LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9896/2024, si è pronunciata su un caso di operazioni soggettivamente inesistenti in materia di IVA. L’Amministrazione Finanziaria aveva contestato a una società la detrazione dell’imposta su fatture emesse da un fornitore ritenuto una ‘cartiera’. La Corte ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso della società, confermando che spetta all’Agenzia Fiscale provare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario della fattura. Tuttavia, ha accolto il motivo relativo alle sanzioni, cassando la sentenza e rinviando il caso per l’applicazione del principio del ‘favor rei’, ovvero della norma sanzionatoria più favorevole sopravvenuta nel corso del giudizio.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: Onere della Prova e Favor Rei

L’ordinanza n. 9896 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’analisi dettagliata e chiara sul tema delle operazioni soggettivamente inesistenti e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. Questo provvedimento è cruciale perché, pur confermando l’orientamento consolidato in materia di frodi IVA, accoglie il principio del favor rei per la rideterminazione delle sanzioni, delineando un percorso di equità e certezza del diritto.

I Fatti di Causa

Una società si è vista notificare un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria recuperava l’IVA indebitamente detratta per l’anno d’imposta 2006. La contestazione si fondava sull’ipotesi che le fatture ricevute provenissero da una società ‘cartiera’, configurando così delle operazioni soggettivamente inesistenti.
Il contribuente aveva ottenuto una prima vittoria presso la Commissione Tributaria Provinciale, la quale aveva annullato l’accertamento. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale (CTR), in appello, ribaltava la decisione, dando ragione all’Agenzia Fiscale. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su nove distinti motivi di censura.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato meticolosamente i motivi del ricorso, rigettandone la maggior parte ma accogliendone uno decisivo, quello relativo alle sanzioni.

Le operazioni soggettivamente inesistenti e l’onere della prova

La Corte ha ribadito il principio consolidato in tema di operazioni soggettivamente inesistenti. In questi casi, l’Amministrazione Finanziaria ha il compito di provare due elementi fondamentali:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore (la sua natura di ‘cartiera’).
2. La consapevolezza o la conoscibilità, con l’uso dell’ordinaria diligenza, da parte del destinatario della fattura, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Una volta che il Fisco fornisce questi elementi, anche attraverso presunzioni, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode. Non è sufficiente, a tal fine, provare la regolarità formale della contabilità o l’avvenuto pagamento delle fatture.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la CTR avesse correttamente applicato questo canone, individuando elementi sufficienti a dimostrare la consapevolezza della frode da parte della società ricorrente.

Il raddoppio dei termini e la motivazione della sentenza

I giudici hanno anche respinto le censure relative al raddoppio dei termini di accertamento. Hanno chiarito che, in presenza di seri indizi di reato che obbligano alla denuncia penale, i termini per l’accertamento fiscale raddoppiano, indipendentemente dall’esito del procedimento penale (anche in caso di archiviazione).
Allo stesso modo, è stata respinta la critica sulla motivazione ‘apparente’ della sentenza d’appello. La Corte ha spiegato che una motivazione è nulla solo quando è talmente incomprensibile da non far capire il ragionamento del giudice, cosa che non è avvenuta in questo caso, poiché la CTR aveva espresso una chiara ratio decidendi.

L’applicazione del Favor Rei sulle sanzioni

Il punto di svolta del ricorso è stato il nono motivo. La società lamentava la mancata applicazione delle sanzioni più miti introdotte con il d.lgs. n. 158 del 2015, entrato in vigore quando il processo d’appello era già in fase decisionale.
La Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo. Ha richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di sanzioni amministrative tributarie, si applica il principio del favor rei, ovvero la norma successiva più favorevole al contribuente. Poiché la società ricorrente aveva specificamente indicato le nuove norme e proposto un ricalcolo, la Corte ha stabilito che la CTR avrebbe dovuto tenerne conto.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Da un lato, la stabilità e la certezza dei principi giurisprudenziali in materia di frodi IVA, che tutelano l’Erario da complesse operazioni evasive, ponendo a carico dell’operatore economico un dovere di diligenza qualificata. La decisione conferma che la lotta all’evasione richiede che il contribuente sia un partecipe attivo nella verifica della buona fede dei suoi partner commerciali. Dall’altro lato, la Corte ha voluto salvaguardare un principio fondamentale di legalità e proporzionalità della sanzione, quello del favor rei. La sanzione non deve avere un carattere puramente afflittivo, ma deve essere conforme alla legislazione vigente al momento della sua irrogazione definitiva. Accogliendo il nono motivo, i giudici hanno riaffermato che le modifiche legislative che riducono il carico sanzionatorio devono trovare applicazione anche nei processi in corso, a garanzia del contribuente.

Conclusioni

L’ordinanza rappresenta un importante punto di riferimento. Se da un lato consolida la rigorosa impostazione sull’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti, responsabilizzando le imprese nelle loro scelte commerciali, dall’altro apre una porta all’equità, imponendo ai giudici di merito di applicare retroattivamente le sanzioni più favorevoli. La decisione finale è quindi un annullamento parziale della sentenza impugnata: ferma restando la legittimità del recupero dell’IVA, il caso torna alla Commissione Tributaria Regionale per la sola rideterminazione delle sanzioni alla luce della normativa più mite.

Chi deve provare la frode in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’onere della prova è ripartito: l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza (o conoscibilità) della frode da parte del cliente. Successivamente, spetta al contribuente provare di aver agito con la massima diligenza per evitare di essere coinvolto.

Il raddoppio dei termini di accertamento fiscale si applica anche se la denuncia penale viene archiviata?
Sì. La Corte ha confermato che i termini di accertamento raddoppiano in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del procedimento penale stesso, quindi anche in caso di archiviazione.

Il principio del favor rei si applica alle sanzioni tributarie anche se la legge più favorevole entra in vigore quando la causa è già in decisione?
Sì. La Corte ha stabilito che il principio del favor rei (applicazione della legge più favorevole) deve essere applicato anche se la nuova normativa più mite è entrata in vigore quando il processo era già stato introitato per la decisione, a condizione che la questione sia stata sollevata tempestivamente e in modo specifico dal contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati