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Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che negava la detrazione IVA a una società per operazioni soggettivamente inesistenti. Si chiarisce che la prova della buona fede del contribuente non può basarsi sulla mera regolarità contabile o su un’archiviazione penale, ma richiede una diligenza attiva nel verificare la controparte commerciale.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: Quando la Buona Fede non Basta

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema delle operazioni soggettivamente inesistenti, ribadendo i rigorosi oneri probatori a carico del contribuente che intende detrarre l’IVA su fatture emesse da società “cartiere”. La pronuncia chiarisce che la mera regolarità contabile e dei pagamenti non è sufficiente a dimostrare la propria buona fede, essendo richiesta una diligenza attiva e concreta nel verificare l’affidabilità della controparte commerciale.

I Fatti del Caso: Fatture da una Società Fantasma

Una società operante nel settore dell’elettronica si è vista notificare diversi avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa a fatture ricevute per gli anni dal 2009 al 2011. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali fatture si riferivano a operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto emesse da società risultate essere mere “cartiere”, cioè entità create al solo scopo di permettere a terzi di evadere le imposte.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione all’Ufficio, riformando la precedente decisione di primo grado. La società contribuente, ritenendo ingiusta la sentenza, ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando diversi vizi procedurali e di merito.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi delle operazioni soggettivamente inesistenti

Il ricorso della società si basava su sei motivi principali, tutti volti a contestare la decisione della CTR. Tra le principali doglianze, l’azienda sosteneva:
1. La nullità degli accertamenti per mancata allegazione del Processo Verbale di Constatazione (PVC) che provava la natura di “cartiera” del fornitore.
2. L’errata valutazione dell’onere della prova, ritenendo che l’Ufficio non avesse dimostrato la consapevolezza della frode da parte della società acquirente.
3. La mancata considerazione, ai fini della prova della buona fede, di un provvedimento di archiviazione emesso in sede penale per i medesimi fatti.
4. La presenza di una motivazione solo apparente e illogica nella sentenza d’appello.

La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto punto per punto tutte le argomentazioni della ricorrente, offrendo importanti chiarimenti in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

La Decisione della Corte: La Prova della Buona Fede

La Suprema Corte ha confermato la linea dura della giurisprudenza in tema di frodi carosello, rigettando il ricorso e condannando la società al pagamento delle spese.

Onere della Prova e Diligenza dell’Imprenditore

La Cassazione ha ricordato che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite indizi, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che l’acquirente era consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza. Una volta fornita tale prova, spetta al contribuente dimostrare il contrario: deve cioè provare di aver agito in totale assenza di consapevolezza e di aver adottato tutte le cautele esigibili da un operatore accorto. A tal fine, non sono sufficienti la regolarità formale delle scritture contabili e l’avvenuto pagamento tramite bonifico. Nel caso di specie, la società non aveva fornito alcuna prova sui contatti avuti con la società fornitrice, né su eventuali verifiche sulla sua struttura e operatività.

Irrilevanza della Sentenza Penale di Archiviazione

Un altro punto cruciale riguarda il valore di un’archiviazione in sede penale. La Corte ha stabilito che un provvedimento di archiviazione emesso nella fase delle indagini preliminari non ha alcuna efficacia di giudicato nel processo tributario. Il giudice tributario deve condurre una valutazione autonoma del materiale probatorio, data la diversità delle regole e dei criteri di valutazione tra i due giudizi. La CTR, pur avendo considerato l’esistenza del provvedimento penale, ha correttamente tratto le proprie conclusioni in modo indipendente.

Valore Probatorio del Processo Verbale di Constatazione (PVC)

Infine, la Corte ha precisato la natura e l’efficacia probatoria del PVC. Le attestazioni del pubblico ufficiale su fatti avvenuti in sua presenza godono di “fede privilegiata”. Le valutazioni, le analisi (come quella sulla vendita sottocosto) e le dichiarazioni di terzi riportate nel verbale, invece, costituiscono elementi di prova che il giudice può liberamente valutare insieme a tutti gli altri elementi del processo. Nel caso esaminato, la CTR ha legittimamente considerato l’analisi della vendita sottocosto come un forte indizio della partecipazione, consapevole o meno, alla frode.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio di autonomia tra il processo penale e quello tributario e sulla corretta ripartizione dell’onere della prova. L’ordinanza sottolinea che la lotta all’evasione IVA, specialmente nelle complesse frodi carosello, richiede che gli operatori economici adottino un comportamento diligente che va oltre il mero adempimento formale. La mancata allegazione di un atto già noto al contribuente non vizia l’accertamento, così come la regolarità contabile non è di per sé scudo contro l’accusa di coinvolgimento in un meccanismo fraudolento. La decisione della CTR è stata ritenuta immune da vizi logici, in quanto ha esaminato in modo approfondito gli indizi forniti dall’Ufficio (mancanza di una sede operativa del fornitore, vendite sottocosto) e l’assenza di prove contrarie adeguate da parte della società.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma che per un’impresa non è sufficiente “fare le cose per bene” solo sulla carta. Per non essere coinvolti in frodi fiscali e vedersi negare il diritto alla detrazione dell’IVA, è necessario dimostrare di aver agito con la massima diligenza, verificando attivamente l’affidabilità e la reale esistenza dei propri partner commerciali. La decisione rafforza il ruolo degli elementi indiziari nel processo tributario e ribadisce che la buona fede deve essere provata con fatti concreti e non solo con la formale correttezza delle registrazioni contabili.

Una sentenza penale di archiviazione può dimostrare la buona fede del contribuente nel processo tributario?
No, un provvedimento di archiviazione emesso nella fase delle indagini preliminari non ha efficacia di giudicato nel processo tributario. Il giudice tributario deve valutare autonomamente tutti gli elementi di prova, data la diversità dei due giudizi.

È sufficiente la regolarità formale della contabilità per provare di non essere coinvolti in operazioni soggettivamente inesistenti?
No, la Cassazione ribadisce che la regolarità della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente. Il contribuente deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza, adottando tutte le cautele per verificare la reale esistenza e affidabilità del fornitore.

L’avviso di accertamento è nullo se non allega il Processo Verbale di Constatazione (PVC) a cui fa riferimento?
No, non è nullo se il contribuente ha già avuto integrale e legale conoscenza del contenuto del PVC, ad esempio perché gli è stato consegnato in copia. Inoltre, è sufficiente che l’avviso di accertamento ne riproduca il contenuto essenziale per delimitare la pretesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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