Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24905 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1102/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME Giovanni , titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
: operazioni
soggettivamente inesistenti
– intimato –
avverso la sentenza n. 1376/07/2015 della Commissione tributaria regionale della LIGURIA, depositata in data 02/12/2015; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 11 luglio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA, IRAP ed IRPEF per l’anno d’imposta 2003, che l’Agenzia delle entrate emise nei confronti di NOME COGNOME titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione emesso da funzionari dell’Agenzia delle entrate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di commercio di autoveicoli, da cui era emerso che tale società era coinvolta in una frode IVA nella quale il predetto contribuente aveva svolto la funzione di soggetto interponente, la CTR della Liguria respingeva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che l’avviso di accertamento impugnato era conseguenza dell’accertamento eseguito « nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE che a sua volta ha impugnato l’avviso di accertamento che la riguardava il quale è stato annullato sia in primo che in secondo grado », sicché era venuto a mancare il presupposto su cui era basato l’accertamento a carico della società contribuente. Inoltre, l’Ufficio non aveva provato l’esistenza di un accordo simulatorio e fraudolento fra le due società a nulla rilevando al riguardo la asserita antieconomicità dell’attività e le basse percentuali di ricarico.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui non replica l’intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992.
1.1. Sostiene la ricorrente che il lamentato difetto di motivazione della sentenza impugnata si desumeva dal fatto che i giudici di appello avevano recepito acriticamente la sentenza della CTP ritenendo « condivisibili le argomentazioni a sostegno della decisione assunta », ignorando i motivi di appello proposti avverso quella decisione, che avevano operato un riferimento ad una sentenza pronunciata da altra CTR in una causa connessa, senza indicare a quale sentenza si riferisse, né l’eventuale suo passaggio in giudicato, né le ragioni dell’annullamento del connesso atto impositivo.
Il motivo è infondato e va rigettato.
2.1. Per costante orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, omette di illustrare l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento
enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
2.2. In tale grave forma di vizio non può ritenersi che incorra la sentenza impugnata che esprime delle chiare rationes decidendi con argomentazioni che si pongono comunque al di sopra del minimo costituzionale seppur nella loro sinteticità, che, a ben vedere, trasmoda nell’insufficienza motivazionale ma non nella sua assenza o mera apparenza.
In definitiva, il motivo va rigettato.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 295 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., sostenendo che i giudici di appello, avendo ritenuto che nel presente giudizio spiegasse efficacia la pronuncia di annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società emittente le fatture, anziché annullare l’atto impugnato avrebbe dovuto sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. in quanto la sentenza emessa nel giudizio riguardante la società collegata non era passata in giudicato.
Con il terzo motivo, dedotto in via subordinata al rigetto del secondo, la ricorrente censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 39, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché 2697 e 2729 cod. civ.
5.1. Sostiene la difesa erariale che la sentenza impugnata era errata nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un accordo simulatorio tra la società contribuente e la RAGIONE_SOCIALE, individuata come ‘società filtro’ nel complesso meccanismo frodatorio accertato, e ritenuto che non fosse sufficiente a tal fine la contestata antieconomicità delle operazioni poste in essere, benché le circostanze indicate nell’atto impositivo, quali la totale evasione d’imposta dei fornitori, l’antieconomicità delle vendite nonostante le ingentissime spese di trasporto sostenute, l’improduttività dell’azienda interposta, il mancato trasferimento fisico della autovetture compravendute, costituissero elementi indiziari di inesistenza delle operazioni commerciali, tali da trasferire in capo alla società contribuente l’onere di provare l’esistenza delle operazioni contestate o la mancanza di consapevolezza di partecipare ad una frode fiscale.
Con il quarto motivo deduce, « in ulteriore subordine, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio, ovvero di quegli elementi indiziari indicati nel precedente motivo, che sono stati oggetto di discussione tra le parti».
I motivi terzo e quarto, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.
7.1. Al riguardo devono richiamarsi i principi giurisprudenziali elaborati in materia da questa Corte anche sulla scia delle pronunce della Corte di giustizia europea.
7.2. In materia di operazioni soggettivamente inesistenti, come nella fattispecie in esame, che presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quella risultante dalla fattura emessa, l’orientamento giurisprudenziale, anche unionale, (cfr. tra le tante, Cass. n. 9851 del 10/04/2018; Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; da ultimo Cass. n. Cass. 25891/2023; in linea con Corte di giustizia, 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, citata anche dalla ricorrente, e, recentemente, CGUE 11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20) è consolidato nel ritenere che ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da soggetto diverso dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali fonda la contestazione; elementi che devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia stata posta in essere dal soggetto che risulta documentalmente. Sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il cedente o prestatore del servizio, che ha emesso la fattura, sia privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali
per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura da parte del soggetto emittente (cfr., in materia di prova della natura di società cartiera, Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).
7.3. L’amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente « sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale ». In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto (in linea con la Corte di giustizia si precisa che egli ‘ disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente ‘). Una volta accertato che l’amministrazione finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio, questo si sposta sul contribuente che deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l’operazione è effettivamente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non è sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione e, quindi, per poter contabilizzare la fattura relativa all’operazione contestata, non rimane altra via che quella di provare di aver agito in assenza di consapevolezza di
partecipare ad un’evasione fiscale messa in atto dal oggetto emittente la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
7.4. Orbene, la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi enunciati avendo erroneamente svalutato gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio a fondamento della pretesa erariale, quali, l’antieconomicità delle operazioni contestate, anche per la sostanziale insussistenza della percentuale di ricarico, ed il mancato trasferimento fisico delle autovettura (circostanza esposta a pag. 5 dell’avviso di accertamento e del tutto pretermessa dalla CTR) ed avendo, altresì, omesso di considerare, in tale valutazione, il ruolo svolto dal contribuente, di mero soggetto interposto tra il cedente comunitario e l’effettivo acquirente nazionale, come ricostruito dall’Agenzia delle entrate nella motivazione dell’avviso di accertamento riprodotta nel ricorso.
In estrema sintesi, vanno accolti il terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 11 luglio 2025.