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Operazioni soggettivamente inesistenti: Onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14795/2024, ha annullato una decisione di merito che aveva concesso la detrazione IVA a una società coinvolta in operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che, per negare la detrazione, l’Agenzia delle Entrate deve provare, anche tramite presunzioni, non solo la fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario di partecipare a una frode. Elementi come la regolarità dei pagamenti o la presenza di documenti di trasporto sono stati ritenuti irrilevanti per dimostrare la buona fede del contribuente.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione sull’onere della prova

L’ordinanza n. 14795 del 27 maggio 2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di IVA: la ripartizione dell’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia chiarisce quali elementi l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare e quale prova contraria è richiesta al contribuente per vedersi riconosciuto il diritto alla detrazione dell’imposta. Si tratta di una decisione fondamentale per le imprese che operano in contesti commerciali complessi, dove il rischio di essere coinvolti in frodi carosello è sempre presente.

I fatti di causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento IVA per l’anno 2012 notificato a una società, successivamente fallita. L’Agenzia delle Entrate contestava la detrazione dell’imposta relativa a presunte operazioni soggettivamente inesistenti, inserite in un meccanismo di frode carosello. Secondo l’accusa, la società aveva partecipato a un sistema fraudolento volto a far figurare come intracomunitarie delle operazioni di importazione, al fine di evadere l’IVA.

La società si era difesa sostenendo la propria totale estraneità alla frode. La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso dell’azienda, ritenendo che non vi fossero le condizioni oggettive per affermare la sua conoscibilità della frode. Successivamente, anche la Commissione Tributaria Regionale aveva respinto l’appello dell’Agenzia, giudicando non provata la consapevolezza della contribuente di partecipare all’operazione evasiva. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’Agenzia ha basato il suo ricorso su due motivi principali:
1. Nullità della sentenza per motivazione apparente: La CTR avrebbe motivato la sua decisione basandosi su elementi (come il pagamento tramite bonifico e l’avvenuto trasporto delle merci) considerati dalla giurisprudenza inidonei a superare una contestazione di inesistenza soggettiva.
2. Violazione di legge: La CTR non avrebbe correttamente applicato le norme sull’onere della prova (artt. 2697 e 2727 c.c.) e in materia di IVA (artt. 19 e 21 D.P.R. 633/72), omettendo di considerare gli elementi presuntivi offerti dall’Agenzia per dimostrare non solo l’esistenza della frode, ma anche la consapevolezza della società di farne parte.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulle operazioni soggettivamente inesistenti

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, assorbendo il primo. Gli Ermellini hanno richiamato la loro consolidata giurisprudenza in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e frodi carosello.

Il principio cardine è il seguente: l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare due elementi:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore indicato in fattura.
2. La consapevolezza del destinatario della fattura (o il fatto che avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza) che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta. Questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni, basate su elementi oggettivi e specifici.

Una volta che l’Amministrazione ha assolto a questo onere, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode. A tal fine, la Corte ha sottolineato che sono del tutto irrilevanti elementi quali:
– La regolarità della contabilità e dei pagamenti.
– La mancanza di benefici diretti dalla rivendita della merce.
– La presenza di documenti di trasporto.

Quest’ultimo punto è particolarmente importante: nelle operazioni soggettivamente inesistenti, la merce esiste e viene effettivamente consegnata. Il problema è che a consegnarla è un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura. Pertanto, la prova del trasporto non dimostra la genuinità dell’operazione sotto il profilo soggettivo.

Nel caso specifico, la Corte ha concluso che il giudice d’appello ha commesso un errore di diritto, fondando la propria decisione proprio su quegli elementi che la giurisprudenza considera ininfluenti e non operando una corretta sussunzione della fattispecie nelle regole sul riparto dell’onere della prova.

Le conclusioni

In accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto enunciati, valutando correttamente il compendio probatorio e gli elementi presuntivi per stabilire se la società fosse o meno consapevole di partecipare alla frode. Questa decisione ribadisce la rigidità dei criteri per la detrazione IVA in contesti a rischio di frode, ponendo l’accento sulla necessità per le imprese di adottare una diligenza qualificata nei rapporti commerciali per non incorrere in gravi conseguenze fiscali.

Chi deve provare la frode in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve dimostrare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario di partecipare all’evasione, anche tramite presunzioni.

Cosa deve dimostrare l’Amministrazione Finanziaria per negare la detrazione IVA?
Deve provare due circostanze: primo, che il fornitore indicato in fattura non è quello reale (inesistenza soggettiva); secondo, che il contribuente che ha ricevuto la fattura era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto conoscerla usando l’ordinaria diligenza professionale.

Il pagamento regolare e i documenti di trasporto bastano a dimostrare la buona fede del contribuente?
No. Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, la regolarità formale della contabilità, dei pagamenti e la presenza di documenti di trasporto non sono elementi sufficienti a dimostrare la buona fede del contribuente e la sua estraneità alla frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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