Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4552 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4552 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2078 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, da ll’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto: TRIBUTI – operazioni soggettivamente inesistenti
avverso la sentenza n. 4794/13/2023 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 06/06/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA, per l’anno d’imposta 20 05, emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo di fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per i lavori di realizzazione di un capannone industriale, che l’amministrazione finanziaria riteneva soggettivamente inesistenti essendo la società appaltatrice priva di attrezzature e macchinari, come tale inidonea ad eseguire l’opera commissionata.
Avverso le sfavorevoli sentenze di primo e secondo grado, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione che veniva accolto con ordinanza di questa Corte n. 15341 del 2022 che disponeva il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia per nuovo esame, avendo rilevato la violazione da parte dei giudici di appello dei principi giurisprudenziali in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.
A seguito di riassunzione del giudizio, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia con la sentenza in epigrafe indicata ha accolto l’originario appello dell’Agenzia delle entrate confermando l’avviso di accertamento impugnato.
3.1. Sostengono i giudici di appello, sulla questione che qui rileva, che « tutte le fatture emesse nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE configurano sicuramente la fattispecie di ‘fatture per operazione soggettivamente inesistente’, dal momento che non appare dubbio che la società appellata abbia ottenuto la realizzazione del capannone, tuttavia è altrettanto indubbio che la RAGIONE_SOCIALE non poteva svolgere quell’attività per le ragioni specificate dall’Agenzia, e derivanti dal p.v.c. della G.d.F. Tali r agioni
consistevano nel fatto che la società, di recentissima costituzione (all’epoca del p.v.c.) non possedeva le attrezzature, i mezzi e le maestranze necessarie per la realizzazione del capannone industriale in palese contrasto con quanto affermato nel contratto di appalto (p. 14 del p.v.c.), inoltre secondo l’apparenza cartolare i lavori sarebbero stati eseguiti dalle ditte individuali COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Daniele, come dichiarato dal legale rappr.te pro tempore della RAGIONE_SOCIALE ma nemmeno queste ultime ditte -secondo quanto accertato dalla G.d.F.erano in possesso dei mezzi e delle maestranze sufficienti per la realizzazione del manufatto (p. 15 del p.v.c.). Inoltre, i presunti pagamenti eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE a favore delle ditte individua li cennate sarebbero avvenuti tutti ‘per cassa’ ovvero in contanti o con titoli di credito nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE (pag. 15 del p.v.c.)» e che «Non ha rilievo l’eccezione sollevata dalla parte appellata secondo cui il p.v.c. si riferisce a terzi, giacché esso analizza specificamente i rapporti fra la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE (pagg. 15 e 16 del p.v.c.). Quanto poi ai legami fra la società contribuente e le ditte subappaltatrici utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE è importante sottolineare che COGNOME NOME, titolare di una delle due ditte subappaltatrici asseritamente utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE, a far data dal 28.11.2007 fosse alle dipendenze lavorative della RAGIONE_SOCIALE (pag. 10 del p.v.c.), mentre la ditta COGNOME non risulta aver presentato alcuna dichiarazione negli anni oggetto della verifica fiscale ». Aggiungono che « Gli elementi indiziari per dire che la parte appellata era perfettamente consapevole della inesistenza della prestazione da parte del soggetto apparente sono tutti sussistenti e derivano proprio dagli elementi addotti prima dalla G.d.F. e successivamente d all’Agenzia appellante che il Collegio ritiene estremamente indizianti e sono stati illustrati dettagliatamente nel PVC e nelle difese dell’Agenzia ».
Avverso tale statuizione la società contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replicava l’ intimata con controricorso.
Formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, ex art. 380-bis c.p.c., in data 26/09/2024, comunicata in data 30/09/2024, in considerazione della rilevata infondatezza del ricorso proposto dalla ricorrente, quest’ultima tempestivamente, con atto de positato in data 07/11/2024, sottoscritto dal difensore munito della necessaria procura, ha chiesto la decisione del ricorso e, quindi, ai sensi degli artt. 380-bis e 380-bis.1. c.p.c., è stata disposta la trattazione della causa per l’odierna camera di consiglio.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso la ricorrente deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 26 e 2697 e 2729 c.c., 168, 178 e 203 della direttiva 2006/112/CEE»
1.1. Sostiene che « Nell’Ordinanza n. 15341/2022 che dato origine al giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza oggetto del presente ricorso, Codesta Suprema Corte non ha formulato alcun giudizio di merito sugli elementi indiziari raccolti dalla G. di F., e fatti propri da ll’Agenzia, in ordine alla contestata inesistenza soggettiva, ma si è limitata a censurare la sentenza di secondo grado per non essersi pronunciata -e di conseguenza per non avere preso posizione – su detti elementi, in quanto rilevanti ai fini della decisione da assumere. Di contro il Giudice della fase rescissoria ha erroneamente interpretato la censura di Codesta Suprema Corte come una valutazione di fondatezza dei citati elementi indiziari, ripercorrendo l’impianto accusatorio dell’Amministrazione Finanziaria e supinamente facendolo proprio, omettendo di pronunciarsi e di prendere posizione sulle puntuali ed argomentate eccezioni difensive sviluppate dalla Società in tutte le fasi del giudizio, e altresì
interpretando in maniera errata la normativa nazionale e comunitaria e la correlata giurisprudenza sul punto della conoscibilità della frode da parte del destinatario della prestazione, e del limite oltre il quale quest’ultimo non può essere costretto a co mpiere controlli complessi e approfonditi relativi al suo fornitore, come quelli che l’Amministrazione Finanziaria è in grado di eseguire in forza dei poteri di cui essa dispone».
Il motivo è inammissibile oltre che manifestamente infondato e, pertanto, va rigettato.
Al riguardo devono richiamarsi i principi giurisprudenziali elaborati in materia da questa Corte anche sulla scia delle pronunce della Corte di giustizia europea.
3.1. In materia di operazioni soggettivamente inesistenti, come nella fattispecie in esame, che presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice della fattura o della prestazione dei servizi in essa indicati e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce o la prestazione del servizio da soggetto economico diverso da quella risultante dalla fattura emessa, l’orientamento giurisprudenziale, anche uniona le, (cfr. tra le tante, Cass. n. 9851 del 10/04/2018; Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020; da ultimo Cass. n. Cass. 25891/2023; in linea con Corte di giustizia, 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, citata anche dalla ricorrente, e, recentemente, CGUE 11 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-281/20) è consolidato nel ritenere che ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da soggetto diver so dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali fonda la contestazione; elementi che devono condurre a ritenere, mediante
procedimento inferenziale, che l’operazione non sia stata posta in essere dal soggetto che risulta documentalmente. Sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il cedente o prestatore del servizio, che ha emesso la fattura, sia privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura da parte del soggetto emittente (cfr., in materia di prova della natura di società cartiera, Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851, punto 6.8).
3.2. L’amministrazione finanziaria deve inoltre provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, che non si sostanzia nella prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né nella prova della sua piena consapevolezza della frode, ma solo che il contribuente « sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale ». In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto (in linea con la Corte di giustizia si precisa che egli ‘ disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente ‘). Una volta accertato che l’amministrazio ne finanziaria ha assolto il proprio onere probatorio, questo si sposta sul contribuente che deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ovvero che l’operazione è effettivamente intercorsa tra i soggetti risultanti dalla fattura, con la precisazione però che non è
sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Al contribuente che non riesca a fornire tale prova, per non essere coinvolto in una tale situazione e, quindi, per poter contabilizzare la fattura relativa all’operazione contestata, non rimane altra via che quella di provare di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale messa in atto dal oggetto emittente la fattura, e ciò deve fare dimostrando di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
4. Applicati tali principi alla fattispecie discende che le circostanze che la ditta appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, « di recentissima costituzione (all’epoca del p.v.c.) non possedeva le attrezzature, i mezzi e le maestranze necessarie per la realizzazione del capannone industriale in palese contrasto con quanto affermato nel contratto di appalto (p. 14 del p.v.c.) » e che «inoltre secondo l’apparenza cartolare i lavori sarebbero stati eseguiti dalle ditte individuali COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, come dichiarato dal legale rappr.te pro tempore della RAGIONE_SOCIALE ma nemmeno queste ultime ditte -secondo quanto accertato dalla G.d.F.erano in possesso dei mezzi e delle maestranze sufficienti per la realizzazione del manufatto (p. 15 del p.v.c.) », accertate dai giudici di appello e nemmeno adeguatamente contestate dalla ricorrente (il cui ricorso, pertanto, è sul punto inammissibile), costituiscono validi e qualificati elementi presuntivi non solo dell’inesistenza delle operazioni oggetto di verifica, essendo impossibile che i lavori di realizzazione del capannone venissero effettuati proprio dalla società emittente le fatture, ma anche della consapevolezza della società contribuente di inserirsi in un sistema di frode fiscale giacché, a prescindere dalla verifica della esistenza
meramente formale di dette società – che la ricorrente peraltro neppure ha dedotto di aver effettuato -, non è giustificabile, sul piano della diligenza qualificata richiesta alla ricorrente, la mancata verifica dell’effettiva esistenza ed operatività delle società (nella specie, l’appaltatrice e le presunte ditte subappaltatrici).
4.1. A quanto fin qui detto, aggiungasi che la società ricorrente non ha dedotto alcunché circa la propria buona fede, limitandosi a sostenere che l’effettiva realizzazione del capannone industriale costituiva circostanza di fatto che aveva creato nel committente la percezione della piena regolarità dell’operazione commerciale e che, comunque, non poteva pretendersi il compimento di «controlli complessi e approfonditi relativi al suo fornitore».
4.2. Invero, a parte la considerazione che al contribuente non è chiesta la mera «percezione» ma la consapevolezza della regolarità dell’operazione commerciale in cui è coinvolto, osserva il Collegio che quello dell’esistenza e della capacità operativa della società emittente fatture per prestazione di servizi, specie quando questa consiste, come nel caso in esame, nella realizzazione di un capannone industriale e, quindi, di opere di una certa consistenza e complessità che richiedono un’elevata capacità or ganizzativa ed operativa da parte dell’appaltatore , è accertamento che non è affatto di elevata difficoltà, dovendo, invece, pretenders ene l’ effettuazione da parte di un operatore commerciale diligente ed accorto che, peraltro, neppure può addurre a sua discolpa la circostanza che l’opera commissionata sia stata effettivamente realizzata, quasi che non assuma rilevanza il soggetto che quell’opera abbia, in definitiva, realizzato. Il che è, ovviamente, contrario ai principi sopra enunciati ma anche alle logiche commerciali.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato e la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nonché, a i sensi del terzo comma dell’art. 380 –
bis cod. proc. civ., delle somme di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 96 cod. proc. civ., nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Condanna la ricorrente a pagare l’ulteriore importo di euro 4.100,00 in favore della controricorrente nonché l’ importo di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2025