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Operazioni soggettivamente inesistenti: onere prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23483/2024, ha ribadito i principi sull’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare non solo che il fornitore è una società fittizia, ma anche che il cliente era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, della frode. La Corte ha inoltre cassato la sentenza d’appello per omessa pronuncia su un motivo specifico del ricorso, relativo alla ricostruzione induttiva dei ricavi.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: Chi Deve Provare la Frode?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 23483 del 2 settembre 2024 offre chiarimenti cruciali in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, un campo minato per molti imprenditori. La decisione ribadisce un principio fondamentale: l’onere di provare la consapevolezza della frode da parte del contribuente grava sull’Amministrazione Finanziaria. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Tutto ha origine da una verifica fiscale nei confronti di una società risultata essere una mera ‘cartiera’, ovvero un’entità priva di reale capacità operativa, creata al solo scopo di emettere fatture. L’indagine si è poi estesa ai suoi partner commerciali, tra cui una Srl (la Società Contribuente) alla quale è stato contestato di aver intrattenuto rapporti commerciali con la ‘cartiera’ nel corso del 2010.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento, disconoscendo la deducibilità dei costi e la detrazione dell’IVA relative a tali operazioni. L’atto impositivo contestava maggiori tributi (Ires, Iva e Irap) per un importo complessivo di oltre 290.000 Euro, basandosi su tre rilievi: indebita detrazione IVA, maggiori ricavi non dichiarati (ricostruiti induttivamente) e costi indeducibili.

La Società Contribuente ha impugnato l’atto, contestando i primi due rilievi. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno dato ragione alla società, ritenendo che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito prove sufficienti della consapevolezza della contribuente di partecipare a un meccanismo fraudolento.

Il Ricorso per Cassazione e le Questioni Giuridiche

L’Agenzia delle Entrate ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando quattro motivi di ricorso. I due più rilevanti riguardavano:
1. La presunta errata applicazione delle norme sull’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.
2. La nullità della sentenza d’appello per omessa pronuncia sul motivo relativo al recupero a tassazione di maggiori ricavi accertati induttivamente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha analizzato distintamente i motivi, giungendo a conclusioni diverse.

Sull’Onere della Prova nelle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

Sul primo e più significativo punto, la Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato secondo cui, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, due elementi fondamentali:

1. L’inesistenza del fornitore (o la sua natura di ‘cartiera’).
2. La consapevolezza del cessionario (l’acquirente) di partecipare alla frode, o il fatto che avrebbe potuto saperlo usando l’ordinaria diligenza.

La Corte ha specificato che solo una volta che l’Amministrazione ha fornito questa duplice prova, l’onere si sposta sul contribuente, che dovrà dimostrare la sua buona fede e di aver agito con la massima diligenza possibile. Nel caso di specie, l’Agenzia non ha illustrato nel suo ricorso quali elementi avrebbero dovuto dimostrare la consapevolezza della società accertata, rendendo infondato il motivo.

Sull’Omessa Pronuncia del Giudice d’Appello

La Corte ha invece accolto il secondo motivo di ricorso. È emerso che la Commissione Tributaria Regionale, nel confermare la decisione di primo grado, non si era affatto pronunciata sul specifico motivo d’appello dell’Agenzia riguardante la ricostruzione induttiva dei ricavi. Questa omissione costituisce una violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), determinando la nullità della sentenza su quel punto.

Le Conclusioni

In definitiva, la Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria. Ha rigettato il motivo sull’onere della prova, confermando un principio a tutela del contribuente in buona fede. Tuttavia, ha cassato la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto (l’omessa pronuncia) e ha rinviato il caso alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania. Quest’ultima dovrà riesaminare la questione dei maggiori ricavi accertati induttivamente, colmando la lacuna motivazionale della precedente decisione. La pronuncia sottolinea l’importanza per i giudici di merito di esaminare tutti i motivi di ricorso per evitare sentenze nulle, e riafferma che il solo coinvolgimento di una ‘cartiera’ non è sufficiente a colpevolizzare automaticamente i suoi clienti.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, su chi ricade l’onere di provare la consapevolezza della frode?
L’onere ricade sull’Amministrazione Finanziaria. Deve provare non solo che il fornitore è un soggetto fittizio (es. una ‘cartiera’), ma anche che il cliente sapeva o avrebbe potuto sapere, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Cosa accade se un giudice d’appello omette di pronunciarsi su uno specifico motivo del ricorso?
La sentenza è viziata da nullità per violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile. La Corte di Cassazione può cassare la decisione e rinviare la causa al giudice del merito affinché si pronunci sul punto omesso.

È sufficiente per l’Amministrazione Finanziaria dimostrare che il fornitore è una ‘società cartiera’ per negare la deducibilità dei costi e la detrazione IVA al cliente?
No, non è sufficiente. Oltre a provare la natura fittizia del fornitore, l’Amministrazione deve fornire elementi oggettivi e specifici che dimostrino la consapevolezza o la colpevole inconsapevolezza del cliente riguardo alla frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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