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Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24905/2025, interviene su un caso di operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una presunta frode IVA nel settore automobilistico. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva annullato l’accertamento fiscale, chiarendo i principi sull’onere della prova. L’Amministrazione finanziaria deve fornire elementi indiziari sulla fittizietà del fornitore e sulla consapevolezza del contribuente, dopodiché spetta a quest’ultimo dimostrare la propria buona fede e la reale fonte della fornitura.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione chiarisce l’onere della prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema delle operazioni soggettivamente inesistenti e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione ribadisce principi consolidati, sottolineando come gli elementi indiziari, anche se non costituiscono prova diretta, siano sufficienti a spostare sul contribuente il compito di dimostrare la propria estraneità alla frode fiscale. Analizziamo il caso e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento per IVA, IRAP e IRPEF notificato a un imprenditore individuale attivo nel commercio di autoveicoli. Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’imprenditore aveva agito come soggetto interposto in una complessa frode IVA, acquistando fittiziamente veicoli da una società (“società filtro”) per poi rivenderli. L’operazione era stata qualificata come soggettivamente inesistente, poiché il fornitore reale dei beni era diverso da quello indicato in fattura.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, annullando l’accertamento. La motivazione principale della CTR si basava sul fatto che un analogo accertamento emesso nei confronti della “società filtro” era stato a sua volta annullato nei gradi di merito. Questo, secondo i giudici regionali, faceva venir meno il presupposto su cui si fondava la pretesa fiscale nei confronti dell’imprenditore. Inoltre, la CTR riteneva che l’Agenzia non avesse provato l’esistenza di un accordo fraudolento, svalutando gli indizi proposti, come l’antieconomicità delle operazioni e le basse percentuali di ricarico.

La Decisione della Cassazione sulle operazioni soggettivamente inesistenti

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando diversi vizi. La Suprema Corte ha accolto i motivi centrali del ricorso, cassando la sentenza e rinviando la causa a un’altra sezione della CTR per un nuovo esame.

I giudici di legittimità hanno ritenuto errata la valutazione della CTR, la quale aveva sminuito il valore degli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria. La Corte ha chiarito che, in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, il Fisco non deve provare un accordo criminoso, ma è sufficiente che dimostri, anche tramite presunzioni, due elementi chiave:

1. L’operazione commerciale è stata posta in essere da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura.
2. Il destinatario della fattura “sapeva o avrebbe dovuto sapere”, usando l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale.

L’onere della prova si sposta sul contribuente

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito un quadro indiziario grave, preciso e concordante (come l’antieconomicità delle vendite, l’assenza di una reale struttura operativa del fornitore, il mancato trasferimento fisico dei beni), l’onere della prova si sposta sul contribuente. Sarà quest’ultimo a dover dimostrare la propria buona fede e la legittimità dell’operazione, provando che la transazione è effettivamente intercorsa con i soggetti indicati in fattura. La mera regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non è sufficiente, poiché tali elementi sono spesso utilizzati proprio per mascherare l’operazione fittizia.

le motivazioni

La Corte ha stabilito che la CTR ha commesso un errore di diritto nel non considerare adeguatamente gli indizi presentati dall’Agenzia delle Entrate. Tra questi, l’antieconomicità delle operazioni, la bassissima percentuale di ricarico e il mancato trasferimento fisico delle autovetture erano elementi significativi che avrebbero dovuto essere valutati nel loro complesso. La sentenza impugnata aveva erroneamente svalutato questi aspetti, ometendo di considerare il ruolo di mero “interposto” svolto dal contribuente nel meccanismo fraudolento descritto nell’avviso di accertamento.

Secondo la Cassazione, la CTR ha fallito nel fare buon governo dei principi giurisprudenziali consolidati. Invece di analizzare il quadro probatorio nel suo insieme, si è limitata a negare l’esistenza di un accordo simulatorio, senza però esaminare se il contribuente, in base agli indizi disponibili, dovesse essere a conoscenza del carattere fraudolento dell’operazione. La Corte ricorda che non è richiesta la prova di un dolo specifico di frode, ma solo la consapevolezza, o la colpevole ignoranza, di partecipare a un’operazione finalizzata all’evasione dell’IVA.

le conclusioni

L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale nella lotta alle frodi IVA: di fronte a un quadro indiziario solido fornito dall’Amministrazione Finanziaria, il contribuente non può rimanere passivo. Deve attivarsi per dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità. La sentenza impugnata è stata cassata perché ha ignorato questo principio, richiedendo al Fisco una prova diretta dell’accordo fraudolento che la legge non impone e svalutando elementi presuntivi che, invece, erano pienamente idonei a fondare la pretesa fiscale. Il caso torna ora alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare i fatti attenendosi ai principi enunciati dalla Cassazione.

Cosa sono le operazioni soggettivamente inesistenti?
Sono operazioni commerciali che sono state effettivamente realizzate, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella documentazione fiscale (fatture). La merce o il servizio esiste e viene scambiato, ma uno dei soggetti indicati è fittizio o interposto per finalità illecite, come la creazione di un credito IVA indebito.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria per contestare queste operazioni?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche tramite elementi presuntivi e indiziari, che l’operazione è stata posta in essere da un soggetto diverso dall’emittente della fattura. Inoltre, deve dimostrare che il contribuente destinatario della fattura sapeva o, usando l’ordinaria diligenza professionale, avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in una frode fiscale.

Quando l’onere della prova si sposta sul contribuente?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio fornendo un quadro indiziario solido (es. antieconomicità dell’operazione, assenza di struttura del fornitore), l’onere si sposta sul contribuente. A quel punto, è il contribuente a dover dimostrare la propria buona fede e la fonte legittima della detrazione o del costo, provando che l’operazione è realmente avvenuta con il soggetto indicato in fattura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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