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Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema delle operazioni soggettivamente inesistenti, annullando la decisione di merito che aveva concesso la detrazione IVA a un’azienda. L’ordinanza chiarisce la ripartizione dell’onere della prova: l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare gli elementi oggettivi della frode e fornire indizi sulla consapevolezza dell’acquirente. A quel punto, spetta al contribuente provare di aver agito con la massima diligenza e in totale buona fede. La Corte ha ritenuto irrilevante il fatto che gli accertamenti fiscali fossero stati eseguiti anni dopo le operazioni contestate, ribadendo che indizi come l’assenza di una struttura operativa del fornitore sono sufficienti a fondare la presunzione di frode.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: Guida alla Prova secondo la Cassazione

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza su un tema cruciale del diritto tributario: le operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia è fondamentale perché definisce con precisione i confini dell’onere della prova che grava sia sull’Amministrazione Finanziaria sia sul contribuente in caso di contestazioni sulla detrazione dell’IVA. Vediamo nel dettaglio i fatti, la decisione e le sue importanti implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società commerciale, con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa a fatture emesse da fornitori risultati essere delle “società cartiere”. Sebbene le operazioni commerciali (l’acquisto di merce) fossero effettivamente avvenute, secondo il Fisco i reali fornitori non erano quelli indicati in fattura, configurando così delle operazioni soggettivamente inesistenti.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, annullando l’accertamento. Secondo i giudici di secondo grado, l’Amministrazione Finanziaria non aveva fornito prove sufficienti per dimostrare che la società acquirente fosse a conoscenza della frode. In particolare, la CTR aveva dato peso al fatto che i controlli sui fornitori erano stati eseguiti nel 2013, a distanza di anni dall’anno d’imposta contestato (2008), ritenendo che in quel lasso di tempo le società potessero aver legittimamente cessato la loro attività.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle operazioni soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno censurato il ragionamento del giudice di merito, ribadendo i principi consolidati in materia di ripartizione dell’onere probatorio.

La Ripartizione dell’Onere della Prova

La Suprema Corte ha chiarito che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, la prova si articola in due fasi:

1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: L’Ufficio deve dimostrare gli elementi oggettivi che connotano la frode. Deve provare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che il fornitore indicato in fattura è una mera società cartiera, priva di struttura e capacità operativa. Inoltre, deve fornire elementi indiziari che facciano ragionevolmente dubitare della buona fede dell’acquirente, ovvero che quest’ultimo ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’ della frode.
2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito tale quadro probatorio, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta l’onere di dimostrare la propria buona fede, provando di aver agito con la massima diligenza e di essersi trovato, senza colpa, in una situazione di ignoranza incolpevole circa l’illecito perpetrato dal suo fornitore.

L’Irrilevanza del Momento dell’Accertamento

Un punto cruciale della decisione riguarda il valore probatorio degli accertamenti fiscali. La Cassazione ha stabilito che la circostanza che i controlli siano stati eseguiti a distanza di anni dai fatti è del tutto irrilevante. L’attività di accertamento, per sua natura, avviene ex post e la sua posteriorità non inficia in alcun modo la validità degli elementi raccolti, come la scoperta che le sedi dei fornitori erano inesistenti o che mancava qualsiasi struttura operativa. Ritenere il contrario, secondo la Corte, equivarrebbe a rendere impossibile l’attività stessa di controllo fiscale.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando l’articolo 2729 del codice civile sulla prova per presunzioni. Elementi come l’assenza di una sede operativa, la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali e la breve vita operativa di una società a fronte di ingenti volumi d’affari costituiscono un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti sufficienti a dimostrare la natura fittizia del fornitore.

Il ragionamento della CTR, che aveva svalutato tali elementi a causa del tempo trascorso, è stato giudicato un’illazione priva di fondamento giuridico. La Cassazione ha sottolineato che un giudice non può scartare a priori elementi indiziari rilevanti, ma deve valutarli nel loro complesso per verificare se, combinati, raggiungono il livello di una valida prova presuntiva.

Inoltre, è stato ribadito che la prova della buona fede richiesta al contribuente non si esaurisce nella mera regolarità formale delle fatture. L’imprenditore accorto e diligente deve adottare tutte le cautele necessarie per verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali, soprattutto in presenza di condizioni anomale o di sospetto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale per le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo da parte di tutti gli operatori economici. La detrazione dell’IVA non è un diritto automatico legato alla semplice ricezione di una fattura. Le aziende devono implementare procedure di controllo e due diligence sui propri fornitori per proteggersi dal rischio di essere inconsapevolmente coinvolte in operazioni soggettivamente inesistenti. La decisione della Cassazione serve da monito: l’onere di provare la propria buona fede, una volta che il Fisco ha sollevato dubbi fondati, è un compito tutt’altro che semplice, che richiede la dimostrazione di una condotta commerciale prudente e diligente.

In un caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni, gli elementi oggettivi della frode (es. la natura di ‘cartiera’ del fornitore) e gli indizi della malafede dell’acquirente. Successivamente, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di non essere stato a conoscenza della frode.

Il fatto che un controllo fiscale avvenga a distanza di anni dalle operazioni contestate ne diminuisce il valore probatorio?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il momento in cui viene eseguito l’accertamento è irrilevante. La natura posteriore dei controlli fiscali non indebolisce in alcun modo gli elementi di prova raccolti, come la constatazione che la sede di un fornitore è inesistente.

Per poter detrarre l’IVA è sufficiente avere una fattura formalmente corretta?
No. Se l’Amministrazione Finanziaria dimostra che l’operazione è soggettivamente inesistente, la sola regolarità formale della fattura non è sufficiente. Il contribuente deve anche provare la sua buona fede, dimostrando di aver adottato tutte le cautele esigibili da un operatore accorto per verificare l’affidabilità del fornitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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