Fisco ha assolto a questo onere, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo fornire la prova contraria: dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto e di essersi trovato nell’impossibilità oggettiva di scoprire il carattere fraudolento dell’operazione.

Le Motivazioni

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria avesse ampiamente superato la propria soglia probatoria. Gli elementi indiziari erano schiaccianti e dimostravano non una semplice negligenza, ma una ‘piena partecipazione’ della società ricorrente alla frode. Tra gli elementi valorizzati dai giudici figurano:

* Legami familiari e societari: La società ‘cartiera’ era stata costituita da un conferimento di un’azienda controllata dalla madre e coniuge di alcuni soci della ricorrente.
* Coincidenze logistiche: Le due società avevano lo stesso domicilio fiscale e lo stesso luogo di esercizio dell’attività.
* Assenza di documentazione: Mancava qualsiasi prova di rapporti contrattuali o extracontrattuali tra le due entità.
* Cessione fittizia: La società ‘cartiera’ era stata ceduta a un noto prestanome, già rappresentante legale di decine di società indebitate ed evasori totali, in un’operazione che i giudici hanno definito simulata.
* Comportamento anomalo: La ‘cartiera’ ometteva sistematicamente il versamento delle imposte, accumulando debiti per oltre 800.000 euro, mentre la società ricorrente detraeva regolarmente l’IVA che versava formalmente alla cedente.

Questo quadro, secondo la Corte, era ‘pienamente coerente’ con i principi enunciati in tema di operazioni soggettivamente inesistenti. La condotta della società ricorrente non era riconducibile a una negligenza, ma a una partecipazione attiva allo schema fraudolento.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per ogni operatore economico: la regolarità formale dei documenti (fattura, pagamento) non è sufficiente a garantire il diritto alla detrazione dell’IVA. Quando le circostanze del caso concreto presentano anomalie, è richiesta una diligenza superiore alla media. Ignorare segnali di allarme evidenti, come quelli presenti in questa vicenda (stretti legami con il fornitore, struttura operativa inesistente di quest’ultimo, ecc.), espone al rischio concreto di vedersi contestata la detrazione e di essere considerati complici di una frode. Per le imprese, la lezione è chiara: è essenziale adottare procedure di controllo e verifica dei propri partner commerciali, specialmente in presenza di circostanze che si discostano dalla normale prassi commerciale, per poter dimostrare, in caso di contestazione, la propria assoluta buona fede.

Chi deve provare la frode in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
Inizialmente, l’onere della prova grava sull’Amministrazione finanziaria, la quale deve dimostrare, anche tramite presunzioni, che il fornitore indicato in fattura è un soggetto fittizio (una ‘cartiera’) e che l’acquirente sapeva, o avrebbe dovuto sapere con l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’operazione fraudolenta. Una volta fornita questa prova, l’onere si inverte e spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare la propria buona fede e non perdere la detrazione IVA?
L’impresa deve provare di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per assicurarsi che l’operazione non facesse parte di una frode. Non è sufficiente dimostrare la regolarità formale della documentazione contabile o l’avvenuto pagamento. È necessario adottare tutte le misure ragionevoli per verificare l’affidabilità del fornitore ed essere in grado di dimostrare di essersi trovati nell’impossibilità oggettiva di conoscere il carattere fraudolento dell’operazione.

La firma di un funzionario delegato sull’avviso di accertamento è sempre valida?
Sì, secondo l’orientamento consolidato della Cassazione. La delega alla sottoscrizione degli avvisi di accertamento è considerata una ‘delega di firma’ e non ‘di funzioni’. Si tratta di un atto di organizzazione interna dell’ufficio che non richiede un’indicazione nominativa del delegato, né specifiche ragioni o una durata temporale. È sufficiente che sia possibile individuare la qualifica del funzionario firmatario per ritenerla valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati